Parlare di addominoplastica mininvasiva sembra un ossimoro, è una definizione che apparentemente si contraddice da sola. Ma come: l’addominoplastica non è quell’intervento che lascia una cicatrice enorme, doloroso, con un recupero lungo e complicato?
Naturalmente sì.
Ma noi oggi possiamo capovolgere completamente questo paradigma e parlare, compiutamente, di addominoplastica mininvasiva: ovvero di un intervento dedicato a pazienti che normalmente sarebbero candidate ad addominoplastica ma oggi possono essere trattate con solo tre piccole incisioni al di sobra del pube. Possiamo farlo perchè la tecnologia più avanzata ci viene incontro e grazie all’esperienza che abbiamo accumulato con la REPA, la chirurgia mininvasiva della diastasi dei retti, e la LESC, la lipoemulsione sottocutanea.
Le immagini parlano spesso più e meglio delle parole: ecco cosa noi intendiamo per addominoplastica mininvasiva:
Queste fotografie sono state scattate in sala operatoria, subito prima di iniziare l’intervento. Si tratta di una bella signora di 45 anni, che dopo due gravidanze si era ritrovata con questo addome. Oltre ad una diastasi di 7 cm, ed un’ernia ombelicale di 1 cm, la paziente presentava la situazione adipo-cutanea addominale gravemente compromessa, anche come texture della pelle, come ben visibile nelle fotografie preoperatorie.
La paziente è stata sottoposta a LESC e REPA nella stessa seduta operatoria, in un intervento durato due ore e 20 minuti.
Questa foto è stata scattata dalla paziente a 10 giorni dall’intervento. Abitando la paziente in un’altra regione, piuttosto lontano dalla mia sede, le avevo chiesto, dopo la rimozione del drenaggio, di mandarmi una fotografia dell’addome, per avere un’idea di come procedesse il postoperatorio. Già si cominciano ad intravedere i risultati dell’addominoplastica mininvasiva da noi realizzata, ed in particolare il notevole miglioramento a livello del pannicolo adipo-cutaneo dell’addome ed anche della texture cutanea. La paziente, all’epoca della foto, aveva da poco iniziato i massaggi linfodrenanti e non ancora la fisioterapia, pratiche che rientrano sempre nel postoperatorio delle nostre pazienti sottoposte a riparazione di diastasi dei retti. Le uniche ferite chirurgiche sono le tre piccole incisioni visibili a livello del pube.
Questo è il risultato a tre mesi dall’intervento di addominoplastica mininvasiva, risultato che possiamo considerare stabile. La trasformazione dell’addome è evidente, e probabilmente non merita di essere ulteriormente commentata; ma forse vale la pena di evidenziare i cambiamenti della texture cutanea (in particolare a livello della zona periombelicale) difficilissimi da ottenere con una addominplastica tradizionale.
La paziente ha ottenuto quello che voleva: affrontareuna stagione balneare senza doversi vergognare della sua pancia.
Il nostro obbiettivo era molto più ambizioso: intervenire profondamente a tutti i livelli del core addominale (muscolare, fasciale, adiposo, cutaneo) restituendo a tutti la propria funzionalità, oltre che l’aspetto estetico. Possiamo affermare di esserci riusciti, e bene.
Ah, anche questa è una foto fatta dalla paziente, e nessun filtro o “photoshoppatura” è stato usato per “addomesticarne” l’effetto finale. Siamo chirurghi seri.
Che conclusioni possiamo trarre sull’addominoplastica mininvasiva?
L’addominoplastica ha avuto un ruolo centrale, nei decenni passati, nel rimodellamento addominale; possiamo dire che l’ha fatta da padrone.
Negli ultimi dieci anni le cose sono profondamente cambiate. Da un lato l’introduzione di tecniche di chirurgia a minima invasività per il trattamento della diastasi dei retti (come la REPA, già oggi considerata in alcune linee guida – come quella della SociedadHispanoamericana de Hernia – il gold standard per questo tipo di patologia), dall’altro lo sviluppo della tecnologia di lipoemulsione ad ultrasuoni (la LESC) che tra i suoi “effetti collaterali” ha quello di promuovere la sintesi di fibre elastiche nell’epidermide (e quindi la sua capacità di rimodellarsi) hanno fatto sì che, in mani esperte, molte indicazioni alla classica addominoplastica venissero a cadere. Perchè la nostra paziente avrebbe dovuto affrontare un’incisione chirurgica di oltre 30 cm, con un postoperatorio pesante ed un recupero faticoso, se si possono ottenere questi risultati con tre piccole incisioni che, se messe in fila, misurerebbero meno di 3 cm?
Se desiderate altre informazioni non dovete fare altro che contattarmi con il seguente modulo o via WhatsAPP
https://i0.wp.com/diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2022/07/Addominoplastica-stop-cicatrice-2.png?fit=1350%2C1125&ssl=111251350Salvatore Cuccomarinohttps://diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2021/05/logo-300x155.pngSalvatore Cuccomarino2022-07-15 19:52:352022-07-17 11:55:04Addominoplastica mininvasiva: il futuro è già qui
La lipoemulsione sottocutanea(LESC) è una tecnologia innovativa ed affidabile che, tramite un’apparecchiatura ad ultrasuoni di ultima generazione con certificazione medicale, permette la rimozione dei pannicoli adiposi localizzati e della cellulite. Utilizza cannule smusse di 2 cm di diametro che vengono introdotte nel pannicolo adiposo ottenendo non solo lo scioglimento del grasso ma anche un effetto lifting della zona trattata.
Dopo aver praticato una piccola incisione di 2 mm vengono emessi ultrasuoni tramite la punta della cannula; il grasso, una volta emulsionato, viene aspirato tramite una micro-cannula.
A fine trattamento il foro di introduzione della cannula viene chiuso con dei cerottini, senza bisogno di punti di sutura; infine viene applicata una guaina compressiva per 7-10 giorni.
Numerosi sono i vantaggi della LESC rispetto alla liposuzione tradizionale: – grazie alla multifrequenza pulsata, il calore rilasciato permette alla pelle di aderire al nuovo volume riducendo la flaccidità – maggior precisione di trattamento con conseguente omogeneità tissutale – la particolare forma delle cannule evita il rischio di embolia gassosa
Gli interventi di lipoemulsione sottocutanea vengono effettuati in anestesia locale attraverso l’iniezione nel grasso sottocutaneo di un volume molto diluito di anestetico locale (lidocaina) e di vasocostrittore capillare (epinefrina) per amplificare l’effetto cavitazionale. Per migliorare il confort del paziente, ridurre stato d’ansia e dolore intra-procedurale l’anestesia locale può essere associata alla sedazione cosciente.
Le zone che possono essere trattate con la LESC sono: mento, braccia, fianchi, addome, glutei, ginocchia, caviglie, interno-esterno coscia. Noi però, come le nostre azienti sanno, siamo innamorati della multidisciplinarietà dei trattamenti, ed assoceremo la lipoemulsione sottocuanea, laddove lo riterremo necessario e le pazienti lo accettino, alla REPA nel trattamento della diastasi dei retti, quando vi siano da rimodellare delle zone di adiposità sottocutanea in maniera da dare un miglior risultato anche dal punto di vista cosmetico alle nostre paienti con diastasi addominale. La valutazione specifica per la LESC sarà realizzata in un momento successivo alla prima visita, e la lipoemulsione sottocutanea sarà effettuata prima dell’intervento per diastasi dei retti.
In questa maniera, il nostro gruppo si conferma leader in Italia nel rimodellamento minimemente invasivo dell’addome e nei trattamenti per il recupero funzionale della parete addominale per le pazienti con diastasi dei retti. Chirurgia dolce ed efficace, sempre!
https://i0.wp.com/diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2021/11/lipoemulsione-sottocutanea-03.jpg?fit=438%2C438&ssl=1438438Salvatore Cuccomarinohttps://diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2021/05/logo-300x155.pngSalvatore Cuccomarino2021-11-07 11:46:282021-11-07 11:46:36La lipoemulsione sottocutanea: una nuova avventura!
Oggi vi racconto delle storie di Donne. Anzi, saranno loro stesse a raccontarvele.
Ognuno di noi Chirurghi può pensare di sé quel che vuole: credere di essere il migliore, un padreterno; a volte sapendo, tra sé e sé, di essere nulla più che un buon imbonitore, un affabulatore esperto che riesce a “vendere” il suo “prodotto”, magari a cifre esorbitanti. Potenza di internet e delle parole. Ma le parole, quelle degli altri, possono sì essere potenti: possono testimoniare una sfida, un successo, forse ottenuto dopo un percorso faticoso (nulla, a questo mondo, è gratis) ma alla fine pieno, totale.
Sono ormai quattro anni che parlo di REPA (che per la diastasi addominale rappresenta l’intervento in laparoscopia, o, meglio, in endoscopia) e che cerco di diffondere tra le donne tutte le informazioni possibili e scientificamente accurate sulla diastasi dei retti e sulla possibilità di trattarla con una chirurgia dolce, non invasiva e senza i rischi della sua più vecchia sorella, l’addominoplastica, o la fuffa di tecnologie inutili (in questo caso) e costosissime come il robot. La REPA è una chirurgia giovane, rivoluzionaria per molti versi, che fonda le sue radici sulla stretta collaborazione tra l’atto chirurgico e la fisioterapia postoperatoria: qualcosa a cui, in Italia, tra i chirurghi di parete, prima di me nessuno aveva pensato, che nessuno aveva mai studiato. Poteri dire che, pur tra difficoltà iniziali, fiere opposizioni di campanile, invidie e gelosie e, naturalmente, qualche fallimento (e chi non ne ha avuti?) è stato un successo: un vero successo terapeutico, di cui hanno beneficiato ormai più di 200 pazienti.
Ma tocca a me dirlo? No, naturalmente no: non posso essere il giudice di me stesso, se non nel mio intimo, per valutare criticamente quel che ho fatto e correggere i miei errori (e chi non sbaglia?). Devono essere gli altri: devono essere le mie pazienti a dire “sì, hai fatto bene” oppure “hai sbagliato tutto”.
Una delle cose belle di questa avventura è che, quando meno te lo aspetti, ti arriva il “grazie” di qualcuno; però non un “grazie” simbolico, di cortesia, quasi manieristico: bensì un “grazie” importante, dirompente, come un lampo in una notte nuvolosa.
Quelle che oggi vi lascio, come un regalo (perché tali sono state per me), sono storie di donne e diastasi. Raccontate da loro stesse. Buona visione!
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A due anni da quando ho introdotto la REPA in Italia, è giunto il momento di valutare cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale in termini di qualità della vita. Tipicamente, le pazienti che arrivano nel mio studio soffrono di lombalgia, incontinenza urinaria da stress, stipsi, sensazione di prolasso addominale; in circa il 95% dei casi hanno un’ernia ombelicale, talvolta anche altre ernie della linea alba, e comunque una qualità della vita pessima nonostante la loro giovane età. Spesso hanno letto molto sulla loro malattia, ma sono molto confuse: una delle loro preoccupazioni, quasi sempre inespressa, può riassumersi in una sola domanda: cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale? Se deciderò di compiere questo passo, non facile, e con tutte le difficoltà anche economiche che comporta, la mia qualità di vita ne migliorerà?
Questa è la prima domanda a cui io devo rispondere quando ho davanti una di loro. Ne vale la pena?
Oggi esistono vari test che sono in grado di quantificare i cambiamenti in termini di qualità di vita di un intervento chirurgico. Uno di questi è il CeQOL (Carolinas equation for Quality Of Life), lanciato nel 2012 ed in origine dedicato ai pazienti sottoposti ad intervento per ernia inguinale. Le domande che questo test prevede, tuttavia, si adattano bene ad ogni tipo di difetto della parete addominale. Per capire cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale nei pazienti sottoposti a REPA, abbiamo stilato un questionario basato sul CeQOL e l’abbiamo inviato a 120 pazienti, tutti di sesso femminile e con un follow-up variabile da 6 mesi a 2 anni. Ecco i risultati.
1. EPIDEMIOLOGIA
Chi sono le pazienti che si sottopongono alla REPA, l’ormai conosciutissimo intervento chirurgico endoscopico minimamente invasivo per la riparazione della diastasi dei retti?
Tipicamente, si tratta di giovani donne (l’età media è 42 anni), che hanno partorito in media due volte, essendo state sottoposte nella maggioranza dei casi a parto cesareo. In genere sono pazienti in ottime condizioni di salute, magre (il peso medio è di circa 55 kg, il BMI medio è di poco superiore a 21), sportive, con un’intensa vita sociale e familiare. La diastasi, di cui si sono accorte generalmente (ma non necessariamente) dopo il secondo parto, ha devastato la qualità della loro vita familiare e sociale; non si riconoscono più nel loro corpo, a volte ne hanno vergogna; in più del 70% dei casi soffrono di lombalgia, che hanno cercato di curare in tutti i modi senza risultato; in quasi il 38% dei casi di incontinenza urinaria da stress (ma anche a riposo), sintomo estremamente debilitante per loro, anche in rapporto alla giovane età. I disturbi digestivi, in cui predomina la stitichezza (non presente prima della gravidanza) sono presenti nel 53% dei casi. La dimensione media della diastasi, al momento della visita, è di 5 cm di larghezza; il 95,7% è portatrice di un’ernia ombelicale (di cui spesso, prima della visita, ignorava la presenza).
Capite bene quanto sia impegnativo, e debba essere affrontato con serietà, il compito di rispondere alla domanda che in fondo le ha portate da me: cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale?Avrò la possibilità di riprendere in mano la mia vita? Perchè di questo si tratta.
2. METODOLOGIA DELL’INDAGINE.
Abbiamo inviato una mail a 120 pazienti sottoposte a REPA e con un follow-up medio variabile tra 6 e 26 mesi. Di esse, hanno risposto in 83. La domanda chiave che abbiamo posto per valutare cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale è stata: fatta uguale a 5 l’intensità di un sintomo x presente prima dell’intervento, come è cambiata (se è cambiata) dopo l’intervento?
I sintomi presi in considerazione sono stati:
Lombalgia
Incontinenza urinaria
Meteorismo
Stipsi
Sensazione di prolasso addominale
Difetti posturali (l’iperlordosi delle pazienti è frequentissima, e spesso esse tendono ad acquisire una postura inclinata verso avanti)
Sensazione di movimenti addominali (come i calcetti di un feto durante la gravidanza)
Ecco i risultati:
a) LOMBALGIA: il valore medio riportato dalle pazienti è stato 1
b) INCONTINENZA URINARIA: anche in questo caso è stato 1
c) METEORISMO (gonfiore addominale): 1
d) STITICHEZZA: 1
e) SENSAZIONE DI PROLASSO ADDOMINALE: 0
f) DIFETTI POSTURALI: 1
g) SENSAZIONE DI MOVIMENTI ADDOMINALI: 0
Abbiamo poi posto una domanda difficile e pericolosa, trattandosi di una valutazione setremamente soggettiva e sottoposta a mille variabili: DA 1 A 5, QUANTO LA SODDISFA IL RISULTATO “COSMETICO” DELL’INTERVENTO? La risposta media è stata 4.
Sono state poste anche molte altre domande, derivate direttamente dal CeQOL, sull’effetto dell’intervento nei normali atti della vita quotidiana (alzarsi dal letto, salire le scale, tossire, praticare sport…); i dati sono stati raccolti in un articolo in pubblicazione su una prestigiosa rivista scientifica, e quindi non possono essere al momento diffusi; posso però dire che sono estremamente soddisfacenti, e che sarà mia cura condividere l’articolo non appena verrà dato alle stampe.
CONCLUSIONI: COSA CAMBIA DOPO L’INTERVENTO PER DIASTASI ADDONINALE NELLA “QUALITY OF LIFE” DELLE PAZIENTI OPERATE?
Cambia molto, eccome. Sintomi presenti prima dell’intervento e considerati debilitanti dalle pazienti si riducono in maniera estremamente significativa o scompaiono del tutto dopo la chirurgia. Le pazienti si riappropriano della propria vita, e, con essa, della propria felicità: e tutto ciò con un intervento, la REPA, la cui minima invasività è certificata dal fatto che solo nel 4,3% dei casi le pazienti hanno dovuto assumere antidolorifici per più di una settimana (il tempo medio di mantenimento del drenaggio).
Che altro aggiungere? Non posso che dichiararmi estremamente soddisfatto del lavoro effettuato da me e dalla mia équipe fino ad oggi. Ma questo non può che essere carburante per la sfida successiva: diffondere il più possibile la tecnica, diffonderne i risultati, perchè sempre più pazienti possano esserne beneficiati.
In questo ho bisogno anche dell’aiuto di chi legge: aiutatemi, condividete il più possibile questi dati, condividete i miei articoli: chi è affetto da diastasi dei retti non potrà, in futuro, che ringraziarvi.
La diastasi addominale – o diastasi dei retti – è una patologia ancora poco conosciuta in Italia. In questo articolo troverete tutte le spiegazioni su cosa sia la diastasi dei retti, chi ne soffre, a quali altre malattie si associa e su che principi si basi la REPA, il nostro ormai conosciutissimo intervento endoscopico per il trattamento minimamente invasivo della diastasi addominale.
Nell’intervento classico per la riparazione della diastasi addominale, l’addominoplastica realizzata dai chirurghi plastici, la rete non viene quasi mai usata. Nella REPA, invece, il posizionamento di una rete è uno dei passi cruciali dell’intervento: questo ha consentito di ridurre le recidive della diastasi (riportate, in alcune casistiche di addominoplastica, al di sopra del 20%) a meno dell’1% per la REPA.
Pancia gonfia dopo l’intervento per diastasi addominale
Purtroppo, vi sono dei casi in cui, dopo l’intervento per diastasi dei retti, la pancia rimane gonfia. Perchè? Si è trattato di un errore del chirurgo? No: questo articolo ne spiega i motivi e le possibili soluzioni.
Il mal di schiena è uno dei più frequenti ed invalidanti sintomi della diastasi dei retti. Volete sapere perchè chi ha la diastasi addominale ha, spessissimo, mal di schiena? Leggete questo articolo.
Un’altra, grave condizione spesso associata alla diastasi dei retti è l’incontinenza urinaria. Ma perchè le donne (è un problema esclusivamente fenninile) con diastasi addominale ne soffrono? La spiegazione è nell’articolo che segue.
Come sanno bene le mie pazienti sottoposte a REPA, nel mio programma di trattamento della
diastasi dei retti la fisioterapia postoperatoria gioca un ruolo fondamentale (il 50% del successo, dico spesso a chi viene in studio). Insieme con la d.ssa Federica Crivellaro abbiamo sviluppato, PRIMI IN ITALIA ED EUROPA, un protocollo fisioterapico postoperatorio basato sulla ginnastica ipopressiva per ridare ai muscoli addominali il tono e la contrattilità adeguati.
Una delle tecniche chirurgiche mininvasive oggi più propagandate per il trattamento della diastasi dei retti è quella robotica. Nell’articolo che segue spiego perchè si tratti di una procedura non così minimamente invasiva ed adeguata per la chirurgia della diastasi addominale.
L’approccio robotico non è l’unica tecnica minimamente invasiva oggi indicata per la chirurgia della diastasi di retti: molte altre sono state proposte, quasi tutte basate sulla tecnica di Rives. Ma di che si tratta? Sono davvero tecniche mininvasive? E sono davvero efficaci?
Abbiamo finora parlato di tecniche chirurgiche e sintomi associati alla diastasi addominale: ma quali sono i risultati della REPA? Ce lo racconta uno studio multicentrico che, insieme con altri dieci Centri chirurgici sparsi per il mondo, abbiamo pubblicato nell’aprile 2019.
Il trattamento chirurgico della diastasi addominale è sempre stato patrimonio dei Chirurghi
plastici, che hanno visto come un intervento “a gamba tesa” l’arrivo del Dr. Cuccomarino, un Chirurgo generale specialista in chirurgia della parete addominale, e della sua REPA. In questo articolo spiego perchè, invece, la diastasi dei retti sia proprio pane per il Chirurgo generale, ancor più che per il Chirurgo plastico.
Per noi Chirurghi che in giro per il mondo realizziamo la REPA è molto chiaro il principio che il riavvicinamento dei muscoli retti allalinea media dell’addome deve avvenire con una sutura che non sia sotto tensione, pena l’aumento del rischio di recidiva della diastasi addominale. Ma se la diastasi dei retti è molto ampia è davvero difficile suturare i muscoli senza tensione. Per questo motivo, sulla scorta delle esperienze nella chirurgia dei grandi laparoceli, abbiamo introdotto, con risultati eccellenti, l’uso della tossina botulinica A preoperatoria nei pazienti con diastasi addominale.
REPA e qualità di vita: cosa cambia dopo l’intervento?
Le pazienti che giungono al mio studio, spesso dopo essere passate da altri due o tre Chirurghi ed aver ascoltato le più varie opinioni sulla diastasi e sulle maniere di operarla, sono, anche se informate, spesso molto confuse. Sanno solo una cosa: che la qualità della loro vita è gravemente compromessa dalla diastasi; lombalgia, meteorismo, incontinenza urinaria, il perdere il proprio aspetto normale sono tutte cose che hanno compromesso gravemente la loro esistenza. Per cui la prima domandda a cui sono chiamato a rispondere è: Dottore, cosa cambia dopo l’intervento? Vediamo cosa ne pensano le pazienti già operate: ecco i dati di una survey condotta su pazienti con follow-up postoperatorio da 6 a 26 mesi.
Negli ultimi anni, la chirurgia endoscopica per la diastasi dei retti ha conosciuto una popolarita’ ed una diffusione sempre maggiori. Il primo intervento endoscopico per la diastasi dei retti, la REPA, e’ stato da me introdotto in Italia nel 2017, e a tutt’oggi la mia continua ad essere l’unica equipe che lo realizza. Sulla scia del successo avuto dalla REPA, altri gruppi hanno cominciato a utilizzare tecniche di chirurgia endoscopica per la diastasi dei retti.
Tra esse, la piu’ utilizzata e’ la versione endoscopica della tecnica di Rives-Stoppa.
La tecnica di Rives-Stoppa nella chirurgia endoscopica per la diastasi dei retti
Innanzi tutto, bisogna chiarire che la tecnica di Rives nasce NON come terapia chirurgica endoscopica della diastasi dei retti, ma bensi’ come trattamento dei laparoceli (ovvero delle ernie addominali dovute a cedimento delle suture muscolo-fasciali) per via aperta. Rives pubblico’ la sua casistica , comprendente 258 pazienti, nel 1992, segnalando una percentuale di recidive del 6,2%. Da un’analisi complessiva della Letteratura medica pubblicata tra quella data e il 2006, la percentuale di recidive riportata e’ del 7,5%. Un lavoro pubblicato nel 2007 sul World Journal of Surgery (un’importante rivista con elevato impact factor) ci dice qualcosa di piu’ sulle complicanze postoperatorie di questa tecnica: sieromi = 4%, infezioni della protesi = 3%.
Esistono pochissimi lavori in Letteratura sulla tecnica di Rives realizzata per via endoscopica. In un report preliminare del 2018, vengono presentati 26 casi con follow-up di circa un anno (davvero poco per valutare i risultati a medio e lungo termine). Di un altro articolo, in cinese, che riporta altri 11 casi di pazienti operati con questa tecnica, con un follow up di un anno, ci e’ stato possibile leggere solo l’abstract.
In tutti i casi si tratta di pazienti sottoposti ad intervento chirurgico per laparocele od ernia della parete addominale; non esistono, a quanto mi e’ noto, lavori dedicati all’utilizzo della tecnica di Rives nella chirurgia endoscopica per la diastasi dei retti.
Per capire bene cosa sia la tecnica di Rives, puo’ essere utile guardare una graziosa animazione pubblicata su YouTube dall’Hernia Institute of New Jersey.
Anche in questo caso si esemplifica una riparazione di un’ernia addominale. La tecnica prevede l’incisione, su entrambi i lati, del foglietto anteriore della fascia dei muscoli retti; i muscoli retti vengono quindi separati ognuno dal proprio foglietto posteriore. I due foglietti posteriori vengono riuntiti con una sutura, ed una rete viene posizionata dietro i muscoli retti; al termine della procedura, i due foglietti anteriori della guaina dei retti vengono ricuciti per richiudere l’incisione effettuata all’inizio dell’intervento.
La comunita’ chirurgica internazionale e’ oggi concorde sull’utilizzo della tecnica di Rives-Stoppa nei difetti della parete addominale di diametro compreso tra 5 e 10 cm.
È opportuno incidere la guaina dei retti nella chirurgia endoscopica della diastasi dei retti?
La diastasi dei retti, tuttavia, non e’ un difetto della parete addominale. Mi sono quindi posto la domanda: se la parete addominale e’ integra, se cioe’, per semplificare, non c’e’ un buco (un’ernia o un laparocele) in essa, e’ opportuno incidere la fascia dei retti e scollare i muscoli dal loro rivestimento posteriore? Non si corre il rischio di indebolire la parete addominale, e comunque di sottoporre il paziente ad una chirurgia eccessiva? In effetti, se si guarda alla percentuale di recidive riportata negli studi prima citati (percentuale del tutto accettabile in caso di riparazione di un’ernia o di un laparocele, MA NON di una patologia, come la diastasi, in cui tali difetti non sono presenti, o se ci sono sono in genere ben piu’ piccoli di 5 cm), la risposta potrebbe essere: si’, il rischio esiste.
Pero’ e’ ovvio che il mio e’ un giudizio di parte. Ho pensato quindi di girare la domanda a Colleghi Chirurghi di tutto il mondo che siano esperti allo stesso tempo di chirurgia mininvasiva, chirurgia della parete addominale e chirurgia endoscopica per la diastasi dei retti. Questo “audit” sarebbe stato difficilissimo solo fino a qualche anno fa, ma oggi internet da’ la possibilita’ di abbattere i tempi e le distanze.
Ci sono due grandi forum di chirurgia della parete addominale su Facebook: quello della Sociedad Hispanoamericana de Hernia (SoHAH), in lingua spagnola, e quello della International Hernia Collaboration, in lingua inglese. Entrambi sono forum chiusi, ed accessibili solo a Chirurghi che abbiano comprovata e riconosciuta (nel mondo) esperienza in chirurgia della parete addominale.
Cominciamo dal forum della SoHAH. Questa e’ la domanda che ho posto:
“Stimati Colleghi, vi chiedo un’opinione. Negli ultimi mesi, in Italia diversi chirurghi stanno proponendo, come chirurgia per la diastasi dei retti, una Rives-Stoppa per via aperta od endoscopica. Che ne pensate? Vi sembra una opzione adeguata oppure – e questo e’ quel che penso io – e’ una chirurgia eccessiva per una condizione, come la diastasi, in cui non c’e’ un difetto di parete? Aprire l’aponeurosi dei retti non si potrebbe interpretare, in questi casi, come un danno iatrogeno del tutto inutile? Grazie per le vostre opinioni.”
Vediamo le risposte.
Derlin Juarez Muas: “Ottima domanda, Salvatore. Credo che in Chirurgia la cosa piu’ importante sia fare meno danno possibile. Credo che una tecnica di Bezama con diastasi associata ad ernie di meno di 3 cm, od una REPA con diastasi di qualsiasi dimensione ed ernie inferiori a 6 cm, siano eccellenti opzieni. In caso di ernie di diametro superiore a 6 cm, tecnica di Rives-Stoppa, con qualsiasi approccio”.
Quindi la Rives-Stoppa secondo il Dr. Juarez Muas e’ indicata solo quando siano presenti, insieme con la diastasi, ernie di diametro superiore a 6 cm.
Ma Derlin e’ colui che ha inventato la REPA, ed anche lui potrebbe essere considerato di parte. Vediamo altre risposte.
Miguel Magdaleno Garcia: “Considero un abuso aprire i retti solo per riparare una diastasi. Altra cosa se e’ presente un’ernia”.
Il Dr. Magdaleno Garcia e’ il Direttore della Clinica delle Ernie del Bajio, in Messico. Anche per il Dr. Magdaleno Garcia, la Rives-Stoppa e’ giustificata solo se sia presente un’ernia.
Alfredo Moreno Egea. Due parole su questo grandissimo chirurgo. Il Prof. Moreno Egea e’ Professore di Chirurgia nella facolta’ di Medicina dell’Universita’ di Murcia, e docente del Master di anatomia applicata alla clinica nella stessa Universita’. E’ responsabile dell’Unita’ di Parete Addominale dell’Ospedale Universitario JM Morales Meseguer, a Murcia; e’ autore, insieme con il Prof. Fernando Carbonell Tatay, di uno dei piu’ importanti trattati sulla chirurgia delle ernie e dei laparoceli attualmente esistenti in lingua spagnola, ed e’ riconosciuto essere uno dei maggiori Chirurghi di parete addominale del mondo.
“Ciao Salvatore. Sono completamente d’accordo. Non solo non esiste indicazione a una Rives, ma addirittura bisognerebbe sconsigliarla sempre. La diastasi dei retti, semplice o con ernia ombelicale (che nel 90% dei casi e’ un difetto di 1-2 cm), non giustifica mai una tecnica come quella di Rives, che si consiglia solo in difetti di 5-10 cm […]”
Ezequiel Palmisano: “Completamente d’accordo con Alfredo Moreno Egea. Salvatore, ne abbiamo gia’ discusso anche fuori dal forum… Personalmente, e basandomi sull’evidenza pubblicata, indico la Rives (aperta o endoscopica) solo con difetti da 5 cm in su. Pero’ in una diastasi dei retti con difetti minori di 5 cm o semplici […] preferisco la REPA. Questo e’ l’algoritmo che utilizziamo normalmente, anche se a volte adattandolo al paziente: Diastasi dei retti pura = REPA; diastasi dei retti con difetti inferiori a 5 = REPA; diastasi in pazienti maschi non obesi = Bezama (???); diastasi dei retti con difetti maggiori di 5 cm = eTEP”
Il Prof. Ezequiel Palmisano e’ uno dei piu’ noti Chirurghi di parete addominale argentini, Docente nel corso post-laurea di Chirurgia della Facolta’ di Scienze Mediche dell’Universita’ Nazionale di Rosario, nonche’ membro del Direttivo della High Tech Surgery Association, importante Societa’ transnazionale che si occupa dell’applicazione delle nuove tecnologie in chirurgia.
Jorge Bezama Murray: “Salvatore, hai visto come e’ semplice e poco invasivo il mio intervento, con eccellenti risultati per il paziente… Trovo che la Rives-Stoppa sia una esagerazione per la diastasi”.
Il Dr. Bezama Murray e’ l’autore della tecnica che porta il suo nome per il trattamento aperto mininvasivo della diastasi dei retti.
Manuel Martin: “Ciao Salvatore. Sono completamente d’accordo con quanto detto finora da Derlin, Bezama, Alfredo e Ezequiel. Per diastasi dei retti con ernia ombelicale minore di 5 cm, tecnica REPA. Nei difetti tra 5 e 10 cm, chiusura del difetto ricostruendo la linea media con tecniche endoscopiche (Rives-Stoppa con eTEP) o laparoscopiche (IPD), a seconda dell’esperienza del chirurgo”.
Il Dr. Manuel Martin e’ il Direttore Generale dell’Istituto Ispalense di Chirurgia e Laparoscopia avanzata, nonche’ Direttore del Servizio di Chirurgia Generale dell’Ospedale “Dr. Clemente Alvarez” di Rosario, in Spagna.
Riassumendo, finora il parere e’ unanime: niente Rives-Stoppa nella chirurgia endoscopica per la diastasi dei retti, se non in presenza di difetti di parete (ad es. ernie ombelicali od epigastriche) maggiori di 5 cm.
“Cari Colleghi, negli ultimi mesi nel mio Paese vi sono dei Chirurghi che, per il trattamento chirurgico della diastasi dei retti, stanno proponendo una tecnica che chiamano TESAR (Totally Endoscopic Sublay Anterior Repair). In questa tecnica, loro in realta’ realizzano una procedura di Rives attraverso un approccio endoscopico, simile all’approccio della REPA / SCOLA. Vorrei chiedere la vostra opinione sull’opportunita’ di realizzare un intervento di Rives-Stoppa per una diastasi dei retti. Io penso che si tratti di un eccesso: in questi pazienti, non si ha un difetto della parete addominale ma “solo” un’insufficienza della linea alba: aprire l’aponeurosi dei retti per collocare una rete retromuscolare (sublay) e’giustificato, secondo me, solo se si ha un “vero” difetto addominale di almeno 5 cm. Io credo che questo tipo d’intervento potrebbe causare un danno “iatrogeno” dovuto all’apertura dell’aponeurosi dei retti. Qual e’ la vostra opinione?”
Guillermo Pou Santonja: “Sono completamente d’accordo con il tuo modo di vedere in questo caso, Salvatore. Io normalmente realizzo una REPA in pazienti con diastasi associata a difetti della linea media, ma se il difetto e’ maggiore di 5 cm, preferisco la chirurgia open (Rives, SAC Carbonell). Non ho esperienza con la Rives-Stoppa per eTEP”
Il Dr. Pou e’ un Chirurgo di Valencia che si occupa quasi esclusivamente di Chirurgia della parete addominale.
Il Dr. Ramana Balasubramanian, chirurgo bariatrico e di parete addominale della Clinica BelleVue di Calcutta, e’ molto tranchant: “Salvatore, questa tecnica sembra avere gli svantaggi sia dell’approccio anteriore che del posteriore”.
Igor Belyansky: “Sì, potrebbe essere un problema se la dissezione viene eseguita in modo errato. Ogni volta che mi chiedo se sono troppo “in là” quando eseguo un intervento per via minimamente invasiva, mi pongo una domanda: come avrei risolto lo stesso problema 5 anni fa. Ho usato la via posteriore (eTEP, NdT) per riparare la diastasi realizzando quindi un’addominoplastica aperta in pazienti selezionati (lo faccio ancora in alcuni pazienti). Quindi, è già qualcosa che gia’ stavo facendo: per come la vedo, nei miei interventi mininvasivi sto riproducendo quello che altrimenti avrei fatto attraverso un approccio aperto“.
Breve inciso: ho spesso citato la sigla eTEP, che sta per Extended Totally Extra Peritoneal (approach) ossia approccio completamente extraperitoneale esteso. E’ piuttosto difficile da spiegare, ma sostanzialmente si tratta di una via minimamente invasiva in cui si entra posteriormente nel piano preperitoneale, dietro la fascia dei retti. Quindi una via completamente diversa dalla Rives endoscopica, che prevede un abbordaggio anteriore ai muscoli retti dell’addome.
Ma il punto e’ esattamente quello sottolineato dal Dr. Belyansky: noi riproduciamo, per via minimamente invasiva, quello che prima si faceva per via aperta. La tecnica e’ la stessa: la via minimamente invasiva ci permete di ridurre il dolore postoperatorio, la degenza, e, grazie ad alcune correzioni tecniche (la rete), la possibilita’ di recidive. Sinceramente, la tecnica di Rives-Stoppa per il trattamento di una “semplice” diastasi non e’ stata praticamente mai usata, per tutti i motivi ricordati finora.
Conclusioni: quale via per la chirurgia endoscopica della diastasi dei retti?
Abbiamo esaminato credo abbastanza dettagliatamente la tecnica di Rives-Stoppa eseguita per via endoscopica per la chirurgia endoscopica per la diastasi dei retti. Abbiamo utilizzato, per vagliarne l’opportunita’, il sistema piu’ usato in ambito medico per la valutazione di un argomento: la peer review, ossia la “revisione dei pari”, cioe’ di chi fa il tuo stesso lavoro. E tutti i “pari” hanno sostenuto quanto meno l’inopportunita’, se non la dannosita’, della tecnica di Rives-Stoppa per la riparazione di una diastasi non associata a difetti di parete di almeno 5 cm di diametro (ossia, circa il 95% delle diastasi). La tecnica di Rives-Stoppa rimane uno dei gold standard nella chirurgia dei difetti della linea media (in particolare dei laparoceli) di diametro compreso tra 5 e 10 cm: ma il vantaggio di eseguirla per riparare una diastasi dei retti e’, davvero, tutto da dimostrare.
https://i0.wp.com/diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2019/02/tecnica-di-rives-chirurgia-endoscopica-per-la-diastasi-dei-retti.png?fit=1078%2C838&ssl=18381078Salvatore Cuccomarinohttps://diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2021/05/logo-300x155.pngSalvatore Cuccomarino2019-02-06 23:04:452021-11-25 22:05:13Chirurgia endoscopica per la diastasi dei retti: quale tecnica?
L’associazione tra incontinenza urinaria e diastasi dei retti sarebbe stata impensabile fino a solo quindici anni fa: i fisioterapisti non avrebbero mai tenuto in considerazione i muscoli del pavimento pelvico nei loro trattamenti per il dolore lombare, ed avrebbero scoraggiato l’uso dei muscoli addominali nei pazienti con incontinenza urinaria. Oggi il paradigma è completamente cambiato – e questo, dobbiamo riconoscerlo, anche grazie al fatto che i Chirurghi Generali hanno cominciato a interessarsi di diastasi dei retti: i muscoli del pavimento pelvico sono considerati parte del complesso muscolare addominale, ed a loro è riconosciuta una duplice funzione: quella di contribuire da un lato a mantenere la stabilità del tronco, e dall’altro la continenza tanto urinaria che fecale.
E’ noto che la semplice riabilitazione del pavimento pelvico (ad esempio con gli esercizi di Kegel) non e’ sufficiente ad evitare a lungo termine l’incontinenza urinaria nelle donne dopo un parto vaginale; di contro, già nel 1984 Gordon e coll. avevano evidenziato che, aspecificamente, l’attività fisica può evitare la comparsa di incontinenza, mettendo pertanto in evidenza il ruolo di muscoli diversi da quelli del pavimento pelvico nel controllo della continenza.
Anatomia del pavimento pelvico
Come sempre, per capire le relazioni tra incontinenza urinaria e diastasi dei retti è indispensabile conoscere, almeno per grandi linee, l’anatomia, peraltro piuttosto complessa, del pavimento pelvico.
Il pavimento pelvico è una struttura imbutiforme costituita da muscoli che si inseriscono nella porzione inferiore delle pareti della pelvi, separando la cavità pelvica dal perineo. In esso vi sono due “fori” principali: lo iato urogenitale, anteriore, attraverso cui passano l’uretra e, nelle donne, la vagina; e, dietro di questo, lo iato rettale, attraversato dal canale anale. Tra i due iati è presente una struttura fibromuscolare particolarmente densa, chiamata corpo perineale, che funziona da zona di inserzione di vari muscoli, tra cui il muscolo elevatore dell’ano. Quest’ultimo è uno dei due muscoli che costituiscono il pavimento pelvico. In effetti, è più corretto dire che si tratta di un complesso costituito, su ogni lato, da tre muscoli: il primo è il muscolo puborettale, la cui funzione è quella di piegare in avanti il canale anale; alcune sue fibre, molto importanti, chiamate fibre prerettali, formano una specie di fionda che si affianca all’uretra nell’uomo ed all’uretra e alla vagina nella donna: queste fibre sono di importanza fondamentale nel preservare la continenza urinaria, specie sotto sforzo. Il secondo muscolo del pavimento pelvico è il pubococcigeo, che, nascendo dal pube, decorre affiancato al muscolo puborettale e si inserisce posteriormente sul coccige e sul legamento ano-coccigeo. Il terzo muscolo, più sottile, è l’iliococcigeo, che nasce dall’ileo (uno delle ossa che compongono il bacino), decorre affiancato al muscolo pubococcigeo e si inserisce sul coccige e sul legamento anococcigeo. Dei tre muscoli, l’iliococcigeo è il vero “elevatore” dell’ano: contraendosi solleva il pavimento pelvico ed il canale anale. Il muscolo coccigeo è il muscolo più piccolo e posteriore del pavimento pelvico, essendo situato dietro dell’elevatore dell’ano.
Pur avendo “anatomizzato” il pavimento pelvico, descrivendolo muscolo per muscolo, in realtà esso è piuttosto da considerare come un’unica unità funzionale muscoloscheletrica composta da muscoli e legamenti. La prima cosa da dire rispetto alla sua funzione riguarda il ruolo della familiarità nello sviluppo di una insufficienza del pavimento pelvico: ossia, per dirla in parole semplici, le donne con una madre che abbia sofferto di prolasso degli organi pelvici, hanno una probabilità statisticamente maggiore di svilupparlo a propria volta. Perché? Ci sono molti fattori identificati in letteratura, ed uno di questi è un errore nella sintesi di collagene di tipo III – esattamente come nella diastasi dei retti. E qui potremmo cominciare ad identificare un primo elemento di rapporto, a livello molecolare, tra incontinenza urinaria e diastasi dei retti. Ma andiamo avanti.
Incontinenza urinaria e diastasi dei retti: cosa sappiamo
Il ruolo del pavimento pelvico è quello di mantenere la continenza urinaria e fecale e sostenere gli organi addominali, che, per gravità, tendono a prolassare. Quindi, i muscoli del pavimento pelvico devono reagire rapidamente a qualsiasi variazione della pressione intraaddominale (che tende tanto a spingere verso il basso gli organi che a “spremere” sia la vescica che l’intestino, favorendo l’eliminazione dell’urina e delle feci), anzi: devono essere in grado di reagire primache la pressione intraaddominale vari. In effetti, i muscoli del pavimento pelvico costituiscono una fondamentale unità muscolare antigravitazionale dell’organismo: la loro continua attività in tal senso è stata ben dimostrata già da tempo. E’ noto, a proposito dei rapporti che intercorrono tra contrazione dei muscoli addominali e muscoli del pavimento pelvico, come la contrazione di quest’ultimo provochi una contrazione dei muscoli obliqui (soprattutto l’obliquo interno) e del muscolo trasverso dell’addome; e, in maniera del tutto speculare, che una contrazione degli stessi muscoli addominali causi una contrazione del pavimento pelvico.
E da qui nasce il pradigma secondo cui i muscoli del pavimento pelvico costituiscono parte del sistema muscolare che controlla la stabilità del tronco; è noto che alterazioni a carico di altri muscoli di tale sistema (come, ad esempio, i muscoli della parete addominale) possano influenzare il tono dei muscoli del pavimento pelvico: una riduzione di quest’ultimo, ad esempio, si ritrova nelle donne con lombalgia cronica, come conseguenza della ridotta attività del muscolo trasverso dell’addome in queste pazienti. H. M. Bush e Coll. a conclusione di un loro dettagliato studio sul rapporto tra lombalgia cronica ed incontinenza urinaria, scrivono che “…esiste una significativa associazione tra lombalgia cronica ed incontinenza urinaria da stress. E’ ragionevole concludere che è importante che tutti i muscoli del tronco, inclusi i muscoli del pavimento pelvico, agiscano in maniera coordinata sia per garantire il controllo della postura che per prevenire la comparsa di lombalgia ed incontinenza urinaria da stress”. Ad ulteriore conferma di ciò Sapsford e Coll., nel 2001, hanno dimostrato che una debolezza dei muscoli della parete addominale, causa di quel “bulging” addominale (ossia, di quel rigonfiamento dell’addome) – che si osserva sempre anche nelle pazienti con diastasi dei retti – provoca una riduzione dell’attività dei muscoli del pavimento pelvico e la comparsa di disfunzioni di quest’ultimo, che possono dare origine ad incontinenza urinaria (e, meno frequentemente, anche fecale). Questi Autori concludono che l’esercizio muscolare addominale contribuisce a curare tali condizioni. In effetti, una riduzione del tono dei muscoli della parete addominale, ed in particolare del muscolo trasverso dell’addome, si riflette quasi sempre in una riduzione del tono dei muscoli del pavimento pelvico, con la comparsa di sensazione di pesantezza vaginale e di urgenza ed incontinenza urinaria. Sempre Sapsford e Coll, nel 2012, hanno osservato come la contrazione dei muscoli della parete addominale (in particolare dei muscoli più profondi, l’obliquo esterno ed il trasverso) si associ ad un aumento della pressione dell’uretra, contribuendo al meccanismo della continenza urinaria.
Tirando le somme, cosa possiamo dire a questo punto del rapporto tra incontinenza urinaria e diastasi dei retti? Come è noto, con i meccanismi abbiamo già evidenziato in un precedente articolo, nelle pazienti con diastasi dei retti il tono dei muscoli della parete anterolaterale dell’addome, ed in particolare dei muscoli obliqui e del trasverso, è notevolmente ridotto. Poche righe fa abbiamo scritto che l’esercizio muscolare addominale può essere utile a far recuperare il tono perduto, ma ci riferivamo a pazienti sani, senza evidenza di diastasi: è esperienza comune di moltissime pazienti “diastasate” che con i comuni esercizi muscolari addominali la diastasi dei retti, ed i suoi sintomi, peggiorano – e quindi, in una sorta di circolo vizioso, peggiora anche il tono dei muscoli addominali. L’unico tipo di attività fisica che può aiutare a recuperare in parte il tono muscolare addominale è la ginnastica ipopressiva: tuttavia, tale recupero è parziale, se la diastasi non viene riparata chirurgicamente.
Ecco spiegato, in conclusione, il rapporto tra incontinenza urinaria e diastasi dei retti: dal momento che i muscoli dell’addome e del pavimento pelvico costituiscono una unità funzionale che controlla la postura, la respirazione ed i meccanismi di minzione e defecazione, la perdita del tono e del controllo dei muscoli della parete addominale, ed in particolare dell’obliquo esterno e del trasverso, dovuta alla diastasi provoca una riduzione del tono dei muscoli del pavimento pelvico: questo si traduce in una riduzione della pressione uretrale, con sensazione di urgenza urinaria e comparsa di incontinenza urinaria da stress. Per questo, l’incontinenza urinaria è così frequente nei pazienti con diastasi dei retti, e per questo la riparazione della diastasi, associata alla ginnastica ipopressiva come fisioterapia sia pre- che postoperatoria, è parte integrante del trattamento dell’incontinenza urinaria in tali pazienti.
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Quando cominciai ad interessarmi alla REPA, la chirurgia mininvasiva della diastasi dei retti, il mio amico Derlin Juárez Muas, l’inventore della tecnica, si preoccupò di stressare molto il concetto di fisioterapia postoperatoria. Per me era qualcosa di assolutamente nuovo: pur interessandomi da molti anni di chirurgia della parete addominale, non avevo mai pensato (nè avevo mai incontrato qualcuno che ci avesse pensato) che i muscoli addominali possano necessitare di una riabilitazione postoperatoria. In realtà, riflettendoci, è un principio che oggi mi appare così semplice e scontato da sembrarmi quasi banale. Lo spiego con un’analogia: quando ci fratturiamo un arto, gli ortopedici ce lo ingessano per mantenerlo immobile per un congruo periodo di tempo, in maniera che l’osso rotto abbia il tempo di ripararsi. Normalmente, nei casi più fortunati, il tempo di immobilizzazione è di un mese. Quando il gesso, al termine del processo di riparazione, viene rimosso, è esperienza comune accorgersi che la massa muscolare immobilizzata con l’apparecchio gessato si è molto ridotta e si contrae con difficoltà. Per questo motivo, l’ortopedico ci invia dal fisioterapista, che comincia a sottoporci ad esercizi a volte difficili e dolorosi, ma indispensabili per il recupero funzionale del nostro arto fratturato. Lo stesso avviene quando effettuiamo un intervento sulla parete addominale. L’addome è il segmento
La “scatola addominale”: non solo una scatola…
del nostro organismo con il più alto rapporto muscolo:osso, ossia è costituito quasi esclusivamente da strutture muscolari: si tratta di muscoli superspecializzati, la cui attività è finalizzata ad assicurare tutte le complesse funzioni dell’addome. L’addome non è semplicemente una scatola statica destinata esclusivamente a contenere strutture “nobili” come il fegato o gli organi della digestione: ma ha un ruolo determinante in molti processi dinamici fondamentali, tra cui la respirazione, il corretto sostegno viscerale, il mantenimento della stazione eretta, la defecazione, la minzione, la continenza fecale e urinaria, la gravidanza. Operando sulla parete addominale, noi chirurghi le provochiamo di necessità delle lesioni gravissime: tagliamo i suoi muscoli e le sue fasce, recidiamo i suoi nervi ed i suoi vasi sanguigni, inseriamo dei materiali estranei; e la immobilizziamo per lunghi periodi di tempo, non meno di un mese. Tutto ciò è indispensabile per guarire i suoi difetti, ma ne compromette profondamente la funzione. Allora, perchè i muscoli addominali, nel postoperatorio di una chirurgia di parete non dovrebbero aver bisogno di un adeguato trattamento fisioterapico? Semplice, no? Ma siccome la Medicina viene spesso (inevitabilmente direi, visto la pressione lavorativa che soprattutto in Italia noi Specialisti ospedalieri subiamo, e lo scarso tempo che abbiamo per studiare, aggiornarci od anche solo semplicemente confrontarci tra di noi) vissuta come se fosse una disciplina “a compartimenti stagni”, fino ad oggi nessuno ci aveva pensato. Nessuno tranne Derlin.
Che cos’è la ginnastica ipopressiva?
Ed è stato sempre Derlin ad indicarmi l’uso della ginnastica ipopressiva. Perchè? Perchè si tratta di una serie di esercizi che sono in grado di riabilitare la muscolatura della parete addominale SENZA provocare un aumento della pressione all’interno dell’addome. Questo è di importanza fondamentale, perchè se sottoponessimo ad uno sforzo pressorio, prima che passi un certo, e non breve, periodo di tempo dall’intervento, le strutture su cui abbiamo operato, correremmo il serio rischio di “rompere” le riparazioni fatte. E non solo. C’è un altro aspetto fondamentale della ginnastica ipopressiva che è di enorme aiuto nel caso della diastasi dei retti e del suo trattamento chirurgico. Come tutte le donne con diastasi sanno, la diastasi compare in seguito agli importanti aumenti di pressione addominale legati alla gravidanza. La parete addominale, gradualmente ma inesorabilmente, viene sottoposta ad uno stress pressorio tale che i normali rapporti muscolari si modificano irrimediabilmente. Ai fini funzionali, questo si traduce in una disfunzione propiocettiva: il sistema nervoso centrale non riesce più a controllare in maniera efficiente i muscoli della parete addominale, che si indeboliscono e si contraggono secondo vettori “sbagliati”. Le conseguenze fisiopatologiche sono abbastanza complesse, ma basti sapere che, alla fine, ciò si riflette sulla capacità di mantenere in maniera corretta la stazione eretta (da cui la lombalgia che affligge una grande maggioranza delle pazienti con diastasi), sul pavimento pelvico (incontinenza urinaria), sui meccanismi digestivi (stipsi, meteorismo, pesantezza). La ginnastica ipopressiva è un insieme ordinato di esercizi posturali, ripetitivi e sequenziali, che consente al cervello di memorizzare una serie di messaggi propiocettivi associati ad una particolare postura. Ciò si ottiene dopo un periodo di “apprendimento” di, almeno, una decina si sedute di fisioterapia di un’ora ciascuna. La base anatomica di questo risultato è la creazione, grazie a un “bombardamento” di informazioni propiocettive, cinestesiche e sensitive, di reti neuronali talamiche che regolano l’attivazione dei muscoli del pavimento pelvico e della parete anterolaterale dell’addome. Sembra una cosa complicata, ed in effetti lo è: in parole povere, possiamo dire che il cervello delle pazienti che si sottopongono a fisioterapia basata sulla ginnastica ipopressiva ricomincia a ricordare come fare per controllare in maniera corretta i muscoli della parete addominale. Si inverte quindi quel circolo vizioso che aveva condotto a quelle alterazioni posturali, del pavimento pelvico, dei meccanismi digestivi eccetera di cui parlavo poc’anzi. Le pazienti ritornano ad essere padrone del proprio corpo. Per questo, io dico sempre che il trattamento della diastasi dei retti avviene, nel nostro team, attraverso un percorso multidisciplinare in cui la correzione chirurgica della diastasi vale “solo” il 50% del risultato. E questo concetto, tanto semplice quanto rivoluzionario, posso orgogliosamente dire di essere stato io ad introdurlo in Europa.
Quando cominciai ad operare le pazienti con diastasi dei retti nel nostro Paese, mi posi il problema di strutturare un adeguato protocollo fisioterapico. Io conoscevo una bravissima fisioterapista, la dottoressa Federica Crivellaro: mi sembrò quindi logico rivolgermi a lei per capire come questo potesse essere fatto. Federica, all’epoca, conosceva già la ginnastica ipopressiva: per capire come si applicasse alla chirurgia della diastasi dei retti si mise in contatto con le fisioterapiste (in Argentina!) del Dr. Juárez Muas, e questo fu il primo passo. Oggi Federica, che ha un master in ginnastica ipopressiva, ha messo a punto un protocollo, sia pre- che postoperatorio (e la fisioterapia preoperatoria siamo stati i primi al mondo a proporla!) rigoroso ed estremamente efficace, e segue, da vicino o da lontano, virtualmente tutte le mie pazienti: ossia tutte le donne, ad oggi, sottoposte a REPA in Italia.
Il nostro protocollo
Dal sito del Dr. Caufriez, il “padre” della ginnastica ipopressiva
Ed è proprio per le pazienti che non vivono nei pressi di Torino che abbiamo pensato di pubblicare questo protocollo, ed un video della stessa dottoressa Crivellaro che esegue gli esercizi ipopressivi. Speriamo, anzi, siamo convinti, che ciò sia un ulteriore valore aggiunto nella qualità dei servizi offerti dalla nostra squadra alle nostre pazienti: qualità e servizi che oggi ci pongono al primo posto, in Europa, nel trattamento minimamente invasivo della diastasi dei retti.
(N.B.: i documenti si trovano in una sezione riservata del sito, per accedere alla quale bisogna richiedere, ovviamente del tutto gratis, delle credenziali. Fatelo senza problemi, nego l’accesso solo ai tentativi di “spionaggio industriale” od ai profili fake…)
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Il mal di schiena è il più frequente ed invalidante disturbo che mi viene riferito dai pazienti durante una visita per diastasi dei retti.
Il racconto “normale” di queste pazienti (che, lo ricordo, nella gran parte sono giovani, molto sportive ed assolutamente “sane” prima delle gravidanze) è che, da dopo il parto, hanno cominciato a soffrire di mal di schiena, il quale è andato peggiorando col tempo fino a diventare, in alcuni casi, lancinante (una paziente mi raccontava che può apparire in qualsiasi ora del giorno e che spesso, in ufficio, deve sdraiarsi in terra e restare immobile per diversi minuti per farlo passare); che si sono già sottoposte a visite ortopediche e fisiatriche, e che il responso è sempre stato lo stesso: “nessun problema legato alla colonna vertebrale, dovrebbe invece curare la diastasi”.
Ma perchè un’alterazione nella geometria muscolare e nei vettori di contrazione della parete addominale dovrebbe causare il mal di schiena?
Il “perno fisiopatologico” della lombalgia nella diastasi dei retti è la fascia toracolombare.
Dal punto di vista puramente anatomico, la descrizione della fascia toracolombare è piuttosto complessa, ma possiamo riassumerla come segue.
La fascia toracolombare ricopre i muscoli più profondi della regione del dorsale del tronco, fissandosi medialmente sulle apofisi spinose delle vertebre. Nella regione lombare, che è quella di nostro interesse, la fascia toracolombare risulta costituita da tre lamine: posteriore, media e anteriore.
– La lamina posteriore è piuttosto spessa e si fissa ai processi spinosi delle vertebre lombari e sacrali ed al legamento sopraspinoso; da queste inserzioni si dirige lateralmente per ricoprire i muscoli erettori della colonna vertebrale;
– La lamina media si inserisce medialmente ai processi trasversi delle vertebre lombari, alla cresta iliaca ed al margine inferiore dell’ultima costa;
– La lamina anteriore ricopre la superficie anteriore del muscolo quadrato dei lombi, fissandosi medialmente ai processi trasversi delle vertebre lombari.
Le lamine posteriore e media si fondono tra loro sul bordo laterale dei muscoli erettori della colonna; a livello del bordo laterale del muscolo quadrato dei lombi, ad esse si unisce la lamina posteriore, e da tale fusione origina la aponeurosi posteriore del muscolo trasverso dell’addome.
Questa fredda descrizione anatomica risulterà più “digeribile” se si visualizza la fascia toracolombare nell’illustrazione qui a lato, tratta dalla superba “Anatomia del Gray”.
In pratica, nella parte immediatamente adiacente alla colonna vertebrale, la fascia toracolombare si divide in tre foglietti, che racchiudono due importanti muscoli (il quadrato dei lombi, facente parte della parete posteriore dell’addome; e l’erettore della colonna vertebrale, in realtà costituito da più gruppi di muscoli ma considerabile, ai fini pratici, come una unica unità funzionale, che è estremamente importante perchè la sua contrazione modifica le curve di lordosi e cifosi della colonna vertebrale). Questi tre foglietti si fondono lateralmente per andare a costituire una struttura fibrosa, rigida, su cui si inseriscono posteriormente i muscoli trasverso ed obliquo interno dell’addome. Ciò significa che la contrazione dei muscoli obliquo interno e trasverso dell’addome eserciterà una tensione sulla fascia toracolombare.
Una delle conseguenze immediate della diastasi dei retti è che i muscoli laterali della parete addominale (obliquo esterno ed interno e trasverso) perdono la capacità di contrarsi efficacemente. Tale incapacità si riflette in una riduzione della pressione all’interno dell’addome ed in una ridotta trazione della fascia toracolombare. Questo, con il passare del tempo, provoca un accorciamento del muscolo erettore della colonna vertebrale, e quindi un aumento della pressione sui dischi intervertebrali, causando la comparsa di mal di schiena.
Quindi, un adeguato mantenimento del tono muscolare della parete anterolaterale dell’addome contrasta la contrazione del muscolo erettore della colonna vertebrale, riducendo la pressione sui dischi intervertebali, causa della lombalgia cronica ed intrattabile dei pazienti con diastasi dei retti. In questo gioca un ruolo importante anche la pressione intraaddominale. Nei pazienti con diastasi dei retti, la pressione intraaddominale, a causa dell’inefficiente contrazione dei muscoli della parete anterolaterale dell’addome, è ridotta. La ricostruzione della linea alba attraverso la plicatura dei retti, che è alla base di ogni intervento di riparazione della diastasi addominale, ristabilisce i corretti vettori necessari ad una contrazione efficace dei muscoli della parete addominale – quindi ad un’adeguata tensione della fascia toracolombare e ad un altrettanto adeguato aumento della pressione intraaddominale.
Questo è stato recentemente dimostrato da un elegante studio di Metin Temel dell’Università di Hatai in Turchia. Nel suo lavoro, Temel ha dimostrato che la plicatura dei retti è in grado di ridurre in maniera significativa gli angoli della cifosi toracica e della lordosi lombare, e l’angolo lombosacrale, di pazienti con diastasi dei retti associata a lombalgia cronica. La riduzione di tali angoli, dimostrata con metodiche radiografiche, si è associata nel postoperatorio ad una spettacolare riduzione del mal di schiena in questi pazienti. Nella tabella seguente, tratta dal citato lavoro di Temel, sono rappresentati graficamente i valori della VAS riferita al mal di schiena pre- e postoperatorio: è evidente la netta riduzione del dolore dopo l’intervento di plicatura dei muscoli retti.
Tuttavia, la “semplice” ricostruzione chirurgica dei vettori muscolari della parete addominale non è da sola sufficiente a garantire nè la tensione della fascia toracolombare nè l’aumento della pressione intraaddominale. La nostra esperienza intraoperatoria dimostra che, nella maggioranza dei pazienti, l’elettrostimolazione diretta dei muscoli retti, che noi usiamo per “marcare” il perimetro della diastasi, molto spesso non evoca nessuna contrazione muscolare, nè prima, nè dopo la plicatura: è come se i muscoli avessero dimenticato come fare per contrarsi. Ciò si verifica anche se ad essere elettrostimolati sono i muscoli laterali dell’addome. È come se il sistema nervoso centrale non ricevesse più da questi muscoli i cosiddetti segnali propiocettivi , e quindi non riuscisse ad inviare gli impulsi necessari alla loro contrazione. Se quindi il nostro lavoro si limitasse all’intervento chirurgico, il risultato che ne otterremmo sarebbe insoddisfacente: non migliorerebbe il gonfiore addominale, la pressione intraaddominale non aumenterebbe, non si ridurrebbe il carico sui dischi intervertebrali, nè si realizzerebbero tutte quelle modifiche dei rapporti tra pavimento pelvico e muscolatura addominale (di cui parlerò in un altro articolo) in grado di agire sull’incontinenza urinaria.
Per questo motivo, abbiamo messo a punto, primi in Italia, un protocollo fisioterapico sia pre- che postoperatorio, che attraverso una serie di particolarissimi esercizi di ginnastica ipopressiva è in grado di “riattivare” le vie propiocettive tra muscoli addominali e cervello e quindi di restituire al cervello il “comando” sui muscoli addominali: ed è proprio la fisioterapia, incastonata in un contesto di vettori muscolari corretti ricostruiti dalla chirurgia, che dà conto degli straordinari risultati, anche da un punto di vista estetico, della REPA, la nostra tecnica chirurgica minimamente invasiva per la riparazione della diastasi dei muscoli retti dell’addome.
DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE: IL NOSTRO PROTOCOLLO DI GINNASTICA IPOPRESSIVA CON I VIDEO DELLA NOSTRA FISIOTERAPISTA, LA D.SSA FEDERICA CRIVELLARO
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[schema type=”person” name=”Dr. Salvatore Cuccomarino” orgname=”Cuccomarino, MD” url=”https://diastasideiretti.it” description=”Il primo gruppo in Europa ad eseguire la REPA, la chirurgia mininvasiva per la diastasi dei retti” street=”Casa di Cura Pinna Pintor” city=”Torino” state=”TO” country=”IT” email=”info@cuccomarinomd.com” phone=”011 0438161″ ]
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REPA: la nuova chirurgia “gentile” per la diastasi dei muscoli retti
La parola “diastasi” deriva dal greco (diàstasis, “separazione”), ed in medicina indica tutte quelle condizioni in cui due strutture normalmente affiancate si separano. La diastasi dei muscoli retti dell’addome consiste quindi in una separazione dei muscoli retti addominali – due lunghi muscoli localizzati nella parete anteriore dell’addome ed estesi tra lo sterno e le coste, superiormente, ed il pube, inferiormente.
In condizioni normali i muscoli retti sono uniti tra loro mediante uno spesso cordoncino fibroso, chiamato linea alba. In determinate condizioni, però, questa si assottiglia ed appiattisce (a volte diventa sottile come un foglio di carta…), allargandosi: ciò determina una separazione dei muscoli (tecnicamente si parla di un aumento della IRD, Inter Recti Distance, distanza interrettale): e, se questa separazione è maggiore di 2,5 cm, si ha la diastasi dei muscoli retti addominali.
Al di sotto dei 2,5 cm la distanza interrettale viene considerata fisiologica; ciò perchè esistono differenze di genere (al di sotto dell’ombelico, ad esempio, è maggiore negli uomini rispetto alle donne nullipare, ossia che non hanno avuto figli); aumenta con le gravidanze, e dipende anche dalla sede anatomica (è in genere maggiore al di sopra dell’ombelico). Esistono poi dei fattori di rischio, ossia condizioni che possono provocare un aumento della IRD; tra di esse l’età, il numero di gravidanze, il parto cesareo ed il sovrappeso. Secondo uno studio recente, la diastasi dei retti interessa il 60% delle donne alla 21° settimana di gravidanza, e persiste nel 31,2% delle donne ad un anno dal parto. Si tratta quindi di un problema comune, che può influire profondamente sul benessere delle donne che ne soffrono.
I SINTOMI DELLA DIASTASI DEI MUSCOLI RETTI
Con il procedere della gravidanza, la forma dell’addome materno cambia profondamente, a causa dell’aumento delle dimensioni e del peso dell’utero e del feto. I muscoli dell’addome, e tra essi soprattutto i muscoli retti, si allungano e si si spostano lateralmente: questo provoca una alterazione dei vettori di contrazione dei muscoli, cioè delle linee lungo le quali i muscoli si contraggono. In circa un terzo delle donne ad un anno dal parto queste modifiche rimangono permanenti: ciò provoca una profonda e definitiva compromissione delle capacità di flessione del tronco e di contrazione armonica dei muscoli della parete addominale (il cosiddetto “torchio addominale”). Questo ha delle conseguenze negative tanto sulla capacità di mantenere eretto il tronco (essendo la postura eretta un risultato della contrazione armonica dei muscoli dorsali e dei muscoli addominali) – e il primo effetto è la comparsa di iperlordosi e dolore dorso-lombare – quanto sulle performances del pavimento pelvico, il che può condurre alla comparsa di incontinenza urinaria da stress, incontinenza fecale (meno frequentemente) e prolasso di organi pelvici come l’utero o la vescica. Oltre a ciò, anche l’aspetto dell’addome si modifica profondamente: la sua porzione sottoombelicale rimane prominente e tende a gonfiarsi nel corso della giornata, tanto che molte pazienti, al momento della visita, mi raccontano di svegliarsi “piatte” la mattina e di arrivare al pomeriggio così gonfie da sembrare al quinto mese di gravidanza.
I disturbi digestivi legati al “prolasso” degli organi addominali sono frequenti: si va dal semplice meteorismo, alla sensazione di pesantezza postprandiale, alla stipsi, al dolore addominale. La sensibilità ai traumi della parete dell’addome aumenta enormemente; e molte pazienti notano dei “movimenti” sotto pelle, che paragonano ai “calcetti” dati dai feti durante la gravidanza e che invece sono espressione dei normali movimenti dell’intestino (non visibili quando la parete dell’addome è normale).
LA DIAGNOSI
Il primo passo nella diagnosi della diastasi dei muscoli retti è l’autovalutazione; esistono diversi tutorials in rete che mostrano come valutare il proprio addome per capire se si sia o meno portatori di questa patologia.
Il ruolo nella diagnosi del Chirurgo specializzato nei trattamenti delle malattie della parete addominale è fondamentale, perchè è l’unico Professionista in grado di misurare con buona precisione il diametro della diastasi e valutare la presenza di eventuali ernie associate. Infatti, nella quasi totalità delle pazienti con diastasi dei retti addominali postgravidica è presente un’ernia ombelicale, cosa di grande importanza nella corretta pianificazione della strategia chirurgica; e non raramente ad essa si associano altre ernie della linea media, come l’ernia epigastrica.
L’ecografia della parete addominale è uno degli esami più frequentemente richiesti per la diagnosi; tuttavia la sua utilità, nella mia esperienza, è limitata, e non per una sola ragione: si tratta di un esame strettamente operatore-dipendente (ossia è attendibile solo se l’esperienza in diagnostica dei difetti della parete addominale del radiologo che la realizza è adeguata), non è standardizzato (spesso non vengono descritti i diametri della diastasi dei retti addominali o la presenza di ernie) e quasi sempre sottostima le reali dimensioni del problema. Ciò diventa evidente al momento dell’intervento, quando ci si accorge che le lunghezze e i diametri riportati dalle ecografie spesso non sono reali.
Sicuramente molto più precisa ed utile nella diagnostica delle patologie della parete addominale è la TAC dinamica, ossia una TAC, eseguita senza mezzo di contrasto, durante la quale il paziente viene invitato ad eseguire delle manovre (come la manovra di Valsalva) che evidenziano in maniera chiara ed esatta, indipendentemente dall’esperienza dell’operatore che la realizza, tanto la diastasi dei muscoli retti che le eventuali ernie, consentendo di misurarne i diametri, i volumi eccetera.
Tuttavia l’esame determinante, e nella grande maggioranza dei casi più che sufficiente, per la diagnosi di una diastasi dei retti addominali è l’esame clinico; se eseguito da un chirurgo esperto, permette di valutare con accuratezza tanto l’estensione che la larghezza nei vari punti della diastasi, nonchè la presenza di ernie eventualmente associate, consentendo di programmare in maniera corretta la chirurgia.
Nella mia pratica, io non chiedo mai un esame strumentale pre-visita, anche se spesso le pazienti arrivano in studio avendo già effettuato un’ecografia; e solo se alla fine dell’ispezione clinica non sono convinto, chiedo una TAC dinamica della parete addominale.
LA REPA, CHIRURGIA ENDOSCOPICA MININVASIVA DELLA DIASTASI DEI MUSCOLI RETTI
L’intervento tradizionale, e fino a poco tempo fa l’unico effettuato in Italia, per il trattamento della diastasi dei muscoli retti addominali è l’addominoplastica. Procedura storicamente patrimonio dei Chirurghi plastici / estetici, prevede un ampio taglio (da fianco a fianco, potremmo dire usando una terminologia poco scientifica…), la disinserzione della cute e del tessuto sottocutaneo dall’ombelico e lo stiramento verso il pube della pelle e del tessuto adiposo che essa sottende. Durante l’intervento, i due muscoli retti vengono cuciti tra loro sulla linea media (la cosiddetta “plicatura” dei muscoli retti). In alcuni casi e da alcuni chirurghi, se si è in presenza di una marcata prominenza della porzione sottoombelicale dell’addome, viene realizzata una “plicatura verticale o in accorciamento” dei muscoli obliqui, nel tetativo di “appiattire” la parete addominale. Quest’ultima procedura è piuttosto dolorosa e presenta, data l’elevata tensione a cui i muscoli sono sottoposti, un’elevata percentuale di recidive.
L’addominoplastica è utile nelle donne con “grembiule adiposo”, ossia con la porzione inferiore dell’addome che pende verso il monte di Venere per un eccesso di pelle e di tessuto adiposo; oppure negli obesi sottoposti a procedure di chirurgia bariatrica, al termine del periodo di dimagrimento. Questo perchè l’addominoplastica prevede l’esecuzione di una dermolipectomia, cioè l’asportazione della pelle in eccesso e del sottostante tessuto adiposo, che consente di correggere l’inestetismo causato appunto dal “grembiule adiposo”. Dalle pazienti magre, in buona forma fisica e senza “grembiule adiposo”, tuttavia l’addominoplastica è poco gradita, a causa dei suoi esiti cicatriziali molto ampi, della lunga convalescenza e dei rischi relativi al lembo dermoepidermico (tra cui la necrosi della cute e dell’ombelico).
Il Dr. Cuccomarino ed il Dr. Derlin Juares Muas, ideatore della tecnica R.E.P.A.
Da alcuni anni è disponibile un nuovo intervento minimamente invasivo per il trattamento della diastasi dei muscoli retti: la riparazione endoscopica pre-aponeurotica (REPA), tecnica messa a punto dal Dr. Derlin Juares Muas, noto chirurgo della parete addominale argentino. In questo intervento, attraverso tre piccole incisioni (due da 10 mm circa ed una da 5 mm circa) al di sopra del pube (nelle donne che hanno partorito per parto cesareo, usualmente queste incisioni cadono sulla cicatrice già esistente), con tecniche ben note ai chirurghi che si occupano di chirurgia laparoscopica avanzata si suturano le fasce dei muscoli retti addominali, ricostruendo la linea alba e riparando la diastasi, e si stabilizza e rinforza tale riparazione mediante il posizionamento di una rete ultraleggera – la qual cosa riduce sensibilmente il rischio di recidiva. Questo intervento, dai risultati davvero eccellenti, è molto popolare nei Paesi Iberoamericani (Spagna e Paesi dell’America Latina), e sta cominciando a diffondersi in molti Paesi europei. Io ho imparato questo intervento dallo stesso Dr. Juarez Muas, mio amico personale, e l’ho realizzato per la prima volta in Europa nel 2017.
È opportuno ricordare che chirurgia endoscopica e chirurgia laparoscopica non sono la stessa cosa. Nella chirurgia laparoscopica della parete addominale – a meno di padroneggiare tecniche molto avanzate di separazione dei componenti, oggi patrimonio di pochi chirurghi al mondo – quello che normalmente si fa è posizionare una rete per riparare un difetto della parete. Non si esegue, quindi, nessuna plicatura della fascia dei retti, rispetto ai quali il punto di vista del chirurgo e gli strumenti con cui lavora si collocano posteriormente.
Con la tecnica di riparazione endoscopica della diastasi dei muscoli retti dell’addome (REPA), invece, si realizza la plicatura per via anteriore, esattamente come nell’addominoplastica tradizionale, ma senza la cicatrice dell’addominoplastica. Possiamo dire che la chirurgia endoscopica è, come la chirurgia laparoscopica, minimamente invasiva; ma gli spazi in cui ci simuove, e quindi i gesti tecnici che si possono realizzare, sono molto diversi.
Una alternativa alla chirurgia laparoscopica della diastasi dei retti addominali (che come abbiamo detto è una “non-chirurgia”, in quanto non ripara la diastasi stessa) è la chirurgia robotica. Con il robot è possibile accedere, in maniera meno sicura rispetto alla REPA, alla superficie posteriore dei muscoli retti dell’addome ed in tal modo suturarli prima di collocare la rete. Tuttavia, si tratta di una riparazione “insufficiente” per motivi anatomici: la fascia posteriore dei muscoli retti dell’addome, infatti, è incompleta, essendo assente nel terzo inferiore della parete addominale; una separazione dei muscoli a questo livello, quindi – peraltro presente nella grande maggioranza delle pazienti – non può essere riparata con il robot. Un altro svantaggio non secondario della chirurgia robotica è il suo alto costo. Ancora, nella chirurgia robotica le incisioni chirurgiche vengono realizzate sul fianco della paziente e non al di sopra del pube, divenendo quindi molto più evidenti. Infine, dal momento che con gli strumenti robotici si entra all’interno della cavità addominale, è sempre presente, anche se contenuto, il rischio di lesione degli organi intracavitari (intestino, stomaco, fegato ecc.), rischio assente nella chirurgia endoscopica.
L’uso della rete nella chirurgia endoscopica della diastasi dei muscoli retti è parte fondamentale e non rinunciabile della tecnica. Tutti i chirurghi che si occupano di chirurgia della parete addominale sanno che qualsiasi riparazione di un suo difetto, fosse anche una piccola ernia ombelicale, senza l’uso di una protesi ha buone probabilità di fallire: le percentuali di recidive aumentano fino a valori oggi non più accettabili, ed in effetti esistono in Letteratura lavori che riportano incidenze a due cifre di recidiva della diastasi dopo addominoplastica (i chirurghi plastici non amano l’uso delle reti). La rete ha una fondamentale funzione di “impalcatura”, e favorisce la formazione del tessuto fibroso che stabilizza la sutura della fascia dei retti. È proprio questo tessuto fibroso che rende solida la riparazione: la sola sutura, col tempo, sarebbe destinata ad essere riassorbita o a frammentarsi.
Riguardo le complicanze postoperatoriedella tecnica REPA, la principale consiste nella formazione di sieromi od ematomi, che può essere minimizzata lasciando in sede un drenaggio per alcuni giorni e con l’applicazione di compressione e ghiaccio sull’addome; e, quando si verifichi, nella maggioranza dei casi può essere facilmente risolta con tecniche conservative senza dover reintervenire. La percentuale di recidive, proprio grazie all’uso della rete, è molto minore rispetto all’addominoplastica tradizionale, attestandosi al di sotto del 4% (ahimè, lo 0% ed il 100% in Medicina non esistono).
L’intervento prevede in genere una notte di ricovero in ospedale. I pazienti dovranno portare da subito e per un mese una fascia addominale, e per lo stesso tempo dovranno evitare di fare sforzi od attività sportiva.
In seguito dovranno eseguire, sotto la guida di un fisioterapista specificamente formato, dei cicli di drenaggio linfatico della parete addominale e, soprattutto, di ginnastica ipopressiva, conclusi i quali potrà tornare alle sue normali attività sia quotidiane che sportive. La fisioterapia è parte centrale del mio approccio multidisciplinare al trattamento della diastasi dei retti dei muscoli retti – io spesso dico alle pazienti che alla chirurgia è dovuto solo il 50% del merito del successo del trattamento, perchè l’altro 50% si deve alla fisioterapia – ed è mirata a “reinsegnare” ai muscoli a contrarsi correttamente ed al paziente ad assumere la postura corretta, che l’alterazione dei vettori di contrazione muscolare di cui ho parlato all’inizio gli ha fatto, con il tempo, perdere. In molte pazienti, al momento dell’intervento, io constato che, soprattutto nella parte inferiore dell’addome, i muscoli hanno perso completamente la loro capacità di contrarsi: ciò dà conto della “prominenza” della parte inferiore dell’addome di cui prima si è detto, e che può essere risolta stabilmente solo con un adeguato recupero muscolare, e non con quelle pratiche chirurgiche di accorciamento dei muscoli obliqui di cui ho già detto.
Diastasi dei muscoli retti e REPA: il video
Dr. Salvatore Cuccomarino
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