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La rete nella chirurgia della diastasi: cosa NON fare.

L’utilizzo di una rete nella chirurgia della diastasi dei retti, al fine di fornire un supporto alla parete addominale e ridurre l’incidenza delle recidive, è diventato negli ultimi anni uno dei cardini del trattamento chirurgico della diastasi.

Ciò tuttavia ha dato origine ad un dibattito oggi più che mai acceso, attuale e di primaria importanza per i pazienti: dove va messa, questa rete?

Esistono infatti numerosissimi siti per il posizionamento di una rete nella parete addominale, come si può vedere nella seguente figura. Qual è il posto giusto per la rete nella chirurgia della diastasi?

 rete nella chirurgia della diastas

Sotto vari aspetti, è più facile dire dove non bisognerebbe mai metterla.

Uno dei principi di good practice che più si sta affermando negli ultimi anni è quello di ridurre al minimo e, se possibile, proscrivere l’uso delle reti intraaddominali.

Questo perché non è attualmente disponibile alcun tipo di materiale che sia completamente antiaderente, e le reti impiantate in situazione intraperitoneale tendono ad indurre aderenze tra il materiale protesico e il peritoneo dei visceri. C’è una quantità sempre crescente di segnalazioni in Letteratura di questo fatto, spesso su Riviste ad elevato Impact Factor.

Questo è uno degli argomenti “caldi” nei Congressi di Chirurgia di parete: il posizionamento di una rete intraperitoneale (potremmo anche dire di un ”corpo estraneo intraperitoneale”) è stato a lungo il presupposto tecnico fondamentale per poter effettuare la riparazione laparoscopica dei difeti della parete addominale: la prima tecnica laparoscopica proposta per la chirurgia dei difetti di parete è stata la IPOM (Intra Peritoneal Onlay Mesh), in cui la rete viene tesa “a ponte” sul difetto di parete, come si vede nell’immagine qui sotto.

Con il tempo, si è visto che la riparazione “a ponte” è inefficiente: si lascia di fatto uno spazio morto tra rete e parete addominale in cui si formano con una certa frequenza dei sieromi; si possono avere dei “bulgings” della rete attraverso il difetto erniario che tendono a formare delle pseudoernie; lo shrinking (ossia la retrazione, il restringimento, della rete, che avviene con tutti i materiali protesici) può portare alla formazione di recidive.

Per questo, nel 2014 Jan Kukleta, uno dei “mostri sacri” della chirurgia di parete europea, propose la “IPOM plus” (Surg Endosc. 2014;28:2–29), tecnica in cui il difetto, prima di essere “coperto” con la rete intraperitoneale, viene suturato. Con la tecnica IPOM plus vengono abbattuti gli spazi morti tra rete e parete addominale, riducendo così l’incidenza di sieromi. Anche l’incidenza di recidive dovute allo shrinking della protesi si riduce, a condizione che la sutura del difetto erniario sia senza tensione. La IPOM plus non risolve, però, il problema principale intrinseco alla tecnica stessa, ossia la presenza di una rete a contatto con i visceri peritoneali.

Vorrei a questo punto introdurre un testo a cui da ora in avanti farò costantemente riferimento. Si tratta del bellissimo volume The Art of Hernia Surgery. A Step-by-Step Guide edito da Springer nel 2018 il cui Editor, il Prof. Giampiero Campanelli dell’Università dell’Insubria, non deve essere presentato a chi si occupi di Chirurgia di parete, essendo da decenni uno dei leaders europei indiscussi di questa disciplina, ed avendo occupato ruoli di importanza centrale tra cui quello di Presidente della European Hernia Society (EHS, la più importante società di chirurgia di parete del nostro Continente) e di Editor-in-chief di Hernia, la principale rivista di chirurgia di parete oggi pubblicata.

Il capitolo sulle tecniche IPOM ed IPOM plus di questo libro (cap. 58, pagg. 572-581) è stato scritto proprio da Jan Kukleta; le due immagini prima riportate sono tratte proprio da quel capitolo. Nelle conclusioni, Kukleta scrive: “Both IPOM classic and IPOM Plus have a common weak point: the intraperitoneal mesh and its fixation: sia la classica IPOM che la IPOM Plus hanno un punto debole comune: la rete intraperitoneale e il suo fissaggio. Lo stesso Kukleta, il “creatore” ufficiale della IPOM Plus, riconosce che la rete intraperitoneale è un limite. Kukleta termina il suo capitolo scrivendo: “There are several techniques how to use an augmenting mesh in extraperitoneal position using minimally invasive approach. Until we’ll learn to differentiate their potential and to find out which one fits best to which condition, I would propose to name this new group—“Minimally Invasive Non-Intraperitoneal Mesh Repair”—MINIM Repair”. Ovvero: esistono diverse tecniche su come utilizzare una rete in posizione extraperitoneale utilizzando un approccio minimamente invasivo. Fino a quando non impareremo a differenziare il loro potenziale e scoprire quale si adatta meglio a quale condizione, suggerirei di nominare questo nuovo gruppo: “Riparazione della rete non intraperitoneale minimamente invasiva” – Riparazione MINIM”

La strada segnata è questa, dunque: mettere la rete al di fuori del peritoneo.

Potrei a questo punto citare non poca Letteratura sui rischi e le complicanze del posizionamento intraperitoneale della rete nelle riparazioni di parete: mi limiterò a passare “a volo d’angelo” su pochi, importanti articoli, per poi soffermarmi su un altro capitolo del libro di Campanelli.

  1. Gray SH, Vick CC, Graham LA, Finan KR, Neumayer LA, Hawn MT. Risk of complications from enterotomy or unplanned bowel resection during elective hernia repair. Arch Surg. 2008;143(6):582-6. Archives of Surgery è il nome precedente dell’attuale JAMA Surgery, impact factor 14,8, “the highest ranking surgery journal in the world” come dichiarato nel sito stesso del giornale. L’articolo citato prende in esame 1124 interventi elettivi di riparazione di laparocele condotti tra il 1998 ed il 2002. Nel 13,3% dei casi si è trattato di pazienti con recidiva di plastiche protesiche di difetti di parete. In questi pazienti, il rischio di lesione intestinale dovuta alla lisi di aderenze indotte dalla rete è stato del 20,3% contro il 5,3% nei pazienti sottoposti a prima plastica di laparocele e il 5,7% nei pazienti sottoposti a plastica di recidiva ma nei quali, nel primo intervento, non era stata collocata una rete.
  2. Kokotovic D, Bisgaard T, Helgstrand F. Long-term Recurrence and Complications Associated With Elective Incisional Hernia Repair. JAMA. 2016;316(15):1575-1582. Ancora da JAMA. Analisi di 3242 pazienti sottoposti ad intervento di plastica erniaria (aperta senza protesi, aperta con protesi, laparoscopica con protesi) tra il 2007 ed il 2010 e seguiti fino al 2014. Riporto testualmente le conclusioni: “For the entirety of the follow-up duration, there was a progressively increasing number of mesh-related complications for both open and laparoscopic procedures. At 5 years of follow-up, the cumulative incidence of mesh-related complications was 5.6%(95%CI, 4.2%-6.9%) for patients who underwent open mesh hernia repair and 3.7%(95%CI, 2.8%-4.6%) for patients who underwent laparoscopic mesh repair. The long-term repair-related complication rate for patients with an initial nonmesh repair was 0.8%” Ossia: per l’intera durata del follow-up, si è verificato un numero progressivamente crescente di complicanze legate alla rete sia per le procedure aperte che per quelle laparoscopiche. A 5 anni di follow-up, l’incidenza cumulativa di complicanze correlate alla rete è stata del 5,6% (IC 95%, 4,2%-6,9%) per i pazienti sottoposti a riparazione open dell’ernia e del 3,7% (IC 95%, 2,8%-4,6 %) per i pazienti sottoposti a riparazione laparoscopica. Il tasso di complicanze correlate alla riparazione a lungo termine per i pazienti con una riparazione iniziale senza rete è stato dello 0,8%.
  3. Muysoms FE, Bontinck J, Pletinckx P. Complications of mesh devices for intraperitoneal umbilical hernia repair: a word of caution. Hernia. 2011;15(4):463-8. Come già accennato, Herniarete nella chirurgia della diastas è la più importante rivista esclusivamente dedicata alla chirurgia di parete oggi pubblicata. Il suo ultimo Impat factor, relativo al 2020. è di 4,739. L’editor-in-chief è il Prof. Giampiero Campanelli. In questo articolo gli Autori espongono una casistica personale di complicanze (perforazione intestinale, recidiva erniaria) a loro occorse in seguito all’uso di reti dualmesh collocate intraperitonealmente. In un caso la rete era migrata all’interno dell’intestino. Questa è l’immagine pubblicata dagli Autori. Tra le conclusioni degli Autori, una è centrale e enormemente significativa: “There is a complete lack of convincing data on these mesh devices in the medical literature. No long-term data have been published and, for three of the four mesh devices available, no publications on their use in humans were found”. Ecco, questo è il punto: non esistono informazioni indipendenti, peer reviewed, su queste reti: noi sappiamo solo quello che su di esse ci viene detto dalle aziende che le producono. Sono sempre più importanti ed autorevoli, invece, le segnalazioni sulle complicanze da esse provocate.

Il problema della migrazione della rete all’interno dell’intestino è ben presente in Letteratura. Riporto alcuni riferimenti bibliografici:

Nelson EC, Vidovszky TJ. Composite mesh migration into the sigmoid colon following ventral hernia repair. Hernia. 2011;15(1):101-3

Horzic M, Vergles D, Cupurdija K, Kopljar M, Zidak M, Lackovic Z. Spontaneous mesh evacuation per rectum after incisional ventral hernia repair. Hernia. 2011;15(3):351-2.

Carpelan-Holmström M, Kruuna O, Salo J, Kylänpää L, Scheinin T. Late mesh migration through the stomach wall after laparoscopic refundoplication using a dual-sided PTFE/ePTFE mesh. Hernia. 2011;15(2):217-20

Rodrigues-Pinto E, Costa-Moreira P, Santos AL, Dias E, Macedo G. Endoscopic removal of migrated Nissen fundoplication mesh. VideoGIE. 2020;5(6):238-240

Li J, Cheng T. Mesh erosion after hiatal hernia repair: the tip of the iceberg? Hernia. 2019;23(6):1243-1252

Cunningham HB, Weis JJ, Taveras LR, Huerta S. Mesh migration following abdominal hernia repair: a comprehensive review. Hernia. 2019;23(2):235-243

L’elenco è necessariamente incompleto, ma vorrei richiamare l’attenzione sul titolo del lavoro di Li e Cheng: “The tip of the iceberg?”, la punta dell’iceberg?  Uno dei punti cruciali della questione è esattamente questo:  il follow up dei pazienti sottoposti a chirurgia della parete addominale è usualmente breve, spesso molto breve, e quindi insufficiente a determinare con esattezza quali e quante complicanze a lungo termine possano causare le reti intraperitoneali. Un evento avverso può essere segnalato quando un paziente già sottoposto a questo particolare tipo di riparazione viene rioperato (per esempio, come nei casi riportati, per occlusione o perforazione intestinale), ma quanti pazienti con sindrome aderenziale, crisi subocclusive, dolore addominale cronico eccetera vengono persi per strada? I reports in letteratura sono agghiaccianti, ma con tutta probabilità rappresentano davvero solo la punta dell’iceberg.

Vorrei tornare adesso ad un altro capitolo del libro del Prof. Campanelli; precisamente il capitolo 57 (pagg. 563-569) scritto dal Prof. Francesco Corcione. Il Prof. Corcione, Chirurgo di fama mondiale, già presidente della SIC (Società Italiana di Chirurgia), non ha bisogno di nessuna presentazione. Il capitolo si intitola Laparoscopic Ventral Hernia Repair: Where Is the Border?.

Riporto alcuni brani, fare una sintesi sarebbe davvero un peccato.

If we affirm that the safety of the intraperitoneal meshes is supported by the results of more than 20 years of laparoscopic surgery in abdominal wall surgery, it’s difficult to understand why the companies has developed always new meshes, even replacing the previous ones, saying that the new one is the best one; and some meshes have been recalled from the market by the companies themselves!” – “Se affermiamo che la sicurezza delle reti intraperitoneali è supportata dai risultati di oltre 20 anni di chirurgia laparoscopica nella chirurgia della parete addominale, è difficile capire perché le aziende abbiano sviluppato reti sempre nuove, anche sostituendo le precedenti, dicendo che quello nuovo è il migliore; e alcune reti sono state ritirate dal mercato dalle stesse aziende!”

The adhesions are practically always present after any kind of mesh implant, regardless of the type of material used, and we can be sure that a real anti-adherent mesh still doesn’t exist.” – “Le aderenze sono praticamente sempre presenti dopo qualsiasi tipo di impianto di rete, indipendentemente dal tipo di materiale utilizzato, e possiamo essere certi che una vera rete antiaderente ancora non esiste.”

The introduction of the Goretex mesh started a new era for the surgeons, although the mesh being very expensive. As a matter of fact, it has to be said that the Rives technique was difficult to be perceived by surgeons, who probably thought it was more logical, quick, and equally safe placing a mesh in the abdomen that was described as anti-adherent. But only few surgeons systematically used this prosthesis, which soon revealed to be “adherent,” causing a large number of obstructive complications and cases of migration into the digiunum, bladder, colon, etc.” – “L’introduzione della rete Goretex ha aperto una nuova era per i chirurghi, sebbene la rete fosse molto costosa. In effetti, c’è da dire che la tecnica di Rives era difficile da comprendere per i chirurghi, che probabilmente hanno ritenuto più logico, rapido e altrettanto sicuro posizionare una rete definita antiaderente nell’addome. Ma solo pochi chirurghi hanno utilizzato sistematicamente questa protesi, che presto si è rivelata “aderente”, causando un gran numero di complicanze ostruttive e casi di migrazione nell’intestino tenue, in vescica, colon, ecc.”.

I have personally experienced intra-abdominal mesh-related complications at a distance of 1–15 years from their implant. I saw the formation of a parietal abscess 7 years after laparoscopic ventral hernia repair, sustained by a very late infection of the mesh. I have seen recurrences appeared 1 month (probably technical error) and 20 years after the surgery. I have treated many intra-abdominal prostheses migrations. I also saw migration of a mesh into the esophagus after hiatal hernia repair that required an esophagectomy.” – “Ho sperimentato personalmente complicazioni legate a reti collocate in sede intraaddominale a una distanza di 1-15 anni dal loro impianto. Ho visto la formazione di un ascesso parietale 7 anni dopo la riparazione laparoscopica di un’ernia ventrale, sostenuta da un’infezione molto tardiva della rete. Ho visto comparse di recidive 1 mese (probabilmente un errore tecnico) e 20 anni dopo l’intervento. Ho curato molte migrazioni di protesi intra-addominali. Ho anche visto la migrazione di una rete nell’esofago dopo la riparazione di un’ernia iatale, che ha richiesto una esofagectomia“.

“For decades a lot of patients (particularly complex cases and complications very difficult to deal with) referred to our hospital. As can be seen from the table, we have treated 37 patients with complex and risky interventions, with long postoperative stay. In the table the complication due to the previous mesh are described.” – “Da decenni molti pazienti (casi particolarmente complessi e complicanze molto difficili da trattare) si sono rivolti al nostro ospedale. Come si evince dalla tabella, abbiamo trattato 37 pazienti con interventi complessi e rischiosi, con lunga degenza postoperatoria. Nella tabella sono descritte le complicazioni dovute alla rete.”.

La rete nella chirurgia della diastasi dei retti: conclussioni.

“Laparoscopic surgery, which in our experience is largely adopted for the treatment of most major abdominal diseases, has now strict and limited indications for the treatment of ventral hernia.”“La chirurgia laparoscopica, che nella nostra esperienza è largamente adottata per il trattamento delle principali patologie addominali, ha ora indicazioni rigorose e limitate per il trattamento dell’ernia ventrale”.

Le parole del Prof. Corcione sono lapidarie e lasciano poco spazio a giudizi di appello. Si noti comunque che lui intende l’aggettivo “laparoscopic” nel senso letterale del termine, ossia come campo chirurgico intraddominale. Oggi sono disponibili diverse tecniche avanzate, definite più esattamente come “endoscopiche”, che consentono di applicare i principi della chirurgia mininvasiva anche alle ernie addominali, posizionando la rete ben lontana dal peritoneo.

La REPA è la principale tra queste tecniche: con una rete posizionata sulla superficie esterna della parete addominale, ben lontano dai visceri pritoneali, gli eventi sfavorevoli di cui abbiamo parlato finora sono pari a 0. Questo è uno dei motivi per cui le REPA oggi, anche in alcune linee guida (come quella della Sociedad Hispanoamericana de Hernia), comincia ad essere considerata il gold standard per la chirurgia mininvasiva della diastasi dei retti.

Quindi, quando consultate un chirurgo per la cura della vostra diastasi, chiedete che vi spieghi in maniera dettagliata dove prevede di posizionare la rete. Ancora oggi in Italia molti chirurghi, anche ben conosciuti, con nomi di richiamo, nascondono dietro tecniche dal nome fantasioso il fatto di continuare a posizionare la rete a contatto dei visceri addominali!

Diastasi dei retti: intervento senza cicatrici!

La diastasi dei retti, o diastasi addominale, rappresenta una vera patologia della parete addominale che influisce profondamente sia sulla sua funzione che sulla funzione dei muscoli della schiena e del pavimento pelvico.

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Possiamo definirla anche una “patologia della maternità”, visto che si presenta in circa un terzo delle donne dopo il parto ed aumenta di frequenza nelle donne che hanno avuto più di una gravidanza od uno o più parti cesarei.

La prima, più evidente manifestazione della diastasi dei retti ha più un carattere estetico che patologico: l’addome tende a gonfiarsi, come se le pazienti fossero ancora incinta, e compare la tipica “pinna” o, meno frequentemente, una “spaccatura” (o “ab-crack”) della parete addominale.

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La tipica “pinna” della diastasi dei retti

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Ecco invece un esempio di “Ab-crack”.

Le altre manifestazioni della diastasi addominale sono ben più invalidanti, e compromettono gravemente la qualità della vita delle pazienti: lombalgia che non passa con l’assunzione di farmaci, comparsa di incontinenza urinaria da sforzo, difficoltà digestive, dolore addominale, instabilità del pavimento pelvico, fino, nei casi più gravi, alla comparsa di incontinenza fecale.

Anche gli uomini possono soffrire di diastasi dei retti, la quale si presenta in questi casi con la tipica “pinna”, gonfiore addominale e mal di schiena ed è più frequente nei pazienti in sovrappeso, con l’avanzare dell’età od in chi effettua attività fisico-sportive particolarmente intense.

 

L’unica soluzione definitiva per la diastasi addominale è la chirurgia: le tecniche fisioterapiche, infatti, possono contribuire a rinforzare il tono dei muscoli della parete addominale e sono di fondamentale importanza nel recupero postoperatorio, ma da sole non sono di alcuna utilità nella cura di questa patologia.

Prima dell’avvento della chirurgia mininvasiva, la tecnica chirurgica utilizzata per la cura della diastasi dei retti era l’addominoplastica; tuttavia, oggi l’addominoplastica deve essere riservata solo a casi selezionati – in particolare, ai pazienti in cui è necessario procedere all’asportazione di un grembiule adiposo o di pelle in eccesso – per diversi motivi:

– L’elevata percentuale di recidive: senza l’uso della rete, infatti, le recidive della diastasi possono raggiungere il 40%;

– Le complicanze postoperatorie: anche se non frequenti, la necrosi dell’ombelico e del lembo cutaneo inferiore sono complicanze possibili e temibili.

Le tecniche chirurgiche laparo-edoscopiche hanno segnato una autentica rivoluzione nel trattamento della diastasi addominale dal momento che sono caratterizzate da una riparazione molto più stabile della parete grazie all’uso di ampie e leggerissime reti, un recupero molto più rapido, meno dolore postoperatorio e la ridottissima incidenza di complicanze, lasciando dei reliquati cicatriziali minimi.

Di queste tecniche la REPA (Riparazione Endoscopica Pre Aponeurotica) è la meno invasiva, la più efficace ed oggi la più usata al mondo per la riparazione della diastasi dei retti. Attraverso 3 piccoli incisioni subito sopra il pube e sotto la “linea del sole” i muscoli retti vengono riparati, ricollocandoli nella loro corretta posizione, e viene introdotta un’ampia rete ultraleggera che ricopre e rinforza tutta la parete dell’addome riducendo in maniera estremamente significativa (al di sotto del 2%) le recidive.

Il Dr. Salvatore Cuccomarino è stato il primo ad eseguire in Europa, nel 2017, la REPA, e detiene oggi, con oltre 250 pazienti operati, la più grande casistica mondiale di questa chirurgia, oltre ad aver contribuito con numerosi studi e pubblicazioni scientifiche al suo sviluppo.

Brillanti sono i risultati estetici della REPA: ecco alcuni esempi di quello che noi chiamiamo l’album delle meraviglie di questa straordinaria tecnica chirurgica. Sono fotografie fatte dalle stesse pazienti, niente Photoshop!

Le immagini ritraggono alcune pazienti che si sono fotografate prima e dopo l’intervento.

L’opinione dei pazienti è più importante della nostra: ecco cosa pensa di noi e della REPA chi ci ha conosciuto.

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REPA: la componente estetica

La REPA nasce come chirurgia funzionale, senza componente estetica; il suo obbiettivo primario è quello di curare i problemi di salute legati alla diastasi dei retti – lombalgia, incontinenza urinaria, gonfiore addominale, reflusso, stitichezza, dolori addominali eccetera.

Diranno i chirurghi plastici: per i risultati estetici c’è l’addominoplastica!

E invece no, amiche mie. Quando la selezione del paziente è corretta, i risultati “cosmetici” della REPA sono inarrivabili anche per la chirurgia estetica.

Come chi è venuto a visita da me ben sa, io molto raramente faccio fotografie ai pazienti: sono un chirurgo generale che si occupa di chirurgia della parete addominale, non sono ancora riuscito a farmi entrare in mente di fare fotografie della parete addominale come tipicamente fanno i chirurghi plastici. E poi – ripetiamolo –  io lo dico sempre alle pazienti: la mia è una chirurgia funzionale, non estetica.

Tuttavia sono le stesse pazienti che si fotografano, e le loro fotografie sono molto più naturali e veritiere, non sottoposte a passaggi in Photoshop, di quelle fatte (e poi mostrate) dai chirurghi plastici.

Le foto che seguono mi sono state inviate da una paziente che ho operato 5 mesi fa circa., insieme col suo commento: “Direi ottimo risultato… Bravo!!!”

Spesso il tono di questi complimenti è più meravigliato che compiaciuto: non poche pazienti vengono da me solo perchè non sopportano più i fastidi causati dalla diastasi, e quindi osservare i risultati estetici dopo l’intervento è motivo di stupore anche per loro.

Niente può rendermi più felice di una paziente felice, e soprattutto niente può rendermi più felice della consapevolezza di aver offerto alle mie pazienti la migliore scelta terapeutica oggi disponibile per il trattamento minimamente invasivo della diastasi dei retti: la REPA, che, adesso possiamo dircelo tra noi, non è soltanto curativa ma ha anche una componente estetica straordinaria. E tra tutti gli interventi mininvasivi oggi proposti nel nostro Paese (alcuni anche pirateschi, ma questo sarà argomento di un prossimo articolo) è quello più validato dalla comunità chirurgica internazionale, più realizzato al mondo, con più pubblicazioni scientifiche su riviste chirurgiche ad alto impact factor (ed io sono orgoglioso di essere il chirurgo che più ne ha fatte al mondo).

Quello che è importante sottolineare, adesso è che l’addominoplastica per la riparazione della diastasi dei retti non ha più nessuna indicazione nè giustificazione nelle pazienti che non abbiano um grembiule adiposo da asportare. Se non v’è pelle in eccesso da rimuovere, che senso ha sottoporre una paziente ad un intervento così invasivo, doloroso, gravato di complicanze e soprattutto dai risultati incerti, visto che la letteratura medica riporta fino ad un 40% di recidive? Con la REPA le recidive sono meno del 3%

Però ancora molte donne sono sottoposte ad addominoplastica senza che ne abbiano la necessità. Ciò accade perchè, ancora troppo spesso, il primo chirurgo che visita una diastasi – spesso su indicazione (sbagliata) di un ginecologo, di un Medico di famiglia o di amici poco informati – è il chirurgo plastico, e i chirurghi plastici non fanno chirurgia endoscopica, non utilizzano le reti per prevenire la recidiva, non fa parte del loro bagaglio formativo. Guardate la foto sotto: la paziente A sicuramente ha bisogno di un’addominoplastica – che è quanto io propongo a pazienti così, garantendo anche l’uso della rete per ridurre le recidive, come nella REPA; ma pensate davvero che la paziente B dovrebbe essere sottoposta ad un intervento così invasivo? Io sono certo che no.

Addominoplastica, REPA, diastasi dei retti

Concludendo la REPA è una chirurgia funzionale che se ben indicata ha una componente estetica difficilmente battibile da altri tipi di intervento, specie dall’addominoplastica. E quindi la conseguenza naturale è che, per le sue conoscenze, per la sua formazione e la sua esperienza, e non ultimo per i risultati della REPA in termini di recidive, il chirurgo generale deve essere consultato da una paziente con diastasi dei retti. Ad ognuno il suo, no?

Storie di Donne, diastasi e REPA

Oggi vi racconto delle storie di Donne. Anzi, saranno loro stesse a raccontarvele.

Ognuno di noi Chirurghi può pensare di sé quel che vuole: credere di essere il migliore, un padreterno; a volte sapendo, tra sé e sé, di essere nulla più che un buon imbonitore, un affabulatore esperto che riesce a “vendere” il suo “prodotto”, magari a cifre esorbitanti. Potenza di internet e delle parole. Ma le parole, quelle degli altri, possono sì essere potenti: possono testimoniare una sfida, un successo, forse ottenuto dopo un percorso faticoso (nulla, a questo mondo, è gratis) ma alla fine pieno, totale.

Sono ormai quattro anni che parlo di REPA (che per la diastasi addominale rappresenta l’intervento in laparoscopia, o, meglio, in endoscopia) e che cerco di diffondere tra le donne tutte le informazioni possibili e scientificamente accurate sulla diastasi dei retti e sulla possibilità di trattarla con una chirurgia dolce, non invasiva e senza i rischi della sua più vecchia sorella, l’addominoplastica, o la fuffa di tecnologie inutili (in questo caso) e costosissime come il robot. La REPA è una chirurgia giovane, rivoluzionaria per molti versi, che fonda le sue radici sulla stretta collaborazione tra l’atto chirurgico e la fisioterapia postoperatoria: qualcosa a cui, in Italia, tra i chirurghi di parete, prima di me nessuno aveva pensato, che nessuno aveva mai studiato. Poteri dire che, pur tra difficoltà iniziali, fiere opposizioni di campanile, invidie e gelosie e, naturalmente, qualche fallimento (e chi non ne ha avuti?) è stato un successo: un vero successo terapeutico, di cui hanno beneficiato ormai più di 200 pazienti.

Ma tocca a me dirlo? No, naturalmente no: non posso essere il giudice di me stesso, se non nel mio intimo, per valutare criticamente quel che ho fatto e correggere i miei errori (e chi non sbaglia?). Devono essere gli altri: devono essere le mie pazienti a dire “sì, hai fatto bene” oppure “hai sbagliato tutto”.

Una delle cose belle di questa avventura è che, quando meno te lo aspetti, ti arriva il “grazie” di qualcuno; però non un “grazie” simbolico, di cortesia, quasi manieristico: bensì un “grazie” importante, dirompente, come un lampo in una notte nuvolosa.

Quelle che oggi vi lascio, come un regalo (perché tali sono state per me), sono storie di donne e diastasi. Raccontate da loro stesse. Buona visione!

 

 

 

 

 

 

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Cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale?

A due anni da quando ho introdotto la REPA in Italia, è giunto il momento di valutare cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale in termini di qualità della vita. Tipicamente, le pazienti che arrivano nel mio studio soffrono di lombalgia, incontinenza urinaria da stress, stipsi, sensazione di prolasso addominale; in circa il 95% dei casi hanno un’ernia ombelicale, talvolta anche altre ernie della linea alba, e comunque una qualità della vita pessima nonostante la loro giovane età. Spesso hanno letto molto sulla loro malattia, ma sono molto confuse: una delle loro preoccupazioni, quasi sempre inespressa, può riassumersi in una sola domanda: cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale? Se deciderò di compiere questo passo, non facile, e con tutte le difficoltà anche economiche che comporta, la mia qualità di vita ne migliorerà?

Questa è la prima domanda a cui io devo rispondere quando ho davanti una di loro. Ne vale la pena? 

Oggi esistono vari test che sono in grado di quantificare i cambiamenti in termini di qualità di vita di un intervento chirurgico. Uno di questi è il CeQOL (Carolinas equation for Quality Of Life), lanciato nel 2012 ed in origine dedicato ai pazienti sottoposti ad intervento per ernia inguinale. Le domande che questo test prevede, tuttavia, si adattano bene ad ogni tipo di difetto della parete addominale. Per capire cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale nei pazienti sottoposti a REPA, abbiamo stilato un questionario basato sul CeQOL e l’abbiamo inviato a 120 pazienti, tutti di sesso femminile e con un follow-up variabile da 6 mesi a 2 anni. Ecco i risultati.

1. EPIDEMIOLOGIA

Chi sono le pazienti che si sottopongono alla REPA, l’ormai conosciutissimo intervento chirurgico endoscopico minimamente invasivo per la riparazione della diastasi dei retti?

Tipicamente, si tratta di giovani donne (l’età media è 42 anni), che hanno partorito in media due volte, essendo state sottoposte nella maggioranza dei casi a parto cesareo. In genere sono pazienti in ottime condizioni di salute, magre (il peso medio è di circa 55 kg, il BMI medio è di poco superiore a 21), sportive, con un’intensa vita sociale e familiare.  La diastasi, di cui si sono accorte generalmente (ma non necessariamente) dopo il secondo parto, ha devastato la qualità della loro vita familiare e sociale; non si riconoscono più nel loro corpo, a volte ne hanno vergogna; in più del 70% dei casi soffrono di lombalgia, che hanno cercato di curare in tutti i modi senza risultato;  in quasi il 38% dei casi di incontinenza urinaria da stress (ma anche a riposo), sintomo estremamente debilitante per loro, anche in rapporto alla giovane età. I disturbi digestivi, in cui predomina la stitichezza (non presente prima della gravidanza) sono presenti nel 53% dei casi. La dimensione media della diastasi, al momento della visita, è di 5 cm di larghezza; il 95,7% è portatrice di un’ernia ombelicale (di cui spesso, prima della visita, ignorava la presenza).

Capite bene quanto sia impegnativo, e debba essere affrontato con serietà, il compito di rispondere alla domanda che in fondo le ha portate da me: cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale? Avrò la possibilità di riprendere in mano la mia vita? Perchè di questo si tratta.

2. METODOLOGIA DELL’INDAGINE.

cosa cambia dopo l'intervento per diastasi addominale, diastasi addominale post interventoAbbiamo inviato una mail a 120 pazienti sottoposte a REPA e con un follow-up medio variabile tra 6 e 26 mesi. Di esse, hanno risposto in 83. La domanda chiave  che abbiamo posto per valutare cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale è stata: fatta uguale a 5 l’intensità di un sintomo x presente prima dell’intervento, come è cambiata (se è cambiata) dopo l’intervento?

I sintomi presi in considerazione sono stati:

  • Lombalgia
  • Incontinenza urinaria
  • Meteorismo
  • Stipsi
  • Sensazione di prolasso addominale
  • Difetti posturali (l’iperlordosi delle pazienti è frequentissima, e spesso esse tendono ad acquisire una postura inclinata verso avanti)
  • Sensazione di movimenti addominali (come i calcetti di un feto durante la gravidanza)

Ecco i risultati:

a) LOMBALGIA: il valore medio riportato dalle pazienti è stato 1

b) INCONTINENZA URINARIA: anche in questo caso è stato 1

c) METEORISMO (gonfiore addominale): 1

d) STITICHEZZA: 1

e) SENSAZIONE DI PROLASSO ADDOMINALE: 0

f) DIFETTI POSTURALI: 1

g) SENSAZIONE DI MOVIMENTI ADDOMINALI: 0

Abbiamo poi posto una domanda difficile e pericolosa, trattandosi di una valutazione setremamente soggettiva e sottoposta a mille variabili: DA 1 A 5, QUANTO LA SODDISFA IL RISULTATO “COSMETICO” DELL’INTERVENTO? La risposta media è stata 4.

Sono state poste anche molte altre domande, derivate direttamente dal CeQOL, sull’effetto dell’intervento nei normali atti della vita quotidiana (alzarsi dal letto, salire le scale, tossire, praticare sport…); i dati sono stati raccolti in un articolo in pubblicazione su una prestigiosa rivista scientifica, e quindi non possono essere al momento diffusi; posso però dire che sono estremamente soddisfacenti, e che sarà mia cura condividere l’articolo non appena verrà dato alle stampe.

CONCLUSIONI: COSA CAMBIA DOPO L’INTERVENTO PER DIASTASI ADDONINALE NELLA “QUALITY OF LIFE” DELLE PAZIENTI OPERATE?

Cambia molto, eccome. Sintomi presenti prima dell’intervento e considerati debilitanti dalle pazienti si riducono in maniera estremamente significativa o scompaiono del tutto dopo la chirurgia. Le pazienti si riappropriano della propria vita, e, con essa, della propria felicità: e tutto ciò con un intervento, la REPA, la cui minima invasività è certificata dal fatto che solo nel 4,3% dei casi le pazienti hanno dovuto assumere antidolorifici per più di una settimana (il tempo medio di mantenimento del drenaggio).

Che altro aggiungere? Non posso che dichiararmi estremamente soddisfatto del lavoro effettuato da me e dalla mia équipe fino ad oggi. Ma questo non può che essere carburante per la sfida successiva: diffondere il più possibile la tecnica, diffonderne i risultati, perchè sempre più pazienti possano esserne beneficiati.

In questo ho bisogno anche dell’aiuto di chi legge: aiutatemi, condividete il più possibile questi dati, condividete i miei articoli: chi è affetto da diastasi dei retti non potrà, in futuro, che ringraziarvi.

Per contattarci, usa il modulo che segue

Diastasi addominale e REPA “at a glance”

Diastasi addominale: che cos’è?

La diastasi addominale – o diastasi dei retti – è una patologia ancora poco conosciuta in Italia. In questo articolo troverete tutte le spiegazioni su cosa sia la diastasi dei retti, chi ne soffre, a quali altre malattie si associa e su che principi si basi la REPA, il nostro ormai conosciutissimo intervento endoscopico per il trattamento minimamente invasivo della diastasi addominale.

Cos’è e come si cura la diastasi dei retti


Diastasi dei retti e REPA: perchè usare la rete?

Nell’intervento classico per la riparazione della diastasi addominale, l’addominoplasticarete, diastasi dei retti, REPA realizzata dai chirurghi plastici, la rete non viene quasi mai usata. Nella REPA, invece, il posizionamento di una rete è uno dei passi cruciali dell’intervento: questo ha consentito di ridurre le recidive della diastasi (riportate, in alcune casistiche di addominoplastica, al di sopra del 20%) a meno dell’1% per la REPA.

L’uso della rete nella diastasi dei retti addominali


Pancia gonfia dopo l’intervento per diastasi addominale

Purtroppo, vi sono dei casi in cui, dopo l’intervento per diastasi dei retti, la pancia rimane Diastasi addominale, pancia gonfia, meteorismogonfia. Perchè? Si è trattato di un errore del chirurgo? No: questo articolo ne spiega i motivi e le possibili soluzioni.

Pancia gonfia… quando la Natura prevale sul Chirurgo


Diastasi dei retti e mal di schiena

Il mal di schiena è uno dei più frequenti ed invalidanti sintomi della diastasi dei retti. Volete mal di schiena, diastasi dei retti, REPA, Cuccomarinosapere perchè chi ha la diastasi addominale ha, spessissimo, mal di schiena? Leggete questo articolo.

Diastasi dei retti e mal di schiena


Diastasi dei retti e incontinenza urinaria

Un’altra, grave condizione spesso associata alla diastasi dei retti è l’incontinenza urinaria. incontinenza fecale,incontinenza urinaria,eserkizi di Kegel,pavimento pelvicoMa perchè le donne (è un problema esclusivamente fenninile) con diastasi addominale ne soffrono? La spiegazione è nell’articolo che segue.

Incontinenza urinaria e diastasi dei retti


Diastasi addominale e fisioterapia postoperatoria

Come sanno bene le mie pazienti sottoposte a REPA, nel mio programma di trattamento della

ginnastica ipopressiva, ginnastica ipopressiva e diastasi dei retti, REPA, diastasi dei retti, Cuccomarino

diastasi dei retti la fisioterapia postoperatoria gioca un ruolo fondamentale (il 50% del successo, dico spesso a chi viene in studio). Insieme con la d.ssa Federica Crivellaro abbiamo sviluppato, PRIMI IN ITALIA ED EUROPA, un protocollo fisioterapico postoperatorio basato sulla ginnastica ipopressiva per ridare ai muscoli addominali il tono e la contrattilità adeguati.

Ginnastica ipopressiva per la REPA: il nostro protocollo


Chirurgia della diastasi dei retti: robot o REPA?

Una delle tecniche chirurgiche mininvasive oggi più propagandate per il trattamento della chirurgia della diastasi, roboto, robotica, REPA, fact checkingdiastasi dei retti è quella robotica. Nell’articolo che segue spiego perchè si tratti di una procedura non così minimamente invasiva ed adeguata per la chirurgia della diastasi addominale.

Diastasi dei retti robot e REPA – tecniche a confronto


Altre tecniche mininvasive: sono indicate?

L’approccio robotico non è l’unica tecnica minimamente invasiva oggi indicata per la chirurgiachirurgia endoscopica per la diastasi dei retti, chirurgia endoscopica della diastasi dei retti, REPA della diastasi di retti: molte altre sono state proposte, quasi tutte basate sulla tecnica di Rives. Ma di che si tratta? Sono davvero tecniche mininvasive? E sono davvero efficaci?

Chirurgia endoscopica per la diastasi dei retti: quale tecnica?


Quali sono i risultati della REPA?

Abbiamo finora parlato di tecniche chirurgiche e sintomi associati alla diastasi addominale: maREPA lo studio multicentirico, REPA Cuccomarino, diastasi dei retti, REPA quali sono i risultati della REPA? Ce lo racconta uno studio multicentrico che, insieme con altri dieci Centri chirurgici sparsi per il mondo, abbiamo pubblicato nell’aprile 2019.

REPA: lo studio multicentrico dimostra la sua efficacia


La diastasi dei retti e la chirurgia generale

Il trattamento chirurgico della diastasi addominale è sempre stato patrimonio dei Chirurghi

diastasi dei retti, diastasi addominale, REPA

plastici, che hanno visto come un intervento “a gamba tesa” l’arrivo del Dr. Cuccomarino, un Chirurgo generale specialista in chirurgia della parete addominale, e della sua REPA. In questo articolo spiego perchè, invece, la diastasi dei retti sia proprio pane per il Chirurgo generale, ancor più che per il Chirurgo plastico.

Ecco perchè un chirurgo di parete dovrebbe operare la diastasi dei retti


Il video della REPA

Nella sezione riservata del mio sito troverete un bel video della REPA (attenzione… non per cuori didastasi dei retti, chirurgia endoscopica della diastasi dei retti coniglio!)

Chirurgia endoscopica della diastasi dei retti: il video


Tossina botulinica e diastasi dei retti

Per noi Chirurghi che in giro per il mondo realizziamo la REPA è molto chiaro il principio che ilragade, ragade anale, dolore anale, tossina botulinica riavvicinamento dei muscoli retti allalinea media dell’addome deve avvenire con una sutura che non sia sotto tensione, pena l’aumento del rischio di recidiva della diastasi addominale. Ma se la diastasi dei retti è molto ampia è davvero difficile suturare i muscoli senza tensione. Per questo motivo, sulla scorta delle esperienze nella chirurgia dei grandi laparoceli, abbiamo introdotto, con risultati eccellenti, l’uso della tossina botulinica A preoperatoria nei pazienti con diastasi addominale.

La tossina botulinica A nella chirurgia dei laparoceli


REPA e qualità di vita: cosa cambia dopo l’intervento?

Le pazienti che giungono al mio studio, spesso dopo essere passate da altri due o tre Chirurghi ed aver ascoltato le più varie opinioni sulla diastasi e sulle maniere di operarla, sono, anche se informate, spesso molto confuse. Sanno solo una cosa: che la qualità della loro vita è gravemente compromessa dalla diastasi; lombalgia, meteorismo, incontinenza urinaria, il perdere il proprio aspetto normale sono tutte cose che hanno compromesso gravemente la loro esistenza. Per cui la prima domandda a cui sono chiamato a rispondere è: Dottore, cosa cambia dopo l’intervento? Vediamo cosa ne pensano le pazienti già operate: ecco i dati di una survey condotta su pazienti con follow-up postoperatorio da 6 a 26 mesi.

Cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale?


Per avere informazioni o per un primo contatto, utilizzate il modulo che segue.

Ecco perché un chirurgo di parete dovrebbe operare la diastasi dei retti

L’articolo che segue è la traduzione, integrata ed in alcuni punti semplificata, dell’editoriale da me scritto su invito della Sociedad Hispanoamericana de Hernia sulla sua rivista.

Fino a tempi molto recenti, la diastasi dei retti è stata considerata un difetto principalmente, se non esclusivamente, estetico, e lasciata all’attenzione dei chirurghi plastici; i quali l’hanno riparata ricorrendo a tecniche, come l’addominoplastica, che, al di là della notevole invasività, non sempre trovano corretta indicazione nei pazienti con diastasi. Se, infatti, l’indicazione ad un

diastasi dei retti, addominoplastica, indicazioni chirurgiche

Fig. 1

intervento di addominoplastica è senza dubbio corretta in una paziente come quella della fig. 1, in cui è evidente l’addome pendulo che giustifica la dermolipectomia (ovvero l’asportazione della pelle in eccesso), cosa si può dire nel caso della paziente in fig. 2, che non ha né un grembiule adiposo né altre adiposità localizzate tali da giustificare un intervento di chirurgia plastica?
Eppure entrambe le pazienti, al di là del personale disagio psicologico derivante dalla difficoltà ad accettare il proprio aspetto, arrivano all’osservazione del chirurgo lamentando una serie di sintomi (dal mal di schiena al gonfiore

diastasi dei retti, REPA, indicazioni chirurgiche

Fig. 2

addominale, dal rallentamento dei processi digestivi all’incontinenza urinaria da sforzo, dalla stitichezza ai dolori addominali all’incapacità di compiere alcuni movimenti del tronco…) che compromettono gravemente la qualità della loro vita: e ciò diventa un problema, anche sociale, tanto più importante in quanto si tratta, generalmente, di pazienti giovani, lavorativamente molto attive, sportive, con importanti responsabilità familiari ed una intensa vita sociale. I disturbi che queste pazienti lamentano possono essere, in parte o in tutto, conseguenti alla diastasi dei retti, con meccanismi fisiopatologici che di seguito esamineremo. Ma il punto più importante del problema è che, nella grande maggioranza dei casi, le pazienti come quella della fig. 2 non accettano l’intervento di addominoplastica, a causa della sua invasività e degli importanti esiti cicatriziali, preferendo mantenere i propri sintomi che, col tempo, saranno inevitabilmente destinati a peggiorare.
Nell’ultimo decennio, con l’affermarsi della chirurgia della parete addominale come superspecialità della chirurgia generale, l’interesse dei chirurghi di parete si è focalizzato anche sulla diastasi dei retti; e, grazie al bagaglio tecnico e culturale da sempre patrimonio della chirurgia generale, che comprende la conoscenza, l’utilizzo e lo sviluppo di protesi, tecniche ed apparecchiature che consentono un approccio minimamente invasivo alla patologia di parete, la comunità chirurgica ha cominciato a chiedersi se potessero esistere delle opzioni tecniche meno invasive di un’addominoplastica per il trattamento della diastasi: opzioni tecniche, in definitiva, che potessero essere accettate anche dalla paziente della fig. 2, aiutandola a risolvere i suoi problemi.
Ben presto sono arrivate le risposte a questa domanda; e bisogna ammettere che il mondo chirurgico iberoamericano ha avuto in questo un ruolo da protagonista, con le tecniche di Bellido (attualmente in realtà’ poco usata), Bezama e Juarez Muas. In particolare, quest’ultima – la REPA, Riparazione Endoscopica Pre-Aponeurotica – ha avuto una rapida diffusione grazie alla costituzione di reti sociali sul web esclusivamente dedicate alla chirurgia della parete addominale, e può essere oggi considerata come la più standardizzata, razionale, efficace ed usata tecnica mininvasiva per la riparazione della diastasi dei retti.

FISIOPATOLOGIA DELLA PARETE ADDOMINALE NELLA DIASTASI DEI RETTI

Per molti anni, la parete addominale è stata considerata una sorta di “scatola” la cui principale, forse unica funzione, era quella di contenere strutture nobili; il ruolo dei muscoli addominali in processi quali la respirazione è stato considerato secondario, e le relazioni tra parete antero-laterale dell’addome, muscoli della colonna vertebrale e pavimento pelvico sono state decisamente sottovalutate (prova ne sia che la maggior parte delle pubblicazioni sull’argomento sono opera di fisioterapisti e non di medici).
In realtà, la parete addominale è una “scatola magica” che ha precise ed importanti funzioni nella respirazione, nel sostegno e nella protezione dei visceri addominali, nel mantenimento della di una corretta postura, della continenza tanto urinaria che fecale, nella gravidanza e nel parto. Questo complesso insieme di funzioni è strettamente legato alla sua struttura: la parete addominale e’ il segmento dell’organismo con il più elevato rapporto muscolo:osso (ovvero, è costituita prevalentemente da muscoli, la componente ossea è minima) ed è formata da unità muscolari con caratteristiche davvero peculiari ed uniche: ad esempio, i muscoli retti sono gli unici muscoli poligastrici del nostro corpo. Cosa vuol dire? Un muscolo poligastrico è un muscolo costituito da più unità funzionali, dette ventri muscolari, ognuna di esse in grado di contrarsi in maniera autonoma e indipendente dalle altre. Ogni muscolo retto è formato da 4 o 5 ventri ognuno con innervazione motoria propria, che possono contrarsi sincronicamente – cioè contemporaneamente: il che fa sì che possano partecipare a processi come l’espirazione forzata, la tosse, la defecazione e la flessione del tronco – oppure diacronicamente, cioè in sequenza uno dopo l’altro: e questo è uno dei principali meccanismi alla base delle contrazioni che si realizzano durante il parto. E, ad esempio, riguardo quest’ultimo aspetto, una vota di più la struttura è funzione: nel loro terzo inferiore i muscoli retti mancano del foglietto posteriore della loro guaina, il che conferisce alla parte inferiore della parete addominale una maggiore elasticità, fondamentale per lo sviluppo dell’utero gravidico.
La diastasi dei retti non è un difetto della parete addominale come l’ernia o il laparocele, e questo è importante sottolinearlo – anche se le tecniche di chirurgia endoscopica come la Riparazione Endoscopica Pre-Aponeurotica di Juarez Muas ci hanno consentito di “scoprire” che essa, in oltre il 90% dei casi, si associa ad un’ernia ombelicale; può essere correttamente definita come una insufficienza della linea alba, che risulta estremamente assottigliata e slargata, il che causa una protrusione (una sorta di prolasso) dei visceri addominali. Non raramente la linea alba è tanto assottigliata che le pazienti riferiscono di vedere, sulla loro parete addominale, dei movimenti che ricordano loro i movimenti ed i calcetti del feto durante la gestazione. Parlo di pazienti al femminile perché la diastasi dei retti è una condizione estremamente frequente nelle donne che hanno partorito: è presente in circa 1/3 di esse, ed ha, tra i suoi fattori di rischio, la multiparità (ossia il numero di gravidanze), il parto cesareo e l’aver allevato bambini; altri fattori di rischio importanti, stavolta uniformemente distribuiti tra i due sessi, sono l’aumento di peso e la pratica di attività sportive che implichino un intenso utilizzo dei muscoli addominali. La diagnosi è quasi sempre clinica (cioe’ viene fatta visitando il paziente), e le metodiche di imaging radiologico, e in particolar modo l’ecografia, sono relativamente di scarso aiuto. E’ importante ricordare che la diastasi dei retti è per l’organismo un importante meccanismo di adattamento alla crescita dell’utero gravidico: ma quando persiste ad un anno dal parto, non avrà più possibilità di migliorare (e sarà, anzi, aggravata da qualsiasi cosa aumenti la pressione all’interno dell’addome). Negli ultimi anni, sono comparsi studi che associano la comparsa di diastasi a un difetto congenito nella sintesi di collagene di tipo I e di tipo III, ma questo dato è ancora in attesa di una più solida evidenza scientifica.
La sintomatologia lamentata dalle pazienti con diastasi dei retti comprende una lombalgia senza altre apparenti cause cliniche (70,2%), per la quale si può osservare una correlazione negativa tra la distanza interrettale e la funzione dei muscoli addominali, espressa empiricamente come riduzione della capacità di flettere il tronco (ossia, quanto più ampia è la diastasi, tanto minore è la capacità dei pazienti di compiere movimenti di flessione del tronco); i disturbi correlabili al “prolasso addominale” (93,6%), tra cui il gonfiore addominale, la digestione faticosa, il dolore addominale e l’aumentata sensibilità ai traumi della parete addominale; e l’incontinenza urinaria (44,42%), principalmente, ma non esclusivamente, da stress.
C’è allora da chiedersi quali relazioni esistano tra diastasi dei retti e, per esempio, lombalgia od incontinenza urinaria. Una volta di più, scopriremo che la struttura è funzione, e che ad una alterazione della struttura può corrispondere un’alterazione, più o meno pronunciata, della funzione.
Una delle principali e più precoci conseguenze della diastasi dei retti è che nei muscoli laterali

diastasi dei retti, fascia toracolombare, REPA

Fig. 3

della parete addominale, in particolare l’obliquo interno e, ancor di più, il trasverso, si riduce la capacità di realizzare contrazioni efficaci. Ciò si riflette in una riduzione della pressione intraaddominale e della trazione effettuata sulla fascia toracolombare. La fascia toracolombare (o lombodorsale) è costituita da fibre connettivali longitudinali e trasversali a cui si inserisce, da una parte, la fascia del muscolo trasverso (ed, indirettamente, quella del muscolo obliquo interno), e che si collega, dall’altra, agli angoli costali e la cresta iliaca, lateralmente, ed al rachide dorsolombare (attraverso i muscoli quadrato dei lombi e sacrospinale) ed al sacro medialmente. In pratica, attraverso la fascia dorsolombare si realizza un complesso e delicato meccanismo di contrappesi tra muscoli della parete anterolaterale dell’addome e

diastasi dei retti, lombalgia, REPA

Fig. 4

muscoli paravertebrali che regola gli angoli di cifosi toracica e lordosi lombare della colonna vertebrale, ossia le curvature fisiologiche della colonna vertebrale, consentendo di mantenere una corretta postura quando si sta in piedi. La rottura di questo meccanismo determinata dalla diastasi dei retti – non dimentichiamo che le aponeurosi dell’obliquo interno e del trasverso contribuiscono alla formazione della guaina dei retti, e che per questo la diastasi provoca una diminuzione dell’efficienza della loro contrazione – causa un aumento degli angoli di cifosi toracica e lordosi lombare, provocando la comparsa di mal di schiena dovuto ad un aumento della pressione sui dischi intervertebrali, in particolare nella regione lombare. La plicatura dei retti ricostruisce la corretta geometria vettoriale dei muscoli addominali, ristabilendo le condizioni necessarie al ripristino di una corretta pressione intraaddominale e del corretto valore degli angoli prima ricordati.
Tuttavia, il problema è più complesso. La “semplice” ricostruzione dei vettori muscolari della parete addominale non è da sola sufficiente a garantire né la tensione della fascia toracodorsale né l’aumento della pressione intraaddominale. Quando io opero una diastasi dei retti con la tecnica di Juarez Muas, utilizzo un semplice stratagemma per marcare il perimetro effettivo della diastasi: somministro ai muscoli retti delle piccole scariche elettriche. Incredibilmente, ciò spesso non si traduce con la contrazione del muscolo, né prima né dopo la plicatura: è come se i retti avessero dimenticato come fare per contrarsi. Questo è particolarmente vero nella porzione sottoombelicale della diastasi (quasi sempre presente, checché ne dicano gli studi di imaging preoperatorio) ed è il motivo per il quale spesso le pazienti sottoposte a plicatura dei retti continuano a presentare un discreto gonfiore addominale. Il motivo di ciò l’abbiamo compreso indirettamente osservando gli effetti della fisioterapia che i nostri pazienti eseguono regolarmente ad un mese dell’intervento.
Tale fisioterapia comprende una serie di esercizi posturali ed ipopressivi che il mio team, col tempo, ha raggruppato in un vero e proprio protocollo, oggi usato anche nel preoperatorio con lo scopo di “preparare” i muscoli addominali all’intervento (e che, in realtà, io ho iniziato ad utilizzare anche in pazienti con difetti della parete addominale diversi dalla diastasi, come nei grandi laparoceli). La fisioterapia, basata sulla ginnastica ipopressiva ideata dal Dr. Marcel Caufriez, comprende un insieme di esercizi che consente l’integrazione e la memorizzazione di messaggi propiocettivi associati ad una determinata postura. Il concetto è piuttosto complesso, ma, in pratica, è come se dai muscoli della parete addominale nei pazienti con diastasi dei retti non partissero più segnali propiocettivi (la sensibilità propriocettiva è quella che informa, in ogni istante, il cervello della posizione che i nostri muscoli hanno nello spazio) verso il cervello: il quale, di conseguenza,

non sarebbe, almeno in parte, più in grado di regolarne correttamente il tono e la contrazione. Da ciò deriva il gonfiore addominale persistente dopo l’intervento prima dell’inizio della fisioterapia, e per il quale le pazienti tornano a visita certe di avere una recidiva precoce della diastasi. Questo è il motivo per cui è assolutamente indispensabile spiegare bene alle pazienti che il trattamento della diastasi dei retti è un percorso multidisciplinare di cui la chirurgia rappresenta il 50% – il primo, propedeutico 50%, ma in definitiva solo il 50%.
Lo stesso vale per l’incontinenza urinaria. Molto di quello che sappiamo sull’argomento lo dobbiamo ai lavori H. M. Bush e Coll. e di R. R. Sapsford e Coll. Già nel 2001 Sapsford aveva osservato che una riduzione del tono muscolare della parete anterolaterale dell’addome si associa ad una riduzione dell’attività dei muscoli del pavimento pelvico, correlata ad incontinenza urinaria. Questi dati sono stati confermati nel 2014 da Bush che ha osservato come nelle donne con lombalgia cronica dovuta a ridotta attività del muscolo trasverso dell’addome si osservi una riduzione del tono dei muscoli del pavimento pelvico, concludendo che esiste una significativa associazione tra lombalgia cronica ed incontinenza urinaria da stress, e che è ragionevole pensare che tutti i muscoli del tronco – muscoli addominali, muscoli della colonna vertebrale e muscoli del pavimento pelvico – agiscano in maniera integrata nel mantenimento tanto di una corretta postura che di una corretta continenza.

CONCLUSIONI

Quale conclusione possiamo trarre da quanto osservato finora? Credo che sia una, ed una sola: la diastasi dei retti, nella maggioranza dei casi, non è (solo) un difetto estetico e quindi non deve essere gestita chirurgicamente (solo) come se fosse un difetto estetico. Ed è per questo che noi chirurghi di parete addominale dovremmo iniziare a guardare questa condizione con occhi diversi, ed a tenerla in conto come una patologia che merita la nostra

diastasi dei retti, situazione preoperatoria, REPA

Fig. 5

considerazione. La platea di pazienti è molto ampia, ed i disturbi che si

diastasi dei retti, REPA, risultati postoperatori

Fig. 7

associano alla diastasi sono sufficientemente gravi da peggiorare considerevolmente la loro qualità di vita. Le tecniche chirurgiche mininvasive – che per la parete addominale sono patrimonio unico dei chirurghi generali – ed in particolar modo la R.E.P.A. di Derlin Juarez Muas, associate ad un corretto percorso fisioterapico pre- e postoperatorio, ci consentono oggi di offrire un intervento realmente poco invasivo e particolarmente gradito a pazienti, come quella delle fig. 5, 6, 7 ed 8, che io ho operato qualche fa, di aspetto simile a quello della paziente della fig. 2 e che, come questa, non accettano l’addominoplastica per la sua invasività e per il lungo e difficile percorso postoperatorio.
Certo, le tecniche mininvasive sono ancora giovani e necessitano di verifiche a lungo termine: ma la REPA, ad esempio, replica la plicatura dei retti da sempre eseguita per la diastasi dei retti, associando l’uso di una rete ultraleggera macroporosa che, ancor più che garantire un miglior

diastasi dei retti, situazione preoperatoria, REPA

fig. 6

contenimento della parete addominale, funziona da

diastasi dei retti, REPA, risultati postoperatori

Fig. 8

impalcatura per indurre la proliferazione fibroblastica, la deposizione di collagene ed in definitiva la formazione di una grande “cicatrice” che garantisce la stabilità della riparazione molto più di quanto non possa fare la semplice plicatura. Quest’ultimo aspetto, in particolare, viene mal accettato dai chirurghi plastici, mentre fa parte da sempre dell’armamentario di risorse quotidianamente utilizzato dai chirurghi della parete addominale: ed è proprio questo differente “punto di vista” che può rendere vincente la strategia chirurgica di un chirurgo di parete nel trattamento della diastasi dei retti. In un recente incontro organizzato dall’Associazione Diastasi Donna a Roma, un noto Docente di una università di Roma, rinomato chirurgo plastico della Capitale, ha criticato l’uso della rete dicendo che lui mai lascerebbe un corpo estraneo nell’organismo di una paziente con diastasi dei retti. Poco prima aveva detto che lui, per la plicatura dei retti utilizza dei punti di prolene (lo stesso materiale non riassorbibile di cui è costituita la rete che io uso) perché non si fida di usare dei punti riassorbibili. Io gli ho fatto notare che la rete che io applico nella REPA è così leggera (19 g/m2) che la quantità di corpo estraneo che rimane nei pazienti meno di mezzo grammo) è inferiore a quella dei punti di sutura da lui usati per plicare i retti. Non ha saputo rispondere a questa obiezione. Questo marca la grande differenza tra chirurghi generali e chirurghi plastici: benché questi siano abituati ad utilizzare protesi (ben più invasive, si pensi alle protesi mammarie) spesso non hanno la minima cognizione su cosa sia una rete per la chirurgia della parete addominale. Per finire, l’efficacia della REPA, unico tra gli interventi mininvasivi proposti per la cura della diastasi dei retti (degli altri abbiamo parlato in questo articolo) è stata recentemente dimostrata da uno studio multicentrico condotto su 215 pazienti da 10 differenti team chirurgici in tutto il mondo (tra cui il mio). I pazienti sono stati seguiti per un tempo che varia da 2 a 4 anni dopo l’intervento; la lombalgia è scomparsa nell’80% dei casi entro 30 giorni dall’intervento, e l’incontinenza urinaria nell’89,8% nel corso del follow up. Le complicanze postoperatorie sono state estremamente limitate: 9,7% di sieromi, 1,4% di ematomi. Le recidive sono state lo 0,46%! Nessuna altra tecnica mininvasiva, né robotica, né laparoscopica, può vantare tali evidenze scientifiche.

In conclusione, la REPA è un intervento che si fonda su una profonda

diastasi dei retti, addominoplastica, complicanze

Fig. 9

conoscenza della fisiopatologia della parete addominale, sicuro, standardizzato, e con risultati postoperatori eccellenti, sia in termini funzionali che cosmetici (pur non essendo un intervento estetico). Sarebbe un vero peccato se le pazienti con costituzione simile a quella delle figure 2 e 5-8 si sottoponessero a incisioni mutilanti, con possibili gravi complicanze postoperatorie, come la necrosi dell’ombelico e del lembo dermoepidermico (fig. 9) ed ad un doloroso e lungo postoperatorio, come quello dell’addominoplastica, quando la REPA è in grado di trattare i loro disturbi con solo tre piccoli fori ( e tanta abilità chirurgica).

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[schema type=”person” name=”Dr. Salvatore Cuccomarino” url=”https://www.facebook.com/CuccomarinoMD/” description=”Il primo team chirurgico in Italia ad eseguire la riparazione della diastasi dei retti per via endoscopica con tecnica REPA” street=”via amerigo Vespucci 61″ city=”Torino” state=”TO” country=”IT” email=”info@cuccomarinomd.com” phone=”0115802100″ ]

Diastasi addominale: intervento in laparoscopia

La diastasi addominale consiste in una separazione dei muscoli retti addominali, i due muscoli lunghi centrali dell’addome. Molto frequentemente dovuta alla gravidanza, colpisce  in maniera irreversibile circa un terzo delle donne che hanno partorito; nell’uomo, la diastasi addominale può comparire in relazione, ad esempio, all’aumento di peso od agli sforzi fisici intensi.

Solo un problema estetico?

diastasi, diastasi dei muscoli retti dell'addome, diastasi dei retti,Normalmente, i muscoli retti dell’addome sono uniti tra loro da un sottile e resistente cordone fibroso, la linea alba; nella diastasi addominale questo cordone si assottiglia e indebolisce, ed i muscoli retti si separano, spostandosi, soprattutto nella loro zona centrale, verso i lati della parete addominale.
La diastasi addominale, o diastasi dei retti si osserva spessissimo dopo la gravidanza, specie (ma non solo) nelle giovani donne magre, sportive e con parete addominale molto tonica; non si tratta di una vera e propria ernia, ma si definisce correttamente come una insufficienza della linea alba, la quale causa un indebolimento della parete addominale che col tempo tende ad aggravarsi ed a provocare la comparsa di sintomi come il mal di schiena e l’incontinenza urinaria (oltre a diventare decisamente antiestetica). Anche nell’uomo, la diastasi dei retti può essere presente e provocare disturbi che interferiscono profondamente con le attività quotidiane. La diastasi addominale nell’uomo compare più frequentemente in caso di addomi sottoposti a notevoli stimolazioni muscolari (ad esempio negli sportivi) o nei pazienti sovrappeso od obesi, e può causare lombalgia e difficoltà respiratorie e digestive.
Ancora oggi i Chirurghi Generali sottovalutano la diastasi dei retti, e la relegano nel campo dei difetti estetici; questo punto di vista, tuttavia, è semplicistico e tiene poco conto dell’importanza dei vettori muscolari addominali nell’esecuzione, per esempio, dei movimenti respiratori, nel mantenimento di una corretta posizione eretta e nel garantire una corretta funzione dei muscoli del pavimento pelvico.
Per questo, la diastasi addominale deve essere considerata alla stregua di una vera e propria malattia della parete addominale, meritando la giusta considerazione e un corretto approccio correttivo chirurgico.

Diastasi dei retti: intervento in laparoscopia (o meglio, in endoscopia)

Ancora oggi, nel nostro Paese, la grande maggioranza dei Chirurghi che operano la diastasi dei muscoli retti lo fanno attraverso grandi incisioni sulla parete addominale (l’incisione orizzontale da

diastasi dei retti intervento in laparoscopia, diastasi addominale uomo, addominoplastica

Questa paziente ha una corretta indicazione all’addominoplastica, per la presenza di un addome pendulo e di pelle in eccesso

fianco a fianco dell’addominoplastica realizzata dai Chirurghi Plastici; l’incisione verticale dallo sterno al pube dei Chirurghi Generali; e non raramente, entrambe le incisioni insieme), che risultano molto dolorose, di lenta guarigione e con risultati non raramente orribili dal punto di vista cosmetico. L’addominoplastica in particolare mantiene le sue indicazioni nelle pazienti con grembiule adiposo che cerchino, oltre alla correzione dei problemi funzionali, anche un miglioramento cosmetico della propria parete addominale: ma nei casi in cui non vi siano addomi penduli o pelle in eccesso, l’addominoplastica oggi è

diastasi addominale uomo, diastasi dei retti

Questa paziente, invece, non ha nessuna indicazione all’addominoplastica: niente pelle in eccesso, niente addome pendulo.

un intervento inutilmente rischioso e veramente troppo invasivo per poter essere giustificato (oltre a presentare un altissimo rischio di recidiva della diastasi e di complicanze, come ci racconta la Letteratura medica internazionale) come trattamento della diastasi addominale.
Oggi, tuttavia, sono disponibili tecniche minimamente invasive: la diastasi dei retti addominali può essere trattata con un intervento in laparoscopia, o meglio in endoscopia, grazie al quale, con tre piccoli fori subito sopra il pube, si riesce a ricostruire il difetto tra i muscoli retti, collocando infine una rete leggerissima a rinforzo della parete, esattamente come avviene nella chirurgia

diastasi dei retti intervento in laparoscopia

L’invasivita’ della addominoplastica e la sua complicanza piu’ temibile: la necrosi della cute addominale

delle ernie.

Diastasi addominale nell’uomo

La REPA è particolarmente efficace per il trattamento della diastasi addominale nell’uomo: i pazienti di sesso maschile gradiscono molto la sua minima invasivià, il decorso postoperatorio più “gentile” e la più rapida ripresa delle proprie abituali attività.

Siamo stati i primi in Europa, e siamo gli unici in Italia, ad eseguire la REPA, l’intervento endoscopico mininvasivo per la correzione della diastasi dei retti; e siamo orgogliosi di poter dire di avere oggi la più ampia casistica pubblicata al mondo per questo tipo di chirurgia.

Che differenza c’e’ tra l’intervento in laparoscopia per la diastasi addominale e l’intervento in endoscopia? Gli strumenti utilizzati sono gli stessi, ma mentre con l’intervento in laparoscopia (o con il robot chirurgico) si entra nella cavità addominale, con l’intervento in endoscopia si resta fuori di essa, sulla superficie dei muscoli retti: il rischio di complicanze postoperatorie, come ad esempio la lesione di visceri addominali, è in questo modo molto ridotto. Inoltre, con l’intervento in laparoscopia o robotico per la diastasi dei retti non si riesce, per motivi anatomici, a plicare (ossia a cucire) per intero la fascia dei muscoli retti dell’addome, mentre con l’intervento in endoscopia sì.
L’intervento endoscopico per la diastasi dei retti – la REPA – è davvero minimamente invasivo, il ricovero del paziente è di una sola notte ed il decorso postoperatorio è particolarmente lieve e senza grandi disturbi per i pazienti. Ma la nostra attenzione al trattamento della diastasi dei retti non termina con l’intervento chirurgico: siamo stati i primi in Italia ad introdurre un programma terapeutico multidisciplinare, che prevede un percorso di riabilitazione fisioterapeutica dei muscoli della parete addominale, dell’omeostasi posturale e della funzione del pavimento pelvico attraverso uno straordinario protocollo di ginnastica ipopressiva.

Per saperne di più sulla diastasi dei retti e sull’intervento in laparoscopia sia nell’uomo che nella donna, lasciate un messaggio nella casella vocale  0110438161 , scriveteci utilizzando il modulo che segue oppure prenotate una visita.

 

 

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