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Addominoplastica mininvasiva: il futuro è già qui

Parlare di addominoplastica mininvasiva sembra un ossimoro, è una definizione che apparentemente si contraddice da sola. Ma come: l’addominoplastica non è quell’intervento che lascia una cicatrice enorme, doloroso, con un recupero lungo e complicato?

Naturalmente sì.

Ma noi oggi possiamo capovolgere completamente questo paradigma e parlare, compiutamente, di addominoplastica mininvasiva: ovvero di un intervento dedicato a pazienti che normalmente sarebbero candidate ad addominoplastica ma oggi possono essere trattate con solo tre piccole incisioni al di sobra del pube. Possiamo farlo perchè la tecnologia più avanzata ci viene incontro e grazie all’esperienza che abbiamo accumulato con la REPA, la chirurgia mininvasiva della diastasi dei retti, e la LESC, la lipoemulsione sottocutanea.

Le immagini parlano spesso più e meglio delle parole: ecco cosa noi intendiamo per addominoplastica mininvasiva:

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Queste fotografie sono state scattate in sala operatoria, subito prima di iniziare l’intervento. Si tratta di una bella signora di 45 anni, che dopo due gravidanze si era ritrovata con questo addome. Oltre ad una diastasi di 7 cm, ed un’ernia ombelicale di 1 cm, la paziente presentava la situazione adipo-cutanea addominale gravemente compromessa, anche come texture della pelle, come ben visibile nelle fotografie preoperatorie.

La paziente è stata sottoposta a LESC e REPA nella stessa seduta operatoria, in un intervento durato due ore e 20 minuti.

Questa foto è stata scattata dalla paziente a 10 giorni dall’intervento. Abitando la paziente in un’altra regione, piuttosto lontano dalla mia sede, le avevo chiesto, dopo la rimozione del drenaggio, di mandarmi una fotografia dell’addome, per avere un’idea di come procedesse il postoperatorio. Già si cominciano ad intravedere i risultati dell’addominoplastica mininvasiva da noi realizzata, ed in particolare il notevole miglioramento a livello del pannicolo adipo-cutaneo dell’addome ed anche della texture cutanea. La paziente, all’epoca della foto, aveva da poco iniziato i massaggi linfodrenanti e non ancora la fisioterapia, pratiche che rientrano sempre nel postoperatorio delle nostre pazienti sottoposte a riparazione di diastasi dei retti. Le uniche ferite chirurgiche sono le tre piccole incisioni visibili a livello del pube.

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Questo è il risultato a tre mesi dall’intervento di addominoplastica mininvasiva, risultato che possiamo considerare stabile. La trasformazione dell’addome è evidente, e probabilmente non merita di essere ulteriormente commentata; ma forse vale la pena di evidenziare i cambiamenti della texture cutanea (in particolare a livello della zona periombelicale) difficilissimi da ottenere con una addominplastica tradizionale.

La paziente ha ottenuto quello che voleva: affrontare una stagione balneare senza doversi vergognare della sua pancia.

Il nostro obbiettivo era molto più ambizioso: intervenire profondamente a tutti i livelli del core addominale (muscolare, fasciale, adiposo, cutaneo) restituendo a tutti la propria funzionalità, oltre che l’aspetto estetico. Possiamo affermare di esserci riusciti, e bene.

Ah, anche questa è una foto fatta dalla paziente, e nessun filtro o “photoshoppatura” è stato usato per “addomesticarne” l’effetto finale. Siamo chirurghi seri.

Che conclusioni possiamo trarre sull’addominoplastica mininvasiva?

L’addominoplastica ha avuto un ruolo centrale, nei decenni passati, nel rimodellamento addominale; possiamo dire che l’ha fatta da padrone.

Negli ultimi dieci anni le cose sono profondamente cambiate. Da un lato l’introduzione di tecniche di chirurgia a minima invasività per il trattamento  della diastasi dei retti (come la REPA, già oggi considerata in alcune linee guida – come quella della Sociedad Hispanoamericana de Hernia – il gold standard per questo tipo di patologia), dall’altro lo sviluppo della tecnologia di lipoemulsione ad ultrasuoni (la LESC) che tra i suoi “effetti collaterali” ha quello di promuovere la sintesi di fibre elastiche nell’epidermide (e quindi la sua capacità di rimodellarsi) hanno fatto sì che, in mani esperte, molte indicazioni alla classica addominoplastica venissero a cadere. Perchè la nostra paziente avrebbe dovuto affrontare un’incisione chirurgica di oltre 30 cm, con un postoperatorio pesante ed un recupero faticoso, se si possono ottenere questi risultati con tre piccole incisioni che, se messe in fila, misurerebbero meno di 3 cm?

Se desiderate altre informazioni non dovete fare altro che contattarmi con il seguente modulo o via WhatsAPP

Diastasi dei retti: intervento senza cicatrici!

La diastasi dei retti, o diastasi addominale, rappresenta una vera patologia della parete addominale che influisce profondamente sia sulla sua funzione che sulla funzione dei muscoli della schiena e del pavimento pelvico.

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Possiamo definirla anche una “patologia della maternità”, visto che si presenta in circa un terzo delle donne dopo il parto ed aumenta di frequenza nelle donne che hanno avuto più di una gravidanza od uno o più parti cesarei.

La prima, più evidente manifestazione della diastasi dei retti ha più un carattere estetico che patologico: l’addome tende a gonfiarsi, come se le pazienti fossero ancora incinta, e compare la tipica “pinna” o, meno frequentemente, una “spaccatura” (o “ab-crack”) della parete addominale.

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La tipica “pinna” della diastasi dei retti

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Ecco invece un esempio di “Ab-crack”.

Le altre manifestazioni della diastasi addominale sono ben più invalidanti, e compromettono gravemente la qualità della vita delle pazienti: lombalgia che non passa con l’assunzione di farmaci, comparsa di incontinenza urinaria da sforzo, difficoltà digestive, dolore addominale, instabilità del pavimento pelvico, fino, nei casi più gravi, alla comparsa di incontinenza fecale.

Anche gli uomini possono soffrire di diastasi dei retti, la quale si presenta in questi casi con la tipica “pinna”, gonfiore addominale e mal di schiena ed è più frequente nei pazienti in sovrappeso, con l’avanzare dell’età od in chi effettua attività fisico-sportive particolarmente intense.

 

L’unica soluzione definitiva per la diastasi addominale è la chirurgia: le tecniche fisioterapiche, infatti, possono contribuire a rinforzare il tono dei muscoli della parete addominale e sono di fondamentale importanza nel recupero postoperatorio, ma da sole non sono di alcuna utilità nella cura di questa patologia.

Prima dell’avvento della chirurgia mininvasiva, la tecnica chirurgica utilizzata per la cura della diastasi dei retti era l’addominoplastica; tuttavia, oggi l’addominoplastica deve essere riservata solo a casi selezionati – in particolare, ai pazienti in cui è necessario procedere all’asportazione di un grembiule adiposo o di pelle in eccesso – per diversi motivi:

– L’elevata percentuale di recidive: senza l’uso della rete, infatti, le recidive della diastasi possono raggiungere il 40%;

– Le complicanze postoperatorie: anche se non frequenti, la necrosi dell’ombelico e del lembo cutaneo inferiore sono complicanze possibili e temibili.

Le tecniche chirurgiche laparo-edoscopiche hanno segnato una autentica rivoluzione nel trattamento della diastasi addominale dal momento che sono caratterizzate da una riparazione molto più stabile della parete grazie all’uso di ampie e leggerissime reti, un recupero molto più rapido, meno dolore postoperatorio e la ridottissima incidenza di complicanze, lasciando dei reliquati cicatriziali minimi.

Di queste tecniche la REPA (Riparazione Endoscopica Pre Aponeurotica) è la meno invasiva, la più efficace ed oggi la più usata al mondo per la riparazione della diastasi dei retti. Attraverso 3 piccoli incisioni subito sopra il pube e sotto la “linea del sole” i muscoli retti vengono riparati, ricollocandoli nella loro corretta posizione, e viene introdotta un’ampia rete ultraleggera che ricopre e rinforza tutta la parete dell’addome riducendo in maniera estremamente significativa (al di sotto del 2%) le recidive.

Il Dr. Salvatore Cuccomarino è stato il primo ad eseguire in Europa, nel 2017, la REPA, e detiene oggi, con oltre 250 pazienti operati, la più grande casistica mondiale di questa chirurgia, oltre ad aver contribuito con numerosi studi e pubblicazioni scientifiche al suo sviluppo.

Brillanti sono i risultati estetici della REPA: ecco alcuni esempi di quello che noi chiamiamo l’album delle meraviglie di questa straordinaria tecnica chirurgica. Sono fotografie fatte dalle stesse pazienti, niente Photoshop!

Le immagini ritraggono alcune pazienti che si sono fotografate prima e dopo l’intervento.

L’opinione dei pazienti è più importante della nostra: ecco cosa pensa di noi e della REPA chi ci ha conosciuto.

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Addominoplastica e recidive della diastasi

Una fantastica, lontanissima terra.

La chirurgia, per le donne con diastasi dei retti, è quella terra fantastica e lontana a cui tutte vorrebbero approdare per rinascere. Una parte – la maggior parte – di esse si scontra con una dura realtà: nel Sistema Sanitario Nazionale, la diastasi può essere operata solo a determinate, e limitate, condizioni:

Nel SSN, quindi, in linea teorica potrebbero essere operate solo pazienti con “diastasi di grado elevato”, anamnesi di grande obesità e BMI inferiore a 30: in sostanza, pazienti ex obese che sono dimagrite, magari dopo chirurgia bariatrica, e che presentino almeno 4 dei 5 criteri di inclusione riportati dalla normativa. Una percentuale davvero minima delle pazienti con diastasi dei retti.

Anche ammesso, comunque, che si riesca a superare questa rigorosissima selezione (spesso grazie al Chirurgo che, a proprio rischio e pericolo visti i controlli attualmente realizzati nel SSN, chiude uno od entrambi gli occhi), alle pazienti generalmente viene offerta una sola opzione chirurgica: l’addominoplastica.

Ma quanto è efficace l’addominoplastica? In particolare, cosa possiamo dire su addominoplastica e recidive della diastasi?

Addominoplastica e recidive della diastasi dei retti

Recentemente sono stato invitato a parlare della  REPA, la riparazione endoscopica della diastasi dei retti, al congresso dell’ISHAWS (Italian Society of Hernia and Abdominal Wall Surgery) celebratosi in Napoli la prima settimana di dicembre. Nella mia presentazione, tra le altre, ho fatto vedere questa diapositiva:

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Ovviamente, per gli addetti ai lavori, questa immagine non è di particolare impatto; sono cose risapute: l’invasività dell’addominoplastica, gli ampi scollamenti, la cicatrice che anche se perfetta (come nella foto) è comunque grandissima, e poi le complicanze più gravi: le necrosi del lembo (quelle zone scure sulla ferita chirurgica, in pratica “carne morta”…) e dell’ombelico. Tutte cose che un chirurgo sa, ma che bisogna che soprattutto la paziente sappia.

La paziente, al momento della visita, vuole essere rassicurata: “Dottore, mi dica che a me questo non succederà mai!” E qualcuno, magari, lo dice pure o minimizza: tutto, alla fine, a volte sembra una passeggiata. Ma non lo è.

E che dire delle recidive della diastasi dopo addominoplastica? Qui il discorso si fa serio: perché gli stessi chirurghi negano, mentendo. Ecco un’altra diapositiva da me presentata nella stessa occasione:

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Questa immagine, sì, ha fatto scalpore ed ha scatenato un dibattito a tratti acceso. Prima di tutto, voi probabilmente non lo sapete ma il giornale che pubblica l’articolo in questione, Surgical Endoscopy, è uno dei più importanti e seri del mondo chirurgico. Ne deriva che il problema è serio, ma qual è il problema? Bene, il fatto che, su 14 pubblicazioni sulla riparazione per addominoplastica analizzate, 9 riportino che non vi sono state recidive nel postoperatorio è un problema: perché NON E’ CREDIBILE, e questo, in medicina, è un GROSSO problema. Come dico sempre alle pazienti in visita, in medicina lo 0% ed il 100% non esistono: e soprattutto nella chirurgia della parete addominale la recidiva, in una percentuale piccola o grande che sia, c’è sempre. Tutti, anche il più grande chirurgo di parete del mondo, hanno le loro recidive: TUTTI. Il fatto che in 2/3 dei lavori esaminati in questo articolo, gli autori dichiarino di non aver avuto recidive può voler dire due cose: o che essi mentono, oppure che le loro recidive sono andate da un altro chirurgo.

Vediamo quest’altra diapositiva:

complicanze dell' addominoplastica e recidive della diastasi

Questo articolo di Hernia del 2011 prende in esame i risultati pubblicati in lavori scientifici con dati di alta qualità (ovvero molto attendibili) sul follow up di pazienti operati di diastasi dei retti con varie tecniche (principalmente addominoplastiche).

Hernia é la più importante rivista di chirurgia di parete addominale attualmente pubblicata al mondo.

I dati in questo caso cambiano molto. Ecco alcuni esempi:

  1. Nel lavoro pubblicato da Van Uchelen e coll. nel 2001  (The long-term durability of plication of the anterior rectus sheath assessed by ultrasonography) le recidive della diastasi dopo addominoplastica sono il 40%. QUARANTA PERCENTO.
  2. Oscar Ramirez, Chirurgo conosciuto in tutto il mondo per aver inventato una tecnica rivoluzionaria di riparazione delle grandi ernie addominali (ancora oggi una delle tecniche più usate) riporta (Abdominoplasty and abdominal wall rehabilitation: a comprehensive approach) circa il 3% di NECROSI DEL LEMBO CUTANEO (guardate la prima foto più sopra…)
  3. Zukowski e coll. nel complesso descrivono la comparsa di complicanze postoperatorie (non secondarie: epidermolisi, necrosi cutanee, infezioni della ferita, neuralgie croniche…) nel 15% dei pazienti operati. IL QUINDICI PERCENTO.

Non vi annoio ulteriormente. Tutto questo é per dire che i maghi, in chirurgia, non esistono. Lo 0% di complicanze non esiste. Il 100% di successi non esiste. Esiste l’impegno, da parte del Chirurgo, a mettere in campo tutti gli accorgimenti possibili per ridurre al minimo i problemi nel postoperatorio. Esiste l’esperienza dell’equipe chirurgica (non é lo stesso aver realizzato 10 riparazioni endoscopiche REPA, o 10 addominoplastiche, od averne fatte 100). Esiste l’onestà professionale. Ad esempio, io avviso sempre i pazienti che vengono da me per una patologia della parete addominale, che vi sono delle complicanze postoperatorie da tenere in considerazione:

  • Recidive dopo REPA: circa il 2%; dopo ernioplastica inguinale: meno del 5%
  • Sieromi dopo REPA: circa il 7%
  • Infezioni della protesi: pochissime (ne ho avuta una sola) ma possibili

solo per fare qualche esempio. Come sempre (e in genere questo i pazienti non lo sanno) la riuscita di un intervento si determina al 90% PRIMA dell’intervento stesso, e dipende dalla corretta selezione del paziente, dalla scelta della tecnica più adeguata in ogni caso (si chiama “chirurgia sartoriale”, “tailored surgery”) e dall’adozione di tutte le misure necessarie, prima e dopo la chirurgia, per ridurre le complicanze (ginnastica preoperatoria, bendaggi, trattamento farmacologico eccetera). 

Una complicanza non é una sconfitta, né mette necessariamente in discussione la capacità di chi opera: é sempre un evento multifattoriale, difficilissimamente prevedibile, in cui la “componente umana lato paziente” gioca un ruolo importante (ad esempio: la diastasi é espressione di una malattia del collagene: probabilmente nelle pazienti in cui la diastasi recidiva la malattia é particolarmente avanzata), cosí come anche la tecnica chirurgica scelta (la plicatura dei retti é sotto tensione? E’ stata usata una rete? La paziente ha un grembiule adiposo od un eccesso cutaneo, per cui l’addominoplastica é indicata, oppure non ce l’ha, ed allora non non sussiste indicazione all’addominoplastica? E’ disposta ad accettare gli esiti cicatriziali dell’intervento o il suo grado di invasivitá? Abbiamo deciso di operare un paziente obeso? Uno sulla cui compliace postoperatoria – ovvero la capacità, o la voglia, di eseguire gli ordini medici nel postoperatorio – abbiamo dei dubbi? Quali sono i limiti intrinseci della tecnica proposta, ed esiste una tecnica migliore? La soluzione tecnica proposta dal chirurgo é la migliore per il chirurgo o per il paziente?).

Ricordatevi tutte queste cose, quando il vostro Chirurgo vi proporrà la sua soluzione per la vostra diastasi dei retti.

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Diastasi dei retti robot e REPA – Tecniche a confronto

Per il trattamento mininvasivo della diastasi dei retti robot e REPA sono le due tecniche oggi più efficaci di cui disponiamo.

Dichiaro subito il mio conflitto d’interessi: io sono l’uomo della REPA, tecnica che ho introdotto in Italia e che amo tantissimo.

Tuttavia, la chirurgia robotica mi affascina da sempre, e so quanto sia efficace, in generale, nel trattamento della patologia di parete addominale.

Ma per quanto riguarda la diastasi dei retti robot e REPA sono equivalenti? o una tecnica è migliore dell’altra? e perché?

Si tratta, in entrambi i casi, di tecniche a minima invasività che prevedono, come cardini della procedura, il riallineamento sulla linea media dell’addome (la “linea alba”)  dei muscoli retti, la loro sutura ed il posizionamento di una rete. Tuttavia, nelle due tecniche questi passi non vengono eseguiti nella stessa maniera. Cerchiamo di capire quali siano le differenze, per trarre poi le opportune conclusioni.

Diastasi dei retti robot e REPA: confrontiamo le tecniche

  1. Via d’accesso. Tanto la tecnica robotica che la REPA prevedono di raggiungere i muscoli retti attraverso tre piccole incisioni sull’addome. Con il robot, le incisioni vengono eseguite sul fianco sinistro, mentre nella REPA appena sopra il pube: quindi, con la REPA le incisioni sono praticamente invisibili mentre lo stesso non può essere detto per il robot. Inoltre, nella REPA, una o due delle incisioni sono di 5 mm circa, mentre con il robot l’incisione più piccola non può essere di meno di 8 mm.
  2. Pressione di lavoro. Tanto con il robot che nella REPA, per creare lo spazio di lavoro bisogna insufflare un gas, l’anidride carbonica, ad una pressione adeguata a distendere la parete addominale. Con il robot, come avviene anche in laparoscopia, la pressione con cui si insuffla l’anidride carbonica all’interno della cavità addominale è di circa 12 mm Hg, mentre nella REPA il gas NON viene insufflato nella cavità addominale, e la pressione di lavoro è inferiore di 1/3, circa 8 mm Hg, con momenti piuttosto lunghi dell’intervento in cui viene ulteriormente diminuita a 3-4 mm Hg. Un’altra importante conseguenza è che, come detto, nella chirurgia robotica il gas viene insufflato all’interno della cavità peritoneale: il peritoneo assorbe avidamente l’anidride carbonica, e ciò provoca un aumento della sua concentrazione nel sangue (ipercapnia). Nella REPA l’insufflazione è extraperitoneale: la concentrazione di anidride carbonica nel sangue non si modifica. L’anidride carbonica, infine, e’ un gas irritante per il peritoneo, e contribuisce al dolore (anche in sedi “strane”, come la spalla destra) che si prova nel postoperatorio. Questo problema, con la REPA, e’ inesistente.
  3. Spazio di lavoro. Come già accennato, la tecnica robotica per la riparazione della diastasi dei retti (e delle ernie che ad essa si associano) prevede l’inserimento degli strumenti chirurgici dentro la cavità peritoneale, dove sono contenuti molti organi “nobili” (fegato, milza, pancreas, stomaco, intestino…): ciò ha come conseguenza il rischio, minimo ma concreto, di lesione di questi organi durante la chirurgia. Lo spazio di lavoro della REPA è invece soprafasciale: completamente al di fuori della cavità peritoneale, senza nessun rischio di lesione degli organi peritoneali.
  4. Anatomia dei muscoli retti. In pratica, da quanto abbiamo detto fin’ora, la diastasi dei retti robot e REPA, diastasi addominale, diastasi dei retti chirurgia robotica ripara la diastasi dei retti guardandoli “da dietro”, dall’interno della cavità addominale; mentre nella REPA i muscoli si guardano “davanti”, inquadrando la loro superficie anteriore, al di fuori della cavità addominale. Sembra una piccola differenza, ma in realtà è sostanziale. Questo perché i muscoli retti sono rinchiusi all’interno di una guaina (la “guaina dei retti”, appunto) costituita da due foglietti, uno anteriore ed uno posteriore. Tra i due foglietti esiste un’importante differenza: quello anteriore è infatti completo, estendendosi dal torace al pube; quello posteriore è incompleto, terminando poco sotto l’ombelico con un margine noto come linea arcuata. Sul diastasi dei retti robot e REPApiano pratico ciò significa che, dato che le suture muscolari devono essere realizzate sulle fasce e non direttamente sul tessuto muscolare (che è “fragile” e tende a lacerarsi, sanguinare ecc.), nella riparazione robotica la diastasi può essere chiusa efficacemente solo fino alla linea arcuata (a meno che al di sotto di questa i punti non attraversino i muscoli “a tutto spessore”, includendo nella sutura anche il foglietto anteriore della guaina dei retti: ma in questo caso il traumatismo muscolare sarebbe davvero notevole); mentre con la REPA la diastasi può essere riparata per tutta la sua lunghezza, dallo sterno fino al pube.
  5. Tempi dell’intervento. L’intervento robotico può essere visualizzato in questo video.  In pratica, con questa tecnica si incide il peritoneo per tutta la lunghezza dei muscoli retti, fino a scoprire il foglietto posteriore della loro fascia ed ad evidenziare la diastasi; a questo punto, la diastasi viene chiusa suturando (cioè cucendo) i due muscoli retti tra loro (sempre ricordando la famosa linea arcuata…); quindi il peritoneo viene richiuso, e si colloca una rete. Nella REPA, di cui in fondo a questo articolo è possibile vedere un video con i momenti tecnici principali, una volta creato lo spazio chirurgico il perimetro della diastasi viene identificato con delle piccole scariche elettriche (che ci consentono di scoprire molte cose su questi due muscoli… ad esempio il fatto che, proprio a causa della diastasi, molto spesso al di sotto dell’ombelico essi si contraggono pochissimo, o non si contraggono proprio, e questa è la causa del “bombé” addominale, cioè di quel gonfiore che è una delle prime cose di cui le pazienti si lamentano quando arrivano in studio); ciò fatto, i muscoli vengono riallineati alla linea media e suturati, ricostruendo la linea alba: il fatto di eseguire questo tempo chirurgico sul foglietto anteriore della guaina dei retti ci consente di suturare la diastasi per tutta la sua estensione, dallo sterno fino al pube. Infine, si colloca la rete.
  6. La rete. Sia in chirurgia robotica che con la REPA si utilizza una rete. Le reti che si usano, però, sono profondamente differenti. Nel caso del robot, viene utilizzata una cosiddetta “dual mesh”, cioè una rete relativamente pesante con due superfici di materiale diverso. Una di queste due superfici è teoricamente studiata per poter essere messa a contatto con i visceri addominali (intestino, stomaco, ecc.). Tuttavia, anche la più avanzata di queste reti provoca sempre la formazione di aderenze con tali organi. Le aderenze possono non dare segno di sé anche per tutta la vita, ma possono, dall’altro lato, essere causa, per esempio, di ostruzione intestinale o fistole enteriche, problemi abbastanza gravi di non semplice soluzione chirurgica. Nel caso della REPA, invece, la rete viene collocata al di sopra del foglietto anteriore della fascia dei retti. Viene generalmente usata una rete ultraleggera (noi usiamo una rete di circa 19 g/mq, il che, rapportato alla superficie della rete normalmente usata, significa meno di 0,5 g di protesi collocata). La rete non è a contatto con nessun organo e non ha alcuna possibilità di provocare lesioni a carico di strutture “nobili”. E’ possibile, invece, anche se rara, la formazione di sieromi ed ematomi, il cui trattamento è quasi sempre conservativo, e la cui frequenza si riduce notevolmente semlicemente lasciando il drenaggio in sede per qualche giorno in piu’ nel postoperatorio.

Se quindi dobbiamo parlare di diastasi dei retti robot e REPA confrontando le tecniche, non c’è molto altro da aggiungere. Non voglio trarre nessuna conclusione, come ho detto il robot mi affascina: ma per il trattamento della diastasi dei retti sono, e resterò sempre, l’uomo della REPA.

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