Parlare di addominoplastica mininvasiva sembra un ossimoro, è una definizione che apparentemente si contraddice da sola. Ma come: l’addominoplastica non è quell’intervento che lascia una cicatrice enorme, doloroso, con un recupero lungo e complicato?
Naturalmente sì.
Ma noi oggi possiamo capovolgere completamente questo paradigma e parlare, compiutamente, di addominoplastica mininvasiva: ovvero di un intervento dedicato a pazienti che normalmente sarebbero candidate ad addominoplastica ma oggi possono essere trattate con solo tre piccole incisioni al di sobra del pube. Possiamo farlo perchè la tecnologia più avanzata ci viene incontro e grazie all’esperienza che abbiamo accumulato con la REPA, la chirurgia mininvasiva della diastasi dei retti, e la LESC, la lipoemulsione sottocutanea.
Le immagini parlano spesso più e meglio delle parole: ecco cosa noi intendiamo per addominoplastica mininvasiva:
Queste fotografie sono state scattate in sala operatoria, subito prima di iniziare l’intervento. Si tratta di una bella signora di 45 anni, che dopo due gravidanze si era ritrovata con questo addome. Oltre ad una diastasi di 7 cm, ed un’ernia ombelicale di 1 cm, la paziente presentava la situazione adipo-cutanea addominale gravemente compromessa, anche come texture della pelle, come ben visibile nelle fotografie preoperatorie.
La paziente è stata sottoposta a LESC e REPA nella stessa seduta operatoria, in un intervento durato due ore e 20 minuti.
Questa foto è stata scattata dalla paziente a 10 giorni dall’intervento. Abitando la paziente in un’altra regione, piuttosto lontano dalla mia sede, le avevo chiesto, dopo la rimozione del drenaggio, di mandarmi una fotografia dell’addome, per avere un’idea di come procedesse il postoperatorio. Già si cominciano ad intravedere i risultati dell’addominoplastica mininvasiva da noi realizzata, ed in particolare il notevole miglioramento a livello del pannicolo adipo-cutaneo dell’addome ed anche della texture cutanea. La paziente, all’epoca della foto, aveva da poco iniziato i massaggi linfodrenanti e non ancora la fisioterapia, pratiche che rientrano sempre nel postoperatorio delle nostre pazienti sottoposte a riparazione di diastasi dei retti. Le uniche ferite chirurgiche sono le tre piccole incisioni visibili a livello del pube.
Questo è il risultato a tre mesi dall’intervento di addominoplastica mininvasiva, risultato che possiamo considerare stabile. La trasformazione dell’addome è evidente, e probabilmente non merita di essere ulteriormente commentata; ma forse vale la pena di evidenziare i cambiamenti della texture cutanea (in particolare a livello della zona periombelicale) difficilissimi da ottenere con una addominplastica tradizionale.
La paziente ha ottenuto quello che voleva: affrontareuna stagione balneare senza doversi vergognare della sua pancia.
Il nostro obbiettivo era molto più ambizioso: intervenire profondamente a tutti i livelli del core addominale (muscolare, fasciale, adiposo, cutaneo) restituendo a tutti la propria funzionalità, oltre che l’aspetto estetico. Possiamo affermare di esserci riusciti, e bene.
Ah, anche questa è una foto fatta dalla paziente, e nessun filtro o “photoshoppatura” è stato usato per “addomesticarne” l’effetto finale. Siamo chirurghi seri.
Che conclusioni possiamo trarre sull’addominoplastica mininvasiva?
L’addominoplastica ha avuto un ruolo centrale, nei decenni passati, nel rimodellamento addominale; possiamo dire che l’ha fatta da padrone.
Negli ultimi dieci anni le cose sono profondamente cambiate. Da un lato l’introduzione di tecniche di chirurgia a minima invasività per il trattamento della diastasi dei retti (come la REPA, già oggi considerata in alcune linee guida – come quella della SociedadHispanoamericana de Hernia – il gold standard per questo tipo di patologia), dall’altro lo sviluppo della tecnologia di lipoemulsione ad ultrasuoni (la LESC) che tra i suoi “effetti collaterali” ha quello di promuovere la sintesi di fibre elastiche nell’epidermide (e quindi la sua capacità di rimodellarsi) hanno fatto sì che, in mani esperte, molte indicazioni alla classica addominoplastica venissero a cadere. Perchè la nostra paziente avrebbe dovuto affrontare un’incisione chirurgica di oltre 30 cm, con un postoperatorio pesante ed un recupero faticoso, se si possono ottenere questi risultati con tre piccole incisioni che, se messe in fila, misurerebbero meno di 3 cm?
Se desiderate altre informazioni non dovete fare altro che contattarmi con il seguente modulo o via WhatsAPP
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La chirurgia, per le donne con diastasi dei retti, è quella terra fantastica e lontana a cui tutte vorrebbero approdare per rinascere. Una parte – la maggior parte – di esse si scontra con una dura realtà: nel Sistema Sanitario Nazionale, la diastasi può essere operata solo a determinate, e limitate, condizioni:
Nel SSN, quindi, in linea teorica potrebbero essere operate solo pazienti con “diastasi di grado elevato”, anamnesi di grande obesità e BMI inferiore a 30: in sostanza, pazienti ex obese che sono dimagrite, magari dopo chirurgia bariatrica, e che presentino almeno 4 dei 5 criteri di inclusione riportati dalla normativa. Una percentuale davvero minima delle pazienti con diastasi dei retti.
Anche ammesso, comunque, che si riesca a superare questa rigorosissima selezione (spesso grazie al Chirurgo che, a proprio rischio e pericolo visti i controlli attualmente realizzati nel SSN, chiude uno od entrambi gli occhi), alle pazienti generalmente viene offerta una sola opzione chirurgica: l’addominoplastica.
Ma quanto è efficace l’addominoplastica? In particolare, cosa possiamo dire su addominoplastica e recidive della diastasi?
Addominoplastica e recidive della diastasi dei retti
Recentemente sono stato invitato a parlare della REPA, la riparazione endoscopica della diastasi dei retti, al congresso dell’ISHAWS (Italian Society of Hernia and Abdominal Wall Surgery) celebratosi in Napoli la prima settimana di dicembre. Nella mia presentazione, tra le altre, ho fatto vedere questa diapositiva:
Ovviamente, per gli addetti ai lavori, questa immagine non è di particolare impatto; sono cose risapute: l’invasività dell’addominoplastica, gli ampi scollamenti, la cicatrice che anche se perfetta (come nella foto) è comunque grandissima, e poi le complicanze più gravi: le necrosi del lembo (quelle zone scure sulla ferita chirurgica, in pratica “carne morta”…) e dell’ombelico. Tutte cose che un chirurgo sa, ma che bisogna che soprattutto la paziente sappia.
La paziente, al momento della visita, vuole essere rassicurata: “Dottore, mi dica che a me questo non succederà mai!” E qualcuno, magari, lo dice pure o minimizza: tutto, alla fine, a volte sembra una passeggiata. Ma non lo è.
E che dire delle recidive della diastasi dopo addominoplastica? Qui il discorso si fa serio: perché gli stessi chirurghi negano, mentendo. Ecco un’altra diapositiva da me presentata nella stessa occasione:
Questa immagine, sì, ha fatto scalpore ed ha scatenato un dibattito a tratti acceso. Prima di tutto, voi probabilmente non lo sapete ma il giornale che pubblica l’articolo in questione, Surgical Endoscopy, è uno dei più importanti e seri del mondo chirurgico. Ne deriva che il problema è serio, ma qual è il problema? Bene, il fatto che, su 14 pubblicazioni sulla riparazione per addominoplastica analizzate, 9 riportino che non vi sono state recidive nel postoperatorio è un problema: perché NON E’ CREDIBILE, e questo, in medicina, è un GROSSO problema. Come dico sempre alle pazienti in visita, in medicina lo 0% ed il 100% non esistono: e soprattutto nella chirurgia della parete addominale la recidiva, in una percentuale piccola o grande che sia, c’è sempre. Tutti, anche il più grande chirurgo di parete del mondo, hanno le loro recidive: TUTTI. Il fatto che in 2/3 dei lavori esaminati in questo articolo, gli autori dichiarino di non aver avuto recidive può voler dire due cose: o che essi mentono, oppure che le loro recidive sono andate da un altro chirurgo.
Vediamo quest’altra diapositiva:
Questo articolo di Hernia del 2011 prende in esame i risultati pubblicati in lavori scientifici con dati di alta qualità (ovvero molto attendibili) sul follow up di pazienti operati di diastasi dei retti con varie tecniche (principalmente addominoplastiche).
Hernia é la più importante rivista di chirurgia di parete addominale attualmente pubblicata al mondo.
I dati in questo caso cambiano molto. Ecco alcuni esempi:
Nel lavoro pubblicato da Van Uchelen e coll. nel 2001 (The long-term durability of plication of the anterior rectus sheath assessed by ultrasonography) le recidive della diastasi dopo addominoplastica sono il 40%. QUARANTA PERCENTO.
Oscar Ramirez, Chirurgo conosciuto in tutto il mondo per aver inventato una tecnica rivoluzionaria di riparazione delle grandi ernie addominali (ancora oggi una delle tecniche più usate) riporta (Abdominoplasty and abdominal wall rehabilitation: a comprehensive approach) circa il 3% di NECROSI DEL LEMBO CUTANEO (guardate la prima foto più sopra…)
Zukowski e coll. nel complesso descrivono la comparsa di complicanze postoperatorie (non secondarie: epidermolisi, necrosi cutanee, infezioni della ferita, neuralgie croniche…) nel 15% dei pazienti operati. IL QUINDICI PERCENTO.
Non vi annoio ulteriormente. Tutto questo é per dire che i maghi, in chirurgia, non esistono. Lo 0% di complicanze non esiste. Il 100% di successi non esiste. Esiste l’impegno, da parte del Chirurgo, a mettere in campo tutti gli accorgimenti possibili per ridurre al minimo i problemi nel postoperatorio. Esiste l’esperienza dell’equipe chirurgica (non é lo stesso aver realizzato 10 riparazioni endoscopiche REPA, o 10 addominoplastiche, od averne fatte 100). Esiste l’onestà professionale. Ad esempio, io avviso sempre i pazienti che vengono da me per una patologia della parete addominale, che vi sono delle complicanze postoperatorie da tenere in considerazione:
Recidive dopo REPA: circa il 2%; dopo ernioplastica inguinale: meno del 5%
Sieromi dopo REPA: circa il 7%
Infezioni della protesi: pochissime (ne ho avuta una sola) ma possibili
solo per fare qualche esempio. Come sempre (e in genere questo i pazienti non lo sanno) la riuscita di un intervento si determina al 90% PRIMA dell’intervento stesso, e dipende dalla corretta selezione del paziente, dalla scelta della tecnica più adeguata in ogni caso (si chiama “chirurgia sartoriale”, “tailored surgery”) e dall’adozione di tutte le misure necessarie, prima e dopo la chirurgia, per ridurre le complicanze (ginnastica preoperatoria, bendaggi, trattamento farmacologico eccetera).
Una complicanza non é una sconfitta, né mette necessariamente in discussione la capacità di chi opera: é sempre un evento multifattoriale, difficilissimamente prevedibile, in cui la “componente umana lato paziente” gioca un ruolo importante (ad esempio: la diastasi é espressione di una malattia del collagene: probabilmente nelle pazienti in cui la diastasi recidiva la malattia é particolarmente avanzata), cosí come anche la tecnica chirurgicascelta (la plicatura dei retti é sotto tensione? E’ stata usata una rete? La paziente ha un grembiule adiposo od un eccesso cutaneo, per cui l’addominoplastica é indicata, oppure non ce l’ha, ed allora non non sussiste indicazione all’addominoplastica? E’ disposta ad accettare gli esiti cicatriziali dell’intervento o il suo grado di invasivitá? Abbiamo deciso di operare un paziente obeso? Uno sulla cui compliace postoperatoria – ovvero la capacità, o la voglia, di eseguire gli ordini medici nel postoperatorio – abbiamo dei dubbi? Quali sono i limiti intrinseci della tecnica proposta, ed esiste una tecnica migliore? La soluzione tecnica proposta dal chirurgo é la migliore per il chirurgo o per il paziente?).
Ricordatevi tutte queste cose, quando il vostro Chirurgo vi proporrà la sua soluzione per la vostra diastasi dei retti.
https://i0.wp.com/diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2019/08/diastasi-dei-retti.jpg?fit=480%2C320&ssl=1320480Salvatore Cuccomarinohttps://diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2021/05/logo-300x155.pngSalvatore Cuccomarino2019-12-29 12:06:562021-11-25 21:55:52Addominoplastica e recidive della diastasi
La diastasi addominale – o diastasi dei retti – è una patologia ancora poco conosciuta in Italia. In questo articolo troverete tutte le spiegazioni su cosa sia la diastasi dei retti, chi ne soffre, a quali altre malattie si associa e su che principi si basi la REPA, il nostro ormai conosciutissimo intervento endoscopico per il trattamento minimamente invasivo della diastasi addominale.
Nell’intervento classico per la riparazione della diastasi addominale, l’addominoplastica realizzata dai chirurghi plastici, la rete non viene quasi mai usata. Nella REPA, invece, il posizionamento di una rete è uno dei passi cruciali dell’intervento: questo ha consentito di ridurre le recidive della diastasi (riportate, in alcune casistiche di addominoplastica, al di sopra del 20%) a meno dell’1% per la REPA.
Pancia gonfia dopo l’intervento per diastasi addominale
Purtroppo, vi sono dei casi in cui, dopo l’intervento per diastasi dei retti, la pancia rimane gonfia. Perchè? Si è trattato di un errore del chirurgo? No: questo articolo ne spiega i motivi e le possibili soluzioni.
Il mal di schiena è uno dei più frequenti ed invalidanti sintomi della diastasi dei retti. Volete sapere perchè chi ha la diastasi addominale ha, spessissimo, mal di schiena? Leggete questo articolo.
Un’altra, grave condizione spesso associata alla diastasi dei retti è l’incontinenza urinaria. Ma perchè le donne (è un problema esclusivamente fenninile) con diastasi addominale ne soffrono? La spiegazione è nell’articolo che segue.
Come sanno bene le mie pazienti sottoposte a REPA, nel mio programma di trattamento della
diastasi dei retti la fisioterapia postoperatoria gioca un ruolo fondamentale (il 50% del successo, dico spesso a chi viene in studio). Insieme con la d.ssa Federica Crivellaro abbiamo sviluppato, PRIMI IN ITALIA ED EUROPA, un protocollo fisioterapico postoperatorio basato sulla ginnastica ipopressiva per ridare ai muscoli addominali il tono e la contrattilità adeguati.
Una delle tecniche chirurgiche mininvasive oggi più propagandate per il trattamento della diastasi dei retti è quella robotica. Nell’articolo che segue spiego perchè si tratti di una procedura non così minimamente invasiva ed adeguata per la chirurgia della diastasi addominale.
L’approccio robotico non è l’unica tecnica minimamente invasiva oggi indicata per la chirurgia della diastasi di retti: molte altre sono state proposte, quasi tutte basate sulla tecnica di Rives. Ma di che si tratta? Sono davvero tecniche mininvasive? E sono davvero efficaci?
Abbiamo finora parlato di tecniche chirurgiche e sintomi associati alla diastasi addominale: ma quali sono i risultati della REPA? Ce lo racconta uno studio multicentrico che, insieme con altri dieci Centri chirurgici sparsi per il mondo, abbiamo pubblicato nell’aprile 2019.
Il trattamento chirurgico della diastasi addominale è sempre stato patrimonio dei Chirurghi
plastici, che hanno visto come un intervento “a gamba tesa” l’arrivo del Dr. Cuccomarino, un Chirurgo generale specialista in chirurgia della parete addominale, e della sua REPA. In questo articolo spiego perchè, invece, la diastasi dei retti sia proprio pane per il Chirurgo generale, ancor più che per il Chirurgo plastico.
Per noi Chirurghi che in giro per il mondo realizziamo la REPA è molto chiaro il principio che il riavvicinamento dei muscoli retti allalinea media dell’addome deve avvenire con una sutura che non sia sotto tensione, pena l’aumento del rischio di recidiva della diastasi addominale. Ma se la diastasi dei retti è molto ampia è davvero difficile suturare i muscoli senza tensione. Per questo motivo, sulla scorta delle esperienze nella chirurgia dei grandi laparoceli, abbiamo introdotto, con risultati eccellenti, l’uso della tossina botulinica A preoperatoria nei pazienti con diastasi addominale.
REPA e qualità di vita: cosa cambia dopo l’intervento?
Le pazienti che giungono al mio studio, spesso dopo essere passate da altri due o tre Chirurghi ed aver ascoltato le più varie opinioni sulla diastasi e sulle maniere di operarla, sono, anche se informate, spesso molto confuse. Sanno solo una cosa: che la qualità della loro vita è gravemente compromessa dalla diastasi; lombalgia, meteorismo, incontinenza urinaria, il perdere il proprio aspetto normale sono tutte cose che hanno compromesso gravemente la loro esistenza. Per cui la prima domandda a cui sono chiamato a rispondere è: Dottore, cosa cambia dopo l’intervento? Vediamo cosa ne pensano le pazienti già operate: ecco i dati di una survey condotta su pazienti con follow-up postoperatorio da 6 a 26 mesi.
Negli ultimi anni, la chirurgia endoscopica per la diastasi dei retti ha conosciuto una popolarita’ ed una diffusione sempre maggiori. Il primo intervento endoscopico per la diastasi dei retti, la REPA, e’ stato da me introdotto in Italia nel 2017, e a tutt’oggi la mia continua ad essere l’unica equipe che lo realizza. Sulla scia del successo avuto dalla REPA, altri gruppi hanno cominciato a utilizzare tecniche di chirurgia endoscopica per la diastasi dei retti.
Tra esse, la piu’ utilizzata e’ la versione endoscopica della tecnica di Rives-Stoppa.
La tecnica di Rives-Stoppa nella chirurgia endoscopica per la diastasi dei retti
Innanzi tutto, bisogna chiarire che la tecnica di Rives nasce NON come terapia chirurgica endoscopica della diastasi dei retti, ma bensi’ come trattamento dei laparoceli (ovvero delle ernie addominali dovute a cedimento delle suture muscolo-fasciali) per via aperta. Rives pubblico’ la sua casistica , comprendente 258 pazienti, nel 1992, segnalando una percentuale di recidive del 6,2%. Da un’analisi complessiva della Letteratura medica pubblicata tra quella data e il 2006, la percentuale di recidive riportata e’ del 7,5%. Un lavoro pubblicato nel 2007 sul World Journal of Surgery (un’importante rivista con elevato impact factor) ci dice qualcosa di piu’ sulle complicanze postoperatorie di questa tecnica: sieromi = 4%, infezioni della protesi = 3%.
Esistono pochissimi lavori in Letteratura sulla tecnica di Rives realizzata per via endoscopica. In un report preliminare del 2018, vengono presentati 26 casi con follow-up di circa un anno (davvero poco per valutare i risultati a medio e lungo termine). Di un altro articolo, in cinese, che riporta altri 11 casi di pazienti operati con questa tecnica, con un follow up di un anno, ci e’ stato possibile leggere solo l’abstract.
In tutti i casi si tratta di pazienti sottoposti ad intervento chirurgico per laparocele od ernia della parete addominale; non esistono, a quanto mi e’ noto, lavori dedicati all’utilizzo della tecnica di Rives nella chirurgia endoscopica per la diastasi dei retti.
Per capire bene cosa sia la tecnica di Rives, puo’ essere utile guardare una graziosa animazione pubblicata su YouTube dall’Hernia Institute of New Jersey.
Anche in questo caso si esemplifica una riparazione di un’ernia addominale. La tecnica prevede l’incisione, su entrambi i lati, del foglietto anteriore della fascia dei muscoli retti; i muscoli retti vengono quindi separati ognuno dal proprio foglietto posteriore. I due foglietti posteriori vengono riuntiti con una sutura, ed una rete viene posizionata dietro i muscoli retti; al termine della procedura, i due foglietti anteriori della guaina dei retti vengono ricuciti per richiudere l’incisione effettuata all’inizio dell’intervento.
La comunita’ chirurgica internazionale e’ oggi concorde sull’utilizzo della tecnica di Rives-Stoppa nei difetti della parete addominale di diametro compreso tra 5 e 10 cm.
È opportuno incidere la guaina dei retti nella chirurgia endoscopica della diastasi dei retti?
La diastasi dei retti, tuttavia, non e’ un difetto della parete addominale. Mi sono quindi posto la domanda: se la parete addominale e’ integra, se cioe’, per semplificare, non c’e’ un buco (un’ernia o un laparocele) in essa, e’ opportuno incidere la fascia dei retti e scollare i muscoli dal loro rivestimento posteriore? Non si corre il rischio di indebolire la parete addominale, e comunque di sottoporre il paziente ad una chirurgia eccessiva? In effetti, se si guarda alla percentuale di recidive riportata negli studi prima citati (percentuale del tutto accettabile in caso di riparazione di un’ernia o di un laparocele, MA NON di una patologia, come la diastasi, in cui tali difetti non sono presenti, o se ci sono sono in genere ben piu’ piccoli di 5 cm), la risposta potrebbe essere: si’, il rischio esiste.
Pero’ e’ ovvio che il mio e’ un giudizio di parte. Ho pensato quindi di girare la domanda a Colleghi Chirurghi di tutto il mondo che siano esperti allo stesso tempo di chirurgia mininvasiva, chirurgia della parete addominale e chirurgia endoscopica per la diastasi dei retti. Questo “audit” sarebbe stato difficilissimo solo fino a qualche anno fa, ma oggi internet da’ la possibilita’ di abbattere i tempi e le distanze.
Ci sono due grandi forum di chirurgia della parete addominale su Facebook: quello della Sociedad Hispanoamericana de Hernia (SoHAH), in lingua spagnola, e quello della International Hernia Collaboration, in lingua inglese. Entrambi sono forum chiusi, ed accessibili solo a Chirurghi che abbiano comprovata e riconosciuta (nel mondo) esperienza in chirurgia della parete addominale.
Cominciamo dal forum della SoHAH. Questa e’ la domanda che ho posto:
“Stimati Colleghi, vi chiedo un’opinione. Negli ultimi mesi, in Italia diversi chirurghi stanno proponendo, come chirurgia per la diastasi dei retti, una Rives-Stoppa per via aperta od endoscopica. Che ne pensate? Vi sembra una opzione adeguata oppure – e questo e’ quel che penso io – e’ una chirurgia eccessiva per una condizione, come la diastasi, in cui non c’e’ un difetto di parete? Aprire l’aponeurosi dei retti non si potrebbe interpretare, in questi casi, come un danno iatrogeno del tutto inutile? Grazie per le vostre opinioni.”
Vediamo le risposte.
Derlin Juarez Muas: “Ottima domanda, Salvatore. Credo che in Chirurgia la cosa piu’ importante sia fare meno danno possibile. Credo che una tecnica di Bezama con diastasi associata ad ernie di meno di 3 cm, od una REPA con diastasi di qualsiasi dimensione ed ernie inferiori a 6 cm, siano eccellenti opzieni. In caso di ernie di diametro superiore a 6 cm, tecnica di Rives-Stoppa, con qualsiasi approccio”.
Quindi la Rives-Stoppa secondo il Dr. Juarez Muas e’ indicata solo quando siano presenti, insieme con la diastasi, ernie di diametro superiore a 6 cm.
Ma Derlin e’ colui che ha inventato la REPA, ed anche lui potrebbe essere considerato di parte. Vediamo altre risposte.
Miguel Magdaleno Garcia: “Considero un abuso aprire i retti solo per riparare una diastasi. Altra cosa se e’ presente un’ernia”.
Il Dr. Magdaleno Garcia e’ il Direttore della Clinica delle Ernie del Bajio, in Messico. Anche per il Dr. Magdaleno Garcia, la Rives-Stoppa e’ giustificata solo se sia presente un’ernia.
Alfredo Moreno Egea. Due parole su questo grandissimo chirurgo. Il Prof. Moreno Egea e’ Professore di Chirurgia nella facolta’ di Medicina dell’Universita’ di Murcia, e docente del Master di anatomia applicata alla clinica nella stessa Universita’. E’ responsabile dell’Unita’ di Parete Addominale dell’Ospedale Universitario JM Morales Meseguer, a Murcia; e’ autore, insieme con il Prof. Fernando Carbonell Tatay, di uno dei piu’ importanti trattati sulla chirurgia delle ernie e dei laparoceli attualmente esistenti in lingua spagnola, ed e’ riconosciuto essere uno dei maggiori Chirurghi di parete addominale del mondo.
“Ciao Salvatore. Sono completamente d’accordo. Non solo non esiste indicazione a una Rives, ma addirittura bisognerebbe sconsigliarla sempre. La diastasi dei retti, semplice o con ernia ombelicale (che nel 90% dei casi e’ un difetto di 1-2 cm), non giustifica mai una tecnica come quella di Rives, che si consiglia solo in difetti di 5-10 cm […]”
Ezequiel Palmisano: “Completamente d’accordo con Alfredo Moreno Egea. Salvatore, ne abbiamo gia’ discusso anche fuori dal forum… Personalmente, e basandomi sull’evidenza pubblicata, indico la Rives (aperta o endoscopica) solo con difetti da 5 cm in su. Pero’ in una diastasi dei retti con difetti minori di 5 cm o semplici […] preferisco la REPA. Questo e’ l’algoritmo che utilizziamo normalmente, anche se a volte adattandolo al paziente: Diastasi dei retti pura = REPA; diastasi dei retti con difetti inferiori a 5 = REPA; diastasi in pazienti maschi non obesi = Bezama (???); diastasi dei retti con difetti maggiori di 5 cm = eTEP”
Il Prof. Ezequiel Palmisano e’ uno dei piu’ noti Chirurghi di parete addominale argentini, Docente nel corso post-laurea di Chirurgia della Facolta’ di Scienze Mediche dell’Universita’ Nazionale di Rosario, nonche’ membro del Direttivo della High Tech Surgery Association, importante Societa’ transnazionale che si occupa dell’applicazione delle nuove tecnologie in chirurgia.
Jorge Bezama Murray: “Salvatore, hai visto come e’ semplice e poco invasivo il mio intervento, con eccellenti risultati per il paziente… Trovo che la Rives-Stoppa sia una esagerazione per la diastasi”.
Il Dr. Bezama Murray e’ l’autore della tecnica che porta il suo nome per il trattamento aperto mininvasivo della diastasi dei retti.
Manuel Martin: “Ciao Salvatore. Sono completamente d’accordo con quanto detto finora da Derlin, Bezama, Alfredo e Ezequiel. Per diastasi dei retti con ernia ombelicale minore di 5 cm, tecnica REPA. Nei difetti tra 5 e 10 cm, chiusura del difetto ricostruendo la linea media con tecniche endoscopiche (Rives-Stoppa con eTEP) o laparoscopiche (IPD), a seconda dell’esperienza del chirurgo”.
Il Dr. Manuel Martin e’ il Direttore Generale dell’Istituto Ispalense di Chirurgia e Laparoscopia avanzata, nonche’ Direttore del Servizio di Chirurgia Generale dell’Ospedale “Dr. Clemente Alvarez” di Rosario, in Spagna.
Riassumendo, finora il parere e’ unanime: niente Rives-Stoppa nella chirurgia endoscopica per la diastasi dei retti, se non in presenza di difetti di parete (ad es. ernie ombelicali od epigastriche) maggiori di 5 cm.
“Cari Colleghi, negli ultimi mesi nel mio Paese vi sono dei Chirurghi che, per il trattamento chirurgico della diastasi dei retti, stanno proponendo una tecnica che chiamano TESAR (Totally Endoscopic Sublay Anterior Repair). In questa tecnica, loro in realta’ realizzano una procedura di Rives attraverso un approccio endoscopico, simile all’approccio della REPA / SCOLA. Vorrei chiedere la vostra opinione sull’opportunita’ di realizzare un intervento di Rives-Stoppa per una diastasi dei retti. Io penso che si tratti di un eccesso: in questi pazienti, non si ha un difetto della parete addominale ma “solo” un’insufficienza della linea alba: aprire l’aponeurosi dei retti per collocare una rete retromuscolare (sublay) e’giustificato, secondo me, solo se si ha un “vero” difetto addominale di almeno 5 cm. Io credo che questo tipo d’intervento potrebbe causare un danno “iatrogeno” dovuto all’apertura dell’aponeurosi dei retti. Qual e’ la vostra opinione?”
Guillermo Pou Santonja: “Sono completamente d’accordo con il tuo modo di vedere in questo caso, Salvatore. Io normalmente realizzo una REPA in pazienti con diastasi associata a difetti della linea media, ma se il difetto e’ maggiore di 5 cm, preferisco la chirurgia open (Rives, SAC Carbonell). Non ho esperienza con la Rives-Stoppa per eTEP”
Il Dr. Pou e’ un Chirurgo di Valencia che si occupa quasi esclusivamente di Chirurgia della parete addominale.
Il Dr. Ramana Balasubramanian, chirurgo bariatrico e di parete addominale della Clinica BelleVue di Calcutta, e’ molto tranchant: “Salvatore, questa tecnica sembra avere gli svantaggi sia dell’approccio anteriore che del posteriore”.
Igor Belyansky: “Sì, potrebbe essere un problema se la dissezione viene eseguita in modo errato. Ogni volta che mi chiedo se sono troppo “in là” quando eseguo un intervento per via minimamente invasiva, mi pongo una domanda: come avrei risolto lo stesso problema 5 anni fa. Ho usato la via posteriore (eTEP, NdT) per riparare la diastasi realizzando quindi un’addominoplastica aperta in pazienti selezionati (lo faccio ancora in alcuni pazienti). Quindi, è già qualcosa che gia’ stavo facendo: per come la vedo, nei miei interventi mininvasivi sto riproducendo quello che altrimenti avrei fatto attraverso un approccio aperto“.
Breve inciso: ho spesso citato la sigla eTEP, che sta per Extended Totally Extra Peritoneal (approach) ossia approccio completamente extraperitoneale esteso. E’ piuttosto difficile da spiegare, ma sostanzialmente si tratta di una via minimamente invasiva in cui si entra posteriormente nel piano preperitoneale, dietro la fascia dei retti. Quindi una via completamente diversa dalla Rives endoscopica, che prevede un abbordaggio anteriore ai muscoli retti dell’addome.
Ma il punto e’ esattamente quello sottolineato dal Dr. Belyansky: noi riproduciamo, per via minimamente invasiva, quello che prima si faceva per via aperta. La tecnica e’ la stessa: la via minimamente invasiva ci permete di ridurre il dolore postoperatorio, la degenza, e, grazie ad alcune correzioni tecniche (la rete), la possibilita’ di recidive. Sinceramente, la tecnica di Rives-Stoppa per il trattamento di una “semplice” diastasi non e’ stata praticamente mai usata, per tutti i motivi ricordati finora.
Conclusioni: quale via per la chirurgia endoscopica della diastasi dei retti?
Abbiamo esaminato credo abbastanza dettagliatamente la tecnica di Rives-Stoppa eseguita per via endoscopica per la chirurgia endoscopica per la diastasi dei retti. Abbiamo utilizzato, per vagliarne l’opportunita’, il sistema piu’ usato in ambito medico per la valutazione di un argomento: la peer review, ossia la “revisione dei pari”, cioe’ di chi fa il tuo stesso lavoro. E tutti i “pari” hanno sostenuto quanto meno l’inopportunita’, se non la dannosita’, della tecnica di Rives-Stoppa per la riparazione di una diastasi non associata a difetti di parete di almeno 5 cm di diametro (ossia, circa il 95% delle diastasi). La tecnica di Rives-Stoppa rimane uno dei gold standard nella chirurgia dei difetti della linea media (in particolare dei laparoceli) di diametro compreso tra 5 e 10 cm: ma il vantaggio di eseguirla per riparare una diastasi dei retti e’, davvero, tutto da dimostrare.
https://i0.wp.com/diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2019/02/tecnica-di-rives-chirurgia-endoscopica-per-la-diastasi-dei-retti.png?fit=1078%2C838&ssl=18381078Salvatore Cuccomarinohttps://diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2021/05/logo-300x155.pngSalvatore Cuccomarino2019-02-06 23:04:452021-11-25 22:05:13Chirurgia endoscopica per la diastasi dei retti: quale tecnica?
REPA: la nuova chirurgia “gentile” per la diastasi dei muscoli retti
La parola “diastasi” deriva dal greco (diàstasis, “separazione”), ed in medicina indica tutte quelle condizioni in cui due strutture normalmente affiancate si separano. La diastasi dei muscoli retti dell’addome consiste quindi in una separazione dei muscoli retti addominali – due lunghi muscoli localizzati nella parete anteriore dell’addome ed estesi tra lo sterno e le coste, superiormente, ed il pube, inferiormente.
In condizioni normali i muscoli retti sono uniti tra loro mediante uno spesso cordoncino fibroso, chiamato linea alba. In determinate condizioni, però, questa si assottiglia ed appiattisce (a volte diventa sottile come un foglio di carta…), allargandosi: ciò determina una separazione dei muscoli (tecnicamente si parla di un aumento della IRD, Inter Recti Distance, distanza interrettale): e, se questa separazione è maggiore di 2,5 cm, si ha la diastasi dei muscoli retti addominali.
Al di sotto dei 2,5 cm la distanza interrettale viene considerata fisiologica; ciò perchè esistono differenze di genere (al di sotto dell’ombelico, ad esempio, è maggiore negli uomini rispetto alle donne nullipare, ossia che non hanno avuto figli); aumenta con le gravidanze, e dipende anche dalla sede anatomica (è in genere maggiore al di sopra dell’ombelico). Esistono poi dei fattori di rischio, ossia condizioni che possono provocare un aumento della IRD; tra di esse l’età, il numero di gravidanze, il parto cesareo ed il sovrappeso. Secondo uno studio recente, la diastasi dei retti interessa il 60% delle donne alla 21° settimana di gravidanza, e persiste nel 31,2% delle donne ad un anno dal parto. Si tratta quindi di un problema comune, che può influire profondamente sul benessere delle donne che ne soffrono.
I SINTOMI DELLA DIASTASI DEI MUSCOLI RETTI
Con il procedere della gravidanza, la forma dell’addome materno cambia profondamente, a causa dell’aumento delle dimensioni e del peso dell’utero e del feto. I muscoli dell’addome, e tra essi soprattutto i muscoli retti, si allungano e si si spostano lateralmente: questo provoca una alterazione dei vettori di contrazione dei muscoli, cioè delle linee lungo le quali i muscoli si contraggono. In circa un terzo delle donne ad un anno dal parto queste modifiche rimangono permanenti: ciò provoca una profonda e definitiva compromissione delle capacità di flessione del tronco e di contrazione armonica dei muscoli della parete addominale (il cosiddetto “torchio addominale”). Questo ha delle conseguenze negative tanto sulla capacità di mantenere eretto il tronco (essendo la postura eretta un risultato della contrazione armonica dei muscoli dorsali e dei muscoli addominali) – e il primo effetto è la comparsa di iperlordosi e dolore dorso-lombare – quanto sulle performances del pavimento pelvico, il che può condurre alla comparsa di incontinenza urinaria da stress, incontinenza fecale (meno frequentemente) e prolasso di organi pelvici come l’utero o la vescica. Oltre a ciò, anche l’aspetto dell’addome si modifica profondamente: la sua porzione sottoombelicale rimane prominente e tende a gonfiarsi nel corso della giornata, tanto che molte pazienti, al momento della visita, mi raccontano di svegliarsi “piatte” la mattina e di arrivare al pomeriggio così gonfie da sembrare al quinto mese di gravidanza.
I disturbi digestivi legati al “prolasso” degli organi addominali sono frequenti: si va dal semplice meteorismo, alla sensazione di pesantezza postprandiale, alla stipsi, al dolore addominale. La sensibilità ai traumi della parete dell’addome aumenta enormemente; e molte pazienti notano dei “movimenti” sotto pelle, che paragonano ai “calcetti” dati dai feti durante la gravidanza e che invece sono espressione dei normali movimenti dell’intestino (non visibili quando la parete dell’addome è normale).
LA DIAGNOSI
Il primo passo nella diagnosi della diastasi dei muscoli retti è l’autovalutazione; esistono diversi tutorials in rete che mostrano come valutare il proprio addome per capire se si sia o meno portatori di questa patologia.
Il ruolo nella diagnosi del Chirurgo specializzato nei trattamenti delle malattie della parete addominale è fondamentale, perchè è l’unico Professionista in grado di misurare con buona precisione il diametro della diastasi e valutare la presenza di eventuali ernie associate. Infatti, nella quasi totalità delle pazienti con diastasi dei retti addominali postgravidica è presente un’ernia ombelicale, cosa di grande importanza nella corretta pianificazione della strategia chirurgica; e non raramente ad essa si associano altre ernie della linea media, come l’ernia epigastrica.
L’ecografia della parete addominale è uno degli esami più frequentemente richiesti per la diagnosi; tuttavia la sua utilità, nella mia esperienza, è limitata, e non per una sola ragione: si tratta di un esame strettamente operatore-dipendente (ossia è attendibile solo se l’esperienza in diagnostica dei difetti della parete addominale del radiologo che la realizza è adeguata), non è standardizzato (spesso non vengono descritti i diametri della diastasi dei retti addominali o la presenza di ernie) e quasi sempre sottostima le reali dimensioni del problema. Ciò diventa evidente al momento dell’intervento, quando ci si accorge che le lunghezze e i diametri riportati dalle ecografie spesso non sono reali.
Sicuramente molto più precisa ed utile nella diagnostica delle patologie della parete addominale è la TAC dinamica, ossia una TAC, eseguita senza mezzo di contrasto, durante la quale il paziente viene invitato ad eseguire delle manovre (come la manovra di Valsalva) che evidenziano in maniera chiara ed esatta, indipendentemente dall’esperienza dell’operatore che la realizza, tanto la diastasi dei muscoli retti che le eventuali ernie, consentendo di misurarne i diametri, i volumi eccetera.
Tuttavia l’esame determinante, e nella grande maggioranza dei casi più che sufficiente, per la diagnosi di una diastasi dei retti addominali è l’esame clinico; se eseguito da un chirurgo esperto, permette di valutare con accuratezza tanto l’estensione che la larghezza nei vari punti della diastasi, nonchè la presenza di ernie eventualmente associate, consentendo di programmare in maniera corretta la chirurgia.
Nella mia pratica, io non chiedo mai un esame strumentale pre-visita, anche se spesso le pazienti arrivano in studio avendo già effettuato un’ecografia; e solo se alla fine dell’ispezione clinica non sono convinto, chiedo una TAC dinamica della parete addominale.
LA REPA, CHIRURGIA ENDOSCOPICA MININVASIVA DELLA DIASTASI DEI MUSCOLI RETTI
L’intervento tradizionale, e fino a poco tempo fa l’unico effettuato in Italia, per il trattamento della diastasi dei muscoli retti addominali è l’addominoplastica. Procedura storicamente patrimonio dei Chirurghi plastici / estetici, prevede un ampio taglio (da fianco a fianco, potremmo dire usando una terminologia poco scientifica…), la disinserzione della cute e del tessuto sottocutaneo dall’ombelico e lo stiramento verso il pube della pelle e del tessuto adiposo che essa sottende. Durante l’intervento, i due muscoli retti vengono cuciti tra loro sulla linea media (la cosiddetta “plicatura” dei muscoli retti). In alcuni casi e da alcuni chirurghi, se si è in presenza di una marcata prominenza della porzione sottoombelicale dell’addome, viene realizzata una “plicatura verticale o in accorciamento” dei muscoli obliqui, nel tetativo di “appiattire” la parete addominale. Quest’ultima procedura è piuttosto dolorosa e presenta, data l’elevata tensione a cui i muscoli sono sottoposti, un’elevata percentuale di recidive.
L’addominoplastica è utile nelle donne con “grembiule adiposo”, ossia con la porzione inferiore dell’addome che pende verso il monte di Venere per un eccesso di pelle e di tessuto adiposo; oppure negli obesi sottoposti a procedure di chirurgia bariatrica, al termine del periodo di dimagrimento. Questo perchè l’addominoplastica prevede l’esecuzione di una dermolipectomia, cioè l’asportazione della pelle in eccesso e del sottostante tessuto adiposo, che consente di correggere l’inestetismo causato appunto dal “grembiule adiposo”. Dalle pazienti magre, in buona forma fisica e senza “grembiule adiposo”, tuttavia l’addominoplastica è poco gradita, a causa dei suoi esiti cicatriziali molto ampi, della lunga convalescenza e dei rischi relativi al lembo dermoepidermico (tra cui la necrosi della cute e dell’ombelico).
Il Dr. Cuccomarino ed il Dr. Derlin Juares Muas, ideatore della tecnica R.E.P.A.
Da alcuni anni è disponibile un nuovo intervento minimamente invasivo per il trattamento della diastasi dei muscoli retti: la riparazione endoscopica pre-aponeurotica (REPA), tecnica messa a punto dal Dr. Derlin Juares Muas, noto chirurgo della parete addominale argentino. In questo intervento, attraverso tre piccole incisioni (due da 10 mm circa ed una da 5 mm circa) al di sopra del pube (nelle donne che hanno partorito per parto cesareo, usualmente queste incisioni cadono sulla cicatrice già esistente), con tecniche ben note ai chirurghi che si occupano di chirurgia laparoscopica avanzata si suturano le fasce dei muscoli retti addominali, ricostruendo la linea alba e riparando la diastasi, e si stabilizza e rinforza tale riparazione mediante il posizionamento di una rete ultraleggera – la qual cosa riduce sensibilmente il rischio di recidiva. Questo intervento, dai risultati davvero eccellenti, è molto popolare nei Paesi Iberoamericani (Spagna e Paesi dell’America Latina), e sta cominciando a diffondersi in molti Paesi europei. Io ho imparato questo intervento dallo stesso Dr. Juarez Muas, mio amico personale, e l’ho realizzato per la prima volta in Europa nel 2017.
È opportuno ricordare che chirurgia endoscopica e chirurgia laparoscopica non sono la stessa cosa. Nella chirurgia laparoscopica della parete addominale – a meno di padroneggiare tecniche molto avanzate di separazione dei componenti, oggi patrimonio di pochi chirurghi al mondo – quello che normalmente si fa è posizionare una rete per riparare un difetto della parete. Non si esegue, quindi, nessuna plicatura della fascia dei retti, rispetto ai quali il punto di vista del chirurgo e gli strumenti con cui lavora si collocano posteriormente.
Con la tecnica di riparazione endoscopica della diastasi dei muscoli retti dell’addome (REPA), invece, si realizza la plicatura per via anteriore, esattamente come nell’addominoplastica tradizionale, ma senza la cicatrice dell’addominoplastica. Possiamo dire che la chirurgia endoscopica è, come la chirurgia laparoscopica, minimamente invasiva; ma gli spazi in cui ci simuove, e quindi i gesti tecnici che si possono realizzare, sono molto diversi.
Una alternativa alla chirurgia laparoscopica della diastasi dei retti addominali (che come abbiamo detto è una “non-chirurgia”, in quanto non ripara la diastasi stessa) è la chirurgia robotica. Con il robot è possibile accedere, in maniera meno sicura rispetto alla REPA, alla superficie posteriore dei muscoli retti dell’addome ed in tal modo suturarli prima di collocare la rete. Tuttavia, si tratta di una riparazione “insufficiente” per motivi anatomici: la fascia posteriore dei muscoli retti dell’addome, infatti, è incompleta, essendo assente nel terzo inferiore della parete addominale; una separazione dei muscoli a questo livello, quindi – peraltro presente nella grande maggioranza delle pazienti – non può essere riparata con il robot. Un altro svantaggio non secondario della chirurgia robotica è il suo alto costo. Ancora, nella chirurgia robotica le incisioni chirurgiche vengono realizzate sul fianco della paziente e non al di sopra del pube, divenendo quindi molto più evidenti. Infine, dal momento che con gli strumenti robotici si entra all’interno della cavità addominale, è sempre presente, anche se contenuto, il rischio di lesione degli organi intracavitari (intestino, stomaco, fegato ecc.), rischio assente nella chirurgia endoscopica.
L’uso della rete nella chirurgia endoscopica della diastasi dei muscoli retti è parte fondamentale e non rinunciabile della tecnica. Tutti i chirurghi che si occupano di chirurgia della parete addominale sanno che qualsiasi riparazione di un suo difetto, fosse anche una piccola ernia ombelicale, senza l’uso di una protesi ha buone probabilità di fallire: le percentuali di recidive aumentano fino a valori oggi non più accettabili, ed in effetti esistono in Letteratura lavori che riportano incidenze a due cifre di recidiva della diastasi dopo addominoplastica (i chirurghi plastici non amano l’uso delle reti). La rete ha una fondamentale funzione di “impalcatura”, e favorisce la formazione del tessuto fibroso che stabilizza la sutura della fascia dei retti. È proprio questo tessuto fibroso che rende solida la riparazione: la sola sutura, col tempo, sarebbe destinata ad essere riassorbita o a frammentarsi.
Riguardo le complicanze postoperatoriedella tecnica REPA, la principale consiste nella formazione di sieromi od ematomi, che può essere minimizzata lasciando in sede un drenaggio per alcuni giorni e con l’applicazione di compressione e ghiaccio sull’addome; e, quando si verifichi, nella maggioranza dei casi può essere facilmente risolta con tecniche conservative senza dover reintervenire. La percentuale di recidive, proprio grazie all’uso della rete, è molto minore rispetto all’addominoplastica tradizionale, attestandosi al di sotto del 4% (ahimè, lo 0% ed il 100% in Medicina non esistono).
L’intervento prevede in genere una notte di ricovero in ospedale. I pazienti dovranno portare da subito e per un mese una fascia addominale, e per lo stesso tempo dovranno evitare di fare sforzi od attività sportiva.
In seguito dovranno eseguire, sotto la guida di un fisioterapista specificamente formato, dei cicli di drenaggio linfatico della parete addominale e, soprattutto, di ginnastica ipopressiva, conclusi i quali potrà tornare alle sue normali attività sia quotidiane che sportive. La fisioterapia è parte centrale del mio approccio multidisciplinare al trattamento della diastasi dei retti dei muscoli retti – io spesso dico alle pazienti che alla chirurgia è dovuto solo il 50% del merito del successo del trattamento, perchè l’altro 50% si deve alla fisioterapia – ed è mirata a “reinsegnare” ai muscoli a contrarsi correttamente ed al paziente ad assumere la postura corretta, che l’alterazione dei vettori di contrazione muscolare di cui ho parlato all’inizio gli ha fatto, con il tempo, perdere. In molte pazienti, al momento dell’intervento, io constato che, soprattutto nella parte inferiore dell’addome, i muscoli hanno perso completamente la loro capacità di contrarsi: ciò dà conto della “prominenza” della parte inferiore dell’addome di cui prima si è detto, e che può essere risolta stabilmente solo con un adeguato recupero muscolare, e non con quelle pratiche chirurgiche di accorciamento dei muscoli obliqui di cui ho già detto.
Diastasi dei muscoli retti e REPA: il video
Dr. Salvatore Cuccomarino
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