L’utilizzo di una rete nella chirurgia della diastasi dei retti, al fine di fornire un supporto alla parete addominale e ridurre l’incidenza delle recidive, è diventato negli ultimi anni uno dei cardini del trattamento chirurgico della diastasi.
Ciò tuttavia ha dato origine ad un dibattito oggi più che mai acceso, attuale e di primaria importanza per i pazienti: dove va messa, questa rete?
Esistono infatti numerosissimi siti per il posizionamento di una rete nella parete addominale, come si può vedere nella seguente figura. Qual è il posto giusto per la rete nella chirurgia della diastasi?
Sotto vari aspetti, è più facile dire dove non bisognerebbe mai metterla.
Uno dei principi di good practice che più si sta affermando negli ultimi anni è quello di ridurre al minimo e, se possibile, proscrivere l’uso delle reti intraaddominali.
Questo perché non è attualmente disponibile alcun tipo di materiale che sia completamente antiaderente, e le reti impiantate in situazione intraperitoneale tendono ad indurre aderenze tra il materiale protesico e il peritoneo dei visceri. C’è una quantità sempre crescente di segnalazioni in Letteratura di questo fatto, spesso su Riviste ad elevato Impact Factor.
Questo è uno degli argomenti “caldi” nei Congressi di Chirurgia di parete: il posizionamento di una rete intraperitoneale (potremmo anche dire di un ”corpo estraneo intraperitoneale”) è stato a lungo il presupposto tecnico fondamentale per poter effettuare la riparazione laparoscopica dei difeti della parete addominale: la prima tecnica laparoscopica proposta per la chirurgia dei difetti di parete è stata la IPOM (Intra Peritoneal Onlay Mesh), in cui la rete viene tesa “a ponte” sul difetto di parete, come si vede nell’immagine qui sotto.
Con il tempo, si è visto che la riparazione “a ponte” è inefficiente: si lascia di fatto uno spazio morto tra rete e parete addominale in cui si formano con una certa frequenza dei sieromi; si possono avere dei “bulgings” della rete attraverso il difetto erniario che tendono a formare delle pseudoernie; lo shrinking (ossia la retrazione, il restringimento, della rete, che avviene con tutti i materiali protesici) può portare alla formazione di recidive.
Per questo, nel 2014 Jan Kukleta, uno dei “mostri sacri” della chirurgia di parete europea, propose la “IPOM plus” (Surg Endosc. 2014;28:2–29), tecnica in cui il difetto, prima di essere “coperto” con la rete intraperitoneale, viene suturato. Con la tecnica IPOM plus vengono abbattuti gli spazi morti tra rete e parete addominale, riducendo così l’incidenza di sieromi. Anche l’incidenza di recidive dovute allo shrinking della protesi si riduce, a condizione che la sutura del difetto erniario sia senza tensione. La IPOM plus non risolve, però, il problema principale intrinseco alla tecnica stessa, ossia la presenza di una rete a contatto con i visceri peritoneali.
Vorrei a questo punto introdurre un testo a cui da ora in avanti farò costantemente riferimento. Si tratta del bellissimo volume “The Art of Hernia Surgery. A Step-by-Step Guide” edito da Springer nel 2018 il cui Editor, il Prof. Giampiero Campanelli dell’Università dell’Insubria, non deve essere presentato a chi si occupi di Chirurgia di parete, essendo da decenni uno dei leaders europei indiscussi di questa disciplina, ed avendo occupato ruoli di importanza centrale tra cui quello di Presidente della European Hernia Society (EHS, la più importante società di chirurgia di parete del nostro Continente) e di Editor-in-chief di Hernia, la principale rivista di chirurgia di parete oggi pubblicata.
Il capitolo sulle tecniche IPOM ed IPOM plus di questo libro (cap. 58, pagg. 572-581) è stato scritto proprio da Jan Kukleta; le due immagini prima riportate sono tratte proprio da quel capitolo. Nelle conclusioni, Kukleta scrive: “Both IPOM classic and IPOM Plus have a common weak point: the intraperitoneal mesh and its fixation”: sia la classica IPOM che la IPOM Plus hanno un punto debole comune: la rete intraperitoneale e il suo fissaggio. Lo stesso Kukleta, il “creatore” ufficiale della IPOM Plus, riconosce che la rete intraperitoneale è un limite. Kukleta termina il suo capitolo scrivendo: “There are several techniques how to use an augmenting mesh in extraperitoneal position using minimally invasive approach. Until we’ll learn to differentiate their potential and to find out which one fits best to which condition, I would propose to name this new group—“Minimally Invasive Non-Intraperitoneal Mesh Repair”—MINIM Repair”. Ovvero: esistono diverse tecniche su come utilizzare una rete in posizione extraperitoneale utilizzando un approccio minimamente invasivo. Fino a quando non impareremo a differenziare il loro potenziale e scoprire quale si adatta meglio a quale condizione, suggerirei di nominare questo nuovo gruppo: “Riparazione della rete non intraperitoneale minimamente invasiva” – Riparazione MINIM”
La strada segnata è questa, dunque: mettere la rete al di fuori del peritoneo.
Potrei a questo punto citare non poca Letteratura sui rischi e le complicanze del posizionamento intraperitoneale della rete nelle riparazioni di parete: mi limiterò a passare “a volo d’angelo” su pochi, importanti articoli, per poi soffermarmi su un altro capitolo del libro di Campanelli.
Gray SH, Vick CC, Graham LA, Finan KR, Neumayer LA, Hawn MT. Risk of complications from enterotomy or unplanned bowel resection during elective hernia repair. Arch Surg. 2008;143(6):582-6. Archives of Surgery è il nome precedente dell’attuale JAMA Surgery, impact factor 14,8, “the highest ranking surgery journal in the world” come dichiarato nel sito stesso del giornale. L’articolo citato prende in esame 1124 interventi elettivi di riparazione di laparocele condotti tra il 1998 ed il 2002. Nel 13,3% dei casi si è trattato di pazienti con recidiva di plastiche protesiche di difetti di parete. In questi pazienti, il rischio di lesione intestinale dovuta alla lisi di aderenze indotte dalla rete è stato del 20,3% contro il 5,3% nei pazienti sottoposti a prima plastica di laparocele e il 5,7% nei pazienti sottoposti a plastica di recidiva ma nei quali, nel primo intervento, non era stata collocata una rete.
Kokotovic D, Bisgaard T, Helgstrand F. Long-term Recurrence and Complications Associated With Elective Incisional Hernia Repair. JAMA. 2016;316(15):1575-1582. Ancora da JAMA. Analisi di 3242 pazienti sottoposti ad intervento di plastica erniaria (aperta senza protesi, aperta con protesi, laparoscopica con protesi) tra il 2007 ed il 2010 e seguiti fino al 2014. Riporto testualmente le conclusioni: “For the entirety of the follow-up duration, there was a progressively increasing number of mesh-related complications for both open and laparoscopic procedures. At 5 years of follow-up, the cumulative incidence of mesh-related complications was 5.6%(95%CI, 4.2%-6.9%) for patients who underwent open mesh hernia repair and 3.7%(95%CI, 2.8%-4.6%) for patients who underwent laparoscopic mesh repair. The long-term repair-related complication rate for patients with an initial nonmesh repair was 0.8%” Ossia: per l’intera durata del follow-up, si è verificato un numero progressivamente crescente di complicanze legate alla rete sia per le procedure aperte che per quelle laparoscopiche. A 5 anni di follow-up, l’incidenza cumulativa di complicanze correlate alla rete è stata del 5,6% (IC 95%, 4,2%-6,9%) per i pazienti sottoposti a riparazione open dell’ernia e del 3,7% (IC 95%, 2,8%-4,6 %) per i pazienti sottoposti a riparazione laparoscopica. Il tasso di complicanze correlate alla riparazione a lungo termine per i pazienti con una riparazione iniziale senza rete è stato dello 0,8%.
Muysoms FE, Bontinck J, Pletinckx P. Complications of mesh devices for intraperitoneal umbilical hernia repair: a word of caution. Hernia. 2011;15(4):463-8. Come già accennato, Hernia è la più importante rivista esclusivamente dedicata alla chirurgia di parete oggi pubblicata. Il suo ultimo Impat factor, relativo al 2020. è di 4,739. L’editor-in-chief è il Prof. Giampiero Campanelli. In questo articolo gli Autori espongono una casistica personale di complicanze (perforazione intestinale, recidiva erniaria) a loro occorse in seguito all’uso di reti dualmesh collocate intraperitonealmente. In un caso la rete era migrata all’interno dell’intestino. Questa è l’immagine pubblicata dagli Autori. Tra le conclusioni degli Autori, una è centrale e enormemente significativa: “There is a complete lack of convincing data on these mesh devices in the medical literature. No long-term data have been published and, for three of the four mesh devices available, no publications on their use in humans were found”. Ecco, questo è il punto: non esistono informazioni indipendenti, peer reviewed, su queste reti: noi sappiamo solo quello che su di esse ci viene detto dalle aziende che le producono. Sono sempre più importanti ed autorevoli, invece, le segnalazioni sulle complicanze da esse provocate.
Il problema della migrazione della rete all’interno dell’intestino è ben presente in Letteratura. Riporto alcuni riferimenti bibliografici:
Nelson EC, Vidovszky TJ. Composite mesh migration into the sigmoid colon following ventral hernia repair. Hernia. 2011;15(1):101-3
Horzic M, Vergles D, Cupurdija K, Kopljar M, Zidak M, Lackovic Z. Spontaneous mesh evacuation per rectum after incisional ventral hernia repair. Hernia. 2011;15(3):351-2.
Carpelan-Holmström M, Kruuna O, Salo J, Kylänpää L, Scheinin T. Late mesh migration through the stomach wall after laparoscopic refundoplication using a dual-sided PTFE/ePTFE mesh. Hernia. 2011;15(2):217-20
Rodrigues-Pinto E, Costa-Moreira P, Santos AL, Dias E, Macedo G. Endoscopic removal of migrated Nissen fundoplication mesh. VideoGIE. 2020;5(6):238-240
Li J, Cheng T. Mesh erosion after hiatal hernia repair: the tip of the iceberg? Hernia. 2019;23(6):1243-1252
Cunningham HB, Weis JJ, Taveras LR, Huerta S. Mesh migration following abdominal hernia repair: a comprehensive review. Hernia. 2019;23(2):235-243
L’elenco è necessariamente incompleto, ma vorrei richiamare l’attenzione sul titolo del lavoro di Li e Cheng: “The tip of the iceberg?”, la punta dell’iceberg? Uno dei punti cruciali della questione è esattamente questo: il follow up dei pazienti sottoposti a chirurgia della parete addominale è usualmente breve, spesso molto breve, e quindi insufficiente a determinare con esattezza quali e quante complicanze a lungo termine possano causare le reti intraperitoneali. Un evento avverso può essere segnalato quando un paziente già sottoposto a questo particolare tipo di riparazione viene rioperato (per esempio, come nei casi riportati, per occlusione o perforazione intestinale), ma quanti pazienti con sindrome aderenziale, crisi subocclusive, dolore addominale cronico eccetera vengono persi per strada? I reports in letteratura sono agghiaccianti, ma con tutta probabilità rappresentano davvero solo la punta dell’iceberg.
Vorrei tornare adesso ad un altro capitolo del libro del Prof. Campanelli; precisamente il capitolo 57 (pagg. 563-569) scritto dal Prof. Francesco Corcione. Il Prof. Corcione, Chirurgo di fama mondiale, già presidente della SIC (Società Italiana di Chirurgia), non ha bisogno di nessuna presentazione. Il capitolo si intitola “Laparoscopic Ventral Hernia Repair: Where Is the Border?”.
Riporto alcuni brani, fare una sintesi sarebbe davvero un peccato.
“If we affirm that the safety of the intraperitoneal meshes is supported by the results of more than 20 years of laparoscopic surgery in abdominal wall surgery, it’s difficult to understand why the companies has developed always new meshes, even replacing the previous ones, saying that the new one is the best one; and some meshes have been recalled from the market by the companies themselves!” – “Se affermiamo che la sicurezza delle reti intraperitoneali è supportata dai risultati di oltre 20 anni di chirurgia laparoscopica nella chirurgia della parete addominale, è difficile capire perché le aziende abbiano sviluppato reti sempre nuove, anche sostituendo le precedenti, dicendo che quello nuovo è il migliore; e alcune reti sono state ritirate dal mercato dalle stesse aziende!”
“ The adhesions are practically always present after any kind of mesh implant, regardless of the type of material used, and we can be sure that a real anti-adherent mesh still doesn’t exist.” – “Le aderenze sono praticamente sempre presenti dopo qualsiasi tipo di impianto di rete, indipendentemente dal tipo di materiale utilizzato, e possiamo essere certi che una vera rete antiaderente ancora non esiste.”
“The introduction of the Goretex mesh started a new era for the surgeons, although the mesh being very expensive. As a matter of fact, it has to be said that the Rives technique was difficult to be perceived by surgeons, who probably thought it was more logical, quick, and equally safe placing a mesh in the abdomen that was described as anti-adherent. But only few surgeons systematically used this prosthesis, which soon revealed to be “adherent,” causing a large number of obstructive complications and cases of migration into the digiunum, bladder, colon, etc.” – “L’introduzione della rete Goretex ha aperto una nuova era per i chirurghi, sebbene la rete fosse molto costosa. In effetti, c’è da dire che la tecnica di Rives era difficile da comprendere per i chirurghi, che probabilmente hanno ritenuto più logico, rapido e altrettanto sicuro posizionare una rete definita antiaderente nell’addome. Ma solo pochi chirurghi hanno utilizzato sistematicamente questa protesi, che presto si è rivelata “aderente”, causando un gran numero di complicanze ostruttive e casi di migrazione nell’intestino tenue, in vescica, colon, ecc.”.
“I have personally experienced intra-abdominal mesh-related complications at a distance of 1–15 years from their implant. I saw the formation of a parietal abscess 7 years after laparoscopic ventral hernia repair, sustained by a very late infection of the mesh. I have seen recurrences appeared 1 month (probably technical error) and 20 years after the surgery. I have treated many intra-abdominal prostheses migrations. I also saw migration of a mesh into the esophagus after hiatal hernia repair that required an esophagectomy.” – “Ho sperimentato personalmente complicazioni legate a reti collocate in sede intraaddominale a una distanza di 1-15 anni dal loro impianto. Ho visto la formazione di un ascesso parietale 7 anni dopo la riparazione laparoscopica di un’ernia ventrale, sostenuta da un’infezione molto tardiva della rete. Ho visto comparse di recidive 1 mese (probabilmente un errore tecnico) e 20 anni dopo l’intervento. Ho curato molte migrazioni di protesi intra-addominali. Ho anche visto la migrazione di una rete nell’esofago dopo la riparazione di un’ernia iatale, che ha richiesto una esofagectomia“.
“For decades a lot of patients (particularly complex cases and complications very difficult to deal with) referred to our hospital. As can be seen from the table, we have treated 37 patients with complex and risky interventions, with long postoperative stay. In the table the complication due to the previous mesh are described.” – “Da decenni molti pazienti (casi particolarmente complessi e complicanze molto difficili da trattare) si sono rivolti al nostro ospedale. Come si evince dalla tabella, abbiamo trattato 37 pazienti con interventi complessi e rischiosi, con lunga degenza postoperatoria. Nella tabella sono descritte le complicazioni dovute alla rete.”.
La rete nella chirurgia della diastasi dei retti: conclussioni.
“Laparoscopic surgery, which in our experience is largely adopted for the treatment of most major abdominal diseases, has now strict and limited indications for the treatment of ventral hernia.” – “La chirurgia laparoscopica, che nella nostra esperienza è largamente adottata per il trattamento delle principali patologie addominali, ha ora indicazioni rigorose e limitate per il trattamento dell’ernia ventrale”.
Le parole del Prof. Corcione sono lapidarie e lasciano poco spazio a giudizi di appello. Si noti comunque che lui intende l’aggettivo “laparoscopic” nel senso letterale del termine, ossia come campo chirurgico intraddominale. Oggi sono disponibili diverse tecniche avanzate, definite più esattamente come “endoscopiche”, che consentono di applicare i principi della chirurgia mininvasiva anche alle ernie addominali, posizionando la rete ben lontana dal peritoneo.
La REPA è la principale tra queste tecniche: con una rete posizionata sulla superficie esterna della parete addominale, ben lontano dai visceri pritoneali, gli eventi sfavorevoli di cui abbiamo parlato finora sono pari a 0. Questo è uno dei motivi per cui le REPA oggi, anche in alcune linee guida (come quella della Sociedad Hispanoamericana de Hernia), comincia ad essere considerata il gold standard per la chirurgia mininvasiva della diastasi dei retti.
Quindi, quando consultate un chirurgo per la cura della vostra diastasi, chiedete che vi spieghi in maniera dettagliata dove prevede di posizionare la rete. Ancora oggi in Italia molti chirurghi, anche ben conosciuti, con nomi di richiamo, nascondono dietro tecniche dal nome fantasioso il fatto di continuare a posizionare la rete a contatto dei visceri addominali!
https://i0.wp.com/diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2022/07/pexels-photo-3952240.jpeg?fit=867%2C1300&ssl=11300867Salvatore Cuccomarinohttps://diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2021/05/logo-300x155.pngSalvatore Cuccomarino2022-07-17 20:01:172023-01-15 18:38:42La rete nella chirurgia della diastasi: cosa NON fare.
Parlare di addominoplastica mininvasiva sembra un ossimoro, è una definizione che apparentemente si contraddice da sola. Ma come: l’addominoplastica non è quell’intervento che lascia una cicatrice enorme, doloroso, con un recupero lungo e complicato?
Naturalmente sì.
Ma noi oggi possiamo capovolgere completamente questo paradigma e parlare, compiutamente, di addominoplastica mininvasiva: ovvero di un intervento dedicato a pazienti che normalmente sarebbero candidate ad addominoplastica ma oggi possono essere trattate con solo tre piccole incisioni al di sobra del pube. Possiamo farlo perchè la tecnologia più avanzata ci viene incontro e grazie all’esperienza che abbiamo accumulato con la REPA, la chirurgia mininvasiva della diastasi dei retti, e la LESC, la lipoemulsione sottocutanea.
Le immagini parlano spesso più e meglio delle parole: ecco cosa noi intendiamo per addominoplastica mininvasiva:
Queste fotografie sono state scattate in sala operatoria, subito prima di iniziare l’intervento. Si tratta di una bella signora di 45 anni, che dopo due gravidanze si era ritrovata con questo addome. Oltre ad una diastasi di 7 cm, ed un’ernia ombelicale di 1 cm, la paziente presentava la situazione adipo-cutanea addominale gravemente compromessa, anche come texture della pelle, come ben visibile nelle fotografie preoperatorie.
La paziente è stata sottoposta a LESC e REPA nella stessa seduta operatoria, in un intervento durato due ore e 20 minuti.
Questa foto è stata scattata dalla paziente a 10 giorni dall’intervento. Abitando la paziente in un’altra regione, piuttosto lontano dalla mia sede, le avevo chiesto, dopo la rimozione del drenaggio, di mandarmi una fotografia dell’addome, per avere un’idea di come procedesse il postoperatorio. Già si cominciano ad intravedere i risultati dell’addominoplastica mininvasiva da noi realizzata, ed in particolare il notevole miglioramento a livello del pannicolo adipo-cutaneo dell’addome ed anche della texture cutanea. La paziente, all’epoca della foto, aveva da poco iniziato i massaggi linfodrenanti e non ancora la fisioterapia, pratiche che rientrano sempre nel postoperatorio delle nostre pazienti sottoposte a riparazione di diastasi dei retti. Le uniche ferite chirurgiche sono le tre piccole incisioni visibili a livello del pube.
Questo è il risultato a tre mesi dall’intervento di addominoplastica mininvasiva, risultato che possiamo considerare stabile. La trasformazione dell’addome è evidente, e probabilmente non merita di essere ulteriormente commentata; ma forse vale la pena di evidenziare i cambiamenti della texture cutanea (in particolare a livello della zona periombelicale) difficilissimi da ottenere con una addominplastica tradizionale.
La paziente ha ottenuto quello che voleva: affrontareuna stagione balneare senza doversi vergognare della sua pancia.
Il nostro obbiettivo era molto più ambizioso: intervenire profondamente a tutti i livelli del core addominale (muscolare, fasciale, adiposo, cutaneo) restituendo a tutti la propria funzionalità, oltre che l’aspetto estetico. Possiamo affermare di esserci riusciti, e bene.
Ah, anche questa è una foto fatta dalla paziente, e nessun filtro o “photoshoppatura” è stato usato per “addomesticarne” l’effetto finale. Siamo chirurghi seri.
Che conclusioni possiamo trarre sull’addominoplastica mininvasiva?
L’addominoplastica ha avuto un ruolo centrale, nei decenni passati, nel rimodellamento addominale; possiamo dire che l’ha fatta da padrone.
Negli ultimi dieci anni le cose sono profondamente cambiate. Da un lato l’introduzione di tecniche di chirurgia a minima invasività per il trattamento della diastasi dei retti (come la REPA, già oggi considerata in alcune linee guida – come quella della SociedadHispanoamericana de Hernia – il gold standard per questo tipo di patologia), dall’altro lo sviluppo della tecnologia di lipoemulsione ad ultrasuoni (la LESC) che tra i suoi “effetti collaterali” ha quello di promuovere la sintesi di fibre elastiche nell’epidermide (e quindi la sua capacità di rimodellarsi) hanno fatto sì che, in mani esperte, molte indicazioni alla classica addominoplastica venissero a cadere. Perchè la nostra paziente avrebbe dovuto affrontare un’incisione chirurgica di oltre 30 cm, con un postoperatorio pesante ed un recupero faticoso, se si possono ottenere questi risultati con tre piccole incisioni che, se messe in fila, misurerebbero meno di 3 cm?
Se desiderate altre informazioni non dovete fare altro che contattarmi con il seguente modulo o via WhatsAPP
https://i0.wp.com/diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2022/07/Addominoplastica-stop-cicatrice-2.png?fit=1350%2C1125&ssl=111251350Salvatore Cuccomarinohttps://diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2021/05/logo-300x155.pngSalvatore Cuccomarino2022-07-15 19:52:352022-07-17 11:55:04Addominoplastica mininvasiva: il futuro è già qui
Oggi vi racconto delle storie di Donne. Anzi, saranno loro stesse a raccontarvele.
Ognuno di noi Chirurghi può pensare di sé quel che vuole: credere di essere il migliore, un padreterno; a volte sapendo, tra sé e sé, di essere nulla più che un buon imbonitore, un affabulatore esperto che riesce a “vendere” il suo “prodotto”, magari a cifre esorbitanti. Potenza di internet e delle parole. Ma le parole, quelle degli altri, possono sì essere potenti: possono testimoniare una sfida, un successo, forse ottenuto dopo un percorso faticoso (nulla, a questo mondo, è gratis) ma alla fine pieno, totale.
Sono ormai quattro anni che parlo di REPA (che per la diastasi addominale rappresenta l’intervento in laparoscopia, o, meglio, in endoscopia) e che cerco di diffondere tra le donne tutte le informazioni possibili e scientificamente accurate sulla diastasi dei retti e sulla possibilità di trattarla con una chirurgia dolce, non invasiva e senza i rischi della sua più vecchia sorella, l’addominoplastica, o la fuffa di tecnologie inutili (in questo caso) e costosissime come il robot. La REPA è una chirurgia giovane, rivoluzionaria per molti versi, che fonda le sue radici sulla stretta collaborazione tra l’atto chirurgico e la fisioterapia postoperatoria: qualcosa a cui, in Italia, tra i chirurghi di parete, prima di me nessuno aveva pensato, che nessuno aveva mai studiato. Poteri dire che, pur tra difficoltà iniziali, fiere opposizioni di campanile, invidie e gelosie e, naturalmente, qualche fallimento (e chi non ne ha avuti?) è stato un successo: un vero successo terapeutico, di cui hanno beneficiato ormai più di 200 pazienti.
Ma tocca a me dirlo? No, naturalmente no: non posso essere il giudice di me stesso, se non nel mio intimo, per valutare criticamente quel che ho fatto e correggere i miei errori (e chi non sbaglia?). Devono essere gli altri: devono essere le mie pazienti a dire “sì, hai fatto bene” oppure “hai sbagliato tutto”.
Una delle cose belle di questa avventura è che, quando meno te lo aspetti, ti arriva il “grazie” di qualcuno; però non un “grazie” simbolico, di cortesia, quasi manieristico: bensì un “grazie” importante, dirompente, come un lampo in una notte nuvolosa.
Quelle che oggi vi lascio, come un regalo (perché tali sono state per me), sono storie di donne e diastasi. Raccontate da loro stesse. Buona visione!
https://i0.wp.com/diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2021/04/We-can-do-it-e1618911231854.jpg?fit=462%2C569&ssl=1569462Salvatore Cuccomarinohttps://diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2021/05/logo-300x155.pngSalvatore Cuccomarino2021-04-20 12:03:352021-11-25 21:52:49Storie di Donne, diastasi e REPA
A due anni da quando ho introdotto la REPA in Italia, è giunto il momento di valutare cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale in termini di qualità della vita. Tipicamente, le pazienti che arrivano nel mio studio soffrono di lombalgia, incontinenza urinaria da stress, stipsi, sensazione di prolasso addominale; in circa il 95% dei casi hanno un’ernia ombelicale, talvolta anche altre ernie della linea alba, e comunque una qualità della vita pessima nonostante la loro giovane età. Spesso hanno letto molto sulla loro malattia, ma sono molto confuse: una delle loro preoccupazioni, quasi sempre inespressa, può riassumersi in una sola domanda: cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale? Se deciderò di compiere questo passo, non facile, e con tutte le difficoltà anche economiche che comporta, la mia qualità di vita ne migliorerà?
Questa è la prima domanda a cui io devo rispondere quando ho davanti una di loro. Ne vale la pena?
Oggi esistono vari test che sono in grado di quantificare i cambiamenti in termini di qualità di vita di un intervento chirurgico. Uno di questi è il CeQOL (Carolinas equation for Quality Of Life), lanciato nel 2012 ed in origine dedicato ai pazienti sottoposti ad intervento per ernia inguinale. Le domande che questo test prevede, tuttavia, si adattano bene ad ogni tipo di difetto della parete addominale. Per capire cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale nei pazienti sottoposti a REPA, abbiamo stilato un questionario basato sul CeQOL e l’abbiamo inviato a 120 pazienti, tutti di sesso femminile e con un follow-up variabile da 6 mesi a 2 anni. Ecco i risultati.
1. EPIDEMIOLOGIA
Chi sono le pazienti che si sottopongono alla REPA, l’ormai conosciutissimo intervento chirurgico endoscopico minimamente invasivo per la riparazione della diastasi dei retti?
Tipicamente, si tratta di giovani donne (l’età media è 42 anni), che hanno partorito in media due volte, essendo state sottoposte nella maggioranza dei casi a parto cesareo. In genere sono pazienti in ottime condizioni di salute, magre (il peso medio è di circa 55 kg, il BMI medio è di poco superiore a 21), sportive, con un’intensa vita sociale e familiare. La diastasi, di cui si sono accorte generalmente (ma non necessariamente) dopo il secondo parto, ha devastato la qualità della loro vita familiare e sociale; non si riconoscono più nel loro corpo, a volte ne hanno vergogna; in più del 70% dei casi soffrono di lombalgia, che hanno cercato di curare in tutti i modi senza risultato; in quasi il 38% dei casi di incontinenza urinaria da stress (ma anche a riposo), sintomo estremamente debilitante per loro, anche in rapporto alla giovane età. I disturbi digestivi, in cui predomina la stitichezza (non presente prima della gravidanza) sono presenti nel 53% dei casi. La dimensione media della diastasi, al momento della visita, è di 5 cm di larghezza; il 95,7% è portatrice di un’ernia ombelicale (di cui spesso, prima della visita, ignorava la presenza).
Capite bene quanto sia impegnativo, e debba essere affrontato con serietà, il compito di rispondere alla domanda che in fondo le ha portate da me: cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale?Avrò la possibilità di riprendere in mano la mia vita? Perchè di questo si tratta.
2. METODOLOGIA DELL’INDAGINE.
Abbiamo inviato una mail a 120 pazienti sottoposte a REPA e con un follow-up medio variabile tra 6 e 26 mesi. Di esse, hanno risposto in 83. La domanda chiave che abbiamo posto per valutare cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale è stata: fatta uguale a 5 l’intensità di un sintomo x presente prima dell’intervento, come è cambiata (se è cambiata) dopo l’intervento?
I sintomi presi in considerazione sono stati:
Lombalgia
Incontinenza urinaria
Meteorismo
Stipsi
Sensazione di prolasso addominale
Difetti posturali (l’iperlordosi delle pazienti è frequentissima, e spesso esse tendono ad acquisire una postura inclinata verso avanti)
Sensazione di movimenti addominali (come i calcetti di un feto durante la gravidanza)
Ecco i risultati:
a) LOMBALGIA: il valore medio riportato dalle pazienti è stato 1
b) INCONTINENZA URINARIA: anche in questo caso è stato 1
c) METEORISMO (gonfiore addominale): 1
d) STITICHEZZA: 1
e) SENSAZIONE DI PROLASSO ADDOMINALE: 0
f) DIFETTI POSTURALI: 1
g) SENSAZIONE DI MOVIMENTI ADDOMINALI: 0
Abbiamo poi posto una domanda difficile e pericolosa, trattandosi di una valutazione setremamente soggettiva e sottoposta a mille variabili: DA 1 A 5, QUANTO LA SODDISFA IL RISULTATO “COSMETICO” DELL’INTERVENTO? La risposta media è stata 4.
Sono state poste anche molte altre domande, derivate direttamente dal CeQOL, sull’effetto dell’intervento nei normali atti della vita quotidiana (alzarsi dal letto, salire le scale, tossire, praticare sport…); i dati sono stati raccolti in un articolo in pubblicazione su una prestigiosa rivista scientifica, e quindi non possono essere al momento diffusi; posso però dire che sono estremamente soddisfacenti, e che sarà mia cura condividere l’articolo non appena verrà dato alle stampe.
CONCLUSIONI: COSA CAMBIA DOPO L’INTERVENTO PER DIASTASI ADDONINALE NELLA “QUALITY OF LIFE” DELLE PAZIENTI OPERATE?
Cambia molto, eccome. Sintomi presenti prima dell’intervento e considerati debilitanti dalle pazienti si riducono in maniera estremamente significativa o scompaiono del tutto dopo la chirurgia. Le pazienti si riappropriano della propria vita, e, con essa, della propria felicità: e tutto ciò con un intervento, la REPA, la cui minima invasività è certificata dal fatto che solo nel 4,3% dei casi le pazienti hanno dovuto assumere antidolorifici per più di una settimana (il tempo medio di mantenimento del drenaggio).
Che altro aggiungere? Non posso che dichiararmi estremamente soddisfatto del lavoro effettuato da me e dalla mia équipe fino ad oggi. Ma questo non può che essere carburante per la sfida successiva: diffondere il più possibile la tecnica, diffonderne i risultati, perchè sempre più pazienti possano esserne beneficiati.
In questo ho bisogno anche dell’aiuto di chi legge: aiutatemi, condividete il più possibile questi dati, condividete i miei articoli: chi è affetto da diastasi dei retti non potrà, in futuro, che ringraziarvi.
Cio’ significa, in poche parole, che la comunita’ scientifica internazionale nelle sue piu’ alte espressioni ha riconosciuto alla REPA il ruolo che ormai da diversi anni ricopre nella chirurgia della diastasi dei retti; e ne ha apprezzato le sue caratteristiche di “gentilezza” dovute alla minima invasivita’ ed al rapido recupero postoperatorio dei pazienti che vi si sottopongono.
E’ inutile dire che per noi “sodali” di Derlin, appartenenti come lui all’esclusivissimo “Grupo Iberoamericano de Hernia” e che sentiamo un po’ la REPA come “figlia nostra”, la notizia e’ stata occasione di gioia e di gran festa; si tratta di un giusto riconoscimento all’intelligenza ed al lavoro del Dr. Juarez Muas, che pazientemente ha insegnato a noi, suoi compagni di viaggio, come realizzare la riparazione mininvasiva dela diastasi dei retti nella maniera piu’ corretta possibile. E’ chiaro che ognuno di noi poi magari ci ha aggiunto del suo (il sottoscritto, per esempio, ha introdotto la metodica di identificazione e marcatura del perimetro della diastasi, e l’uso dei blocchi nervosi periferici per il controllo del dolore postoperatorio): ma queste “appendici” nulla hanno tolto all’eleganza innata della REPA, e sono state comunque sempre sottoposte al giudizio ed all’approvazione da parte di Derlin e degli altri Chirurghi del GIH.
Diastasi dei retti e REPA: considerazioni personali
Come considerazione personale, vorrei aggiungere che spero che questo prestigiosissimo riconoscimento internazionale metta fine a tutte le polemiche e le critiche (quasi esclusivamente da parte di altri Chirurghi italiani, che evidentemente di questa tecnica non hanno la piu’ pallida idea…) rispetto all’uso ed alla posizione della rete nella chirurgia della diastasi dei retti; critiche a volte
Io e il Dr. Derlin Juares Muas, ideatore della tecnica REPA, al congresso della Societa’ Italiana di Chirurgia dello scorso anno
cosi’ accanite ed espresse con tanta supponenza, da far intuire, alla fine, l’invidia che le sottende.
Bravissimo Derlin! Il prossimo passo e’ adesso la pubblicazione dello studio multicentrico con centinaia di casi analizzati uno ad uno (di cui moltissimi operati dallo scrivente, che vanta la seconda piu’ numerosa casistica di REPA del mondo, subito dopo lo stesso Maestro Juarez Muas). Hasta la victoria siempre, querido amigo!
https://i0.wp.com/diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2018/09/diastasi-dei-retti-e-repa-su-surgical-endoscopy.jpg?fit=1633%2C618&ssl=16181633Salvatore Cuccomarinohttps://diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2021/05/logo-300x155.pngSalvatore Cuccomarino2018-09-24 18:56:302018-09-24 18:56:30Diastasi dei retti: la REPA su Surgical Endoscopy
Per il trattamento mininvasivo della diastasi dei retti robot e REPA sono le due tecniche oggi più efficaci di cui disponiamo.
Dichiaro subito il mio conflitto d’interessi: io sono l’uomo della REPA, tecnica che ho introdotto in Italia e che amo tantissimo.
Tuttavia, la chirurgia robotica mi affascina da sempre, e so quanto sia efficace, in generale, nel trattamento della patologia di parete addominale.
Ma per quanto riguarda la diastasi dei retti robot e REPA sono equivalenti? o una tecnica è migliore dell’altra? e perché?
Si tratta, in entrambi i casi, di tecniche a minima invasività che prevedono, come cardini della procedura, il riallineamento sulla linea media dell’addome (la “linea alba”) dei muscoli retti, la loro sutura ed il posizionamento di una rete. Tuttavia, nelle due tecniche questi passi non vengono eseguiti nella stessa maniera. Cerchiamo di capire quali siano le differenze, per trarre poi le opportune conclusioni.
Diastasi dei retti robot e REPA: confrontiamo le tecniche
Via d’accesso. Tanto la tecnica robotica che la REPA prevedono di raggiungere i muscoli retti attraverso tre piccole incisioni sull’addome. Con il robot, le incisioni vengono eseguite sul fianco sinistro, mentre nella REPA appena sopra il pube: quindi, con la REPA le incisioni sono praticamente invisibili mentre lo stesso non può essere detto per il robot. Inoltre, nella REPA, una o due delle incisioni sono di 5 mm circa, mentre con il robot l’incisione più piccola non può essere di meno di 8 mm.
Pressione di lavoro. Tanto con il robot che nella REPA, per creare lo spazio di lavoro bisogna insufflare un gas, l’anidride carbonica, ad una pressione adeguata a distendere la parete addominale. Con il robot, come avviene anche in laparoscopia, la pressione con cui si insuffla l’anidride carbonica all’interno della cavità addominale è di circa 12 mm Hg, mentre nella REPA il gas NON viene insufflato nella cavità addominale, e la pressione di lavoro è inferiore di 1/3, circa 8 mm Hg, con momenti piuttosto lunghi dell’intervento in cui viene ulteriormente diminuita a 3-4 mm Hg. Un’altra importante conseguenza è che, come detto, nella chirurgia robotica il gas viene insufflato all’interno della cavità peritoneale: il peritoneo assorbe avidamente l’anidride carbonica, e ciò provoca un aumento della sua concentrazione nel sangue (ipercapnia). Nella REPA l’insufflazione è extraperitoneale: la concentrazione di anidride carbonica nel sangue non si modifica. L’anidride carbonica, infine, e’ un gas irritante per il peritoneo, e contribuisce al dolore (anche in sedi “strane”, come la spalla destra) che si prova nel postoperatorio. Questo problema, con la REPA, e’ inesistente.
Spazio di lavoro. Come già accennato, la tecnica robotica per la riparazione della diastasi dei retti (e delle ernie che ad essa si associano) prevede l’inserimento degli strumenti chirurgici dentrola cavità peritoneale, dove sono contenuti molti organi “nobili” (fegato, milza, pancreas, stomaco, intestino…): ciò ha come conseguenza il rischio, minimo ma concreto, di lesione di questi organi durante la chirurgia. Lo spazio di lavoro della REPA è invece soprafasciale: completamente al di fuori della cavità peritoneale, senza nessun rischio di lesione degli organi peritoneali.
Anatomia dei muscoli retti. In pratica, da quanto abbiamo detto fin’ora, la chirurgia robotica ripara la diastasi dei retti guardandoli “da dietro”, dall’interno della cavità addominale; mentre nella REPA i muscoli si guardano “davanti”, inquadrando la loro superficie anteriore, al di fuori della cavità addominale. Sembra una piccola differenza, ma in realtà è sostanziale. Questo perché i muscoli retti sono rinchiusi all’interno di una guaina (la “guaina dei retti”, appunto) costituita da due foglietti, uno anteriore ed uno posteriore. Tra i due foglietti esiste un’importante differenza: quello anteriore è infatti completo, estendendosi dal torace al pube; quello posteriore è incompleto, terminando poco sotto l’ombelico con un margine noto come linea arcuata. Sul piano pratico ciò significa che, dato che le suture muscolari devono essere realizzate sulle fasce e non direttamente sul tessuto muscolare (che è “fragile” e tende a lacerarsi, sanguinare ecc.), nella riparazione robotica la diastasi può essere chiusa efficacemente solo fino alla linea arcuata (a meno che al di sotto di questa i punti non attraversino i muscoli “a tutto spessore”, includendo nella sutura anche il foglietto anteriore della guaina dei retti: ma in questo caso il traumatismo muscolare sarebbe davvero notevole); mentre con la REPA la diastasi può essere riparata per tutta la sua lunghezza, dallo sterno fino al pube.
Tempi dell’intervento. L’intervento robotico può essere visualizzato in questo video. In pratica, con questa tecnica si incide il peritoneo per tutta la lunghezza dei muscoli retti, fino a scoprire il foglietto posteriore della loro fascia ed ad evidenziare la diastasi; a questo punto, la diastasi viene chiusa suturando (cioè cucendo) i due muscoli retti tra loro (sempre ricordando la famosa linea arcuata…); quindi il peritoneo viene richiuso, e si colloca una rete. Nella REPA, di cui in fondo a questo articolo è possibile vedere un video con i momenti tecnici principali, una volta creato lo spazio chirurgico il perimetro della diastasi viene identificato con delle piccole scariche elettriche (che ci consentono di scoprire molte cose su questi due muscoli… ad esempio il fatto che, proprio a causa della diastasi, molto spesso al di sotto dell’ombelico essi si contraggono pochissimo, o non si contraggono proprio, e questa è la causa del “bombé” addominale, cioè di quel gonfiore che è una delle prime cose di cui le pazienti si lamentano quando arrivano in studio); ciò fatto, i muscoli vengono riallineati alla linea media e suturati, ricostruendo la linea alba: il fatto di eseguire questo tempo chirurgico sul foglietto anteriore della guaina dei retti ci consente di suturare la diastasi per tutta la sua estensione, dallo sterno fino al pube. Infine, si colloca la rete.
La rete.Sia in chirurgia robotica che con la REPA si utilizza una rete. Le reti che si usano, però, sono profondamente differenti. Nel caso del robot, viene utilizzata una cosiddetta “dual mesh”, cioè una rete relativamente pesante con due superfici di materiale diverso. Una di queste due superfici è teoricamente studiata per poter essere messa a contatto con i visceri addominali (intestino, stomaco, ecc.). Tuttavia, anche la più avanzata di queste reti provoca semprela formazione di aderenze con tali organi. Le aderenze possono non dare segno di sé anche per tutta la vita, ma possono, dall’altro lato, essere causa, per esempio, di ostruzione intestinale o fistole enteriche, problemi abbastanza gravi di non semplice soluzione chirurgica. Nel caso della REPA, invece, la rete viene collocata al di sopra del foglietto anteriore della fascia dei retti. Viene generalmente usata una rete ultraleggera (noi usiamo una rete di circa 19 g/mq, il che, rapportato alla superficie della rete normalmente usata, significa meno di 0,5 g di protesi collocata). La rete non è a contatto con nessun organo e non ha alcuna possibilità di provocare lesioni a carico di strutture “nobili”. E’ possibile, invece, anche se rara, la formazione di sieromi ed ematomi, il cui trattamento è quasi sempre conservativo, e la cui frequenza si riduce notevolmente semlicemente lasciando il drenaggio in sede per qualche giorno in piu’ nel postoperatorio.
Se quindi dobbiamo parlare di diastasi dei retti robot e REPA confrontando le tecniche, non c’è molto altro da aggiungere. Non voglio trarre nessuna conclusione, come ho detto il robot mi affascina: ma per il trattamento della diastasi dei retti sono, e resterò sempre, l’uomo della REPA.
https://i0.wp.com/diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2018/06/diastasi-dei-retti-robot-e-repa.jpg?fit=1130%2C800&ssl=18001130Salvatore Cuccomarinohttps://diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2021/05/logo-300x155.pngSalvatore Cuccomarino2018-07-08 14:53:272018-07-09 08:23:01Diastasi dei retti robot e REPA – Tecniche a confronto
Pancia gonfia dopo l’intervento per diastasi dei retti… un incubo per le pazienti, un dispiacere per il quale nulla può il chirurgo.
Ma perché dopo l’intervento per diastasi dovrebbe restare la pancia gonfia? Per un errore chirurgico? Per inadeguatezza della tecnica?
La risposta in entrambi i casi e’ no (ma pensarlo e’ umano): la causa e’ da cercare nella stessa fisiopatologia della diastasi.
Nella diastasi dei retti, come e’ noto, i muscoli addominali, e in particolare i muscoli retti dell’addome, lavorano secondo vettori di contrazione alterati, e a volte non lavorano proprio. Cio’ provoca inevitabilmente quello che succede sempre quando un muscolo non lavora: le fibre muscolari degenerano, possono essere sostituite ad esempio da tessuto adiposo (che ovviamente non ha nessuna capacita’ di contrazione) e diminuisce l’innervazione da parte delle fibre nervose. E’ come se una parte del muscolo fosse morta, o comunque in coma profondo.
L’intervento per diastasi (la R.E.P.A. come qualsiasi altro intervento) ricostruisce la geometria dei vettori di contrazione del muscolo: ma li’ si ferma; se il muscolo non c’è, o se c’è ma ha perso la capacita’ di contrarsi, non c’è niente da fare.
Se il muscolo non si contrae, non ha tono: per cui la capacita’ del torchio addominale diminuisce, e se la paziente ha problemi di meteorismo (che può essere anche, ma non solo, dovuto alla diastasi) ecco che compare il fenomeno della pancia gonfia.
E di come si contraggono i muscoli noi ci rendiamo bene conto in sala operatoria.
Nel video che segue, potrete gustarvi una delle parti finali dell’intervento di R.E.P.A. (Riparazione Endoscopica Pre Aponeurotica della diastasi dei retti). Dopo aver riallineato i muscoli alla linea media della parete addominale, noi controlliamo sempre che il lavoro sia stato fatto bene: per farlo, stimoliamo la contrazione muscolare con delle piccole scariche elettriche somministrate con il crochet, uno degli strumenti piu’ importanti della chirurgia endoscopica. Se il muscolo c’è, si contrae vigorosamente; altrimenti, si contrae molto poco o per niente. Il riallineamento e’ stato eseguito correttamente, la diastasi e’ chiusa ma, ahimè, i muscoli, sfibrati da anni di patologia, non rispondono piu’. Nel caso del video, i muscoli della parte inferiore della parete si contraggono ancora, anche se poco; in altri casi, nonostante le stimolazioni elettriche non si osserva nessuna contrazione muscolare.
Queste pazienti devono attendersi inevitabilmente la comparsa (o ri-comparsa, visto che e’ una delle caratteristiche della diastasi…) di una pancia gonfia nel postoperatorio?
Certo che no. Il senso della fisioterapia postchirurgica (che noi per primi abbiamo introdotto, indicando alle nostre pazienti l’esecuzione di cicli di ginnastica ipopressiva sotto la guida di un fisoterapista esperto) e’ proprio quello di cercare di rianimare i muscoli “spenti”. La ginnastica ipopressiva, un particolare tipo di ginnastica propiocettiva purtroppo quasi sconosciuto in Italia, se eseguita sotto il costante controllo di un fisioterapista che sappia di cosa si sta parlando, e’ straordinaria (ma non miracolosa, ovviamente… si arriva fin dove la Natura permette che si arrivi!) nel ridare al muscolo la capacita’ di contrarsi ed al paziente la consapevolezza di avere quel muscolo. Ma necessita di impegno ed adeguata applicazione da parte dei pazienti.
In conclusione, la chirurgia sinergia tra chirurgia e fisioterapia e’ cruciale nel trattamento, davvero multidisciplinare, della diastasi dei retti. Ma, come si vede, ci sono molte variabili postoperatorie: non ultime, la capacita’ del fisioterapista e l’applicazione delle pazienti, entrambe fondamentali se davvero si desidera evitare lo spiacevole fenomeno della pancia gonfia.
https://i0.wp.com/diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2018/04/pancia-gonfia.jpg?fit=736%2C490&ssl=1490736Salvatore Cuccomarinohttps://diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2021/05/logo-300x155.pngSalvatore Cuccomarino2018-04-22 20:36:382021-11-25 22:09:29Pancia gonfia… quando la Natura prevale sul Chirurgo
Diastasi dei retti addominali: perchè usare la rete
Ho deciso di scrivere questo breve articolo per rispondere ad una domanda che mi viene fatta da praticamente tutte le pazienti che si rivolgono a me per un problema di diastasi dei retti addominali: “Dottore, ma bisogna proprio usarla, la rete?”
Sì, bisogna usarla. Al di là del fatto che la tecnica R.E.P.A. che io propongo – ossia la riparazione mininvasiva endoscopica messa a punto dal Dr. Juarez Muas – lo prevede specificamente, tutti i chirurghi che si occupano di chirurgia della parete addominale sanno perfettamente da decenni che l’uso delle reti ha ridotto drasticamente l’incidenza di recidiva postoperatoria delle ernie e degli altri difetti di parete: se prima della loro introduzione ci si poteva aspettare una recidiva in oltre il 20% dei casi, oggi siamo a meno del 4%. Tuttavia, è vero che le reti si comportano da corpo estraneo, e che la loro introduzione in un organismo vivente non è senza conseguenze. Il corpo reagisce alla presenza di una rete, come di qualsiasi altro oggetto che venga introdotto al suo interno. Da una parte, però, questa reazione fa proprio parte del meccanismo con cui le reti rendono più stabile e sicura la riparazione del difetto; infatti, la formazione di tessuto fibroso che penetra tra le maglie della rete è esattamente ciò che più di ogni altra cosa rende solida e durevole la riparazione; tanto per semplificare, è come se si formasse una cicatrice dura e resistente dove prima c’era un buco. Questo vale per ogni difetto di parete, compresa la diastasi dei retti addominali. Durante l’intervento, i muscoli retti vengono riallineati sulla linea media del corpo e suturati tra loro (noi chirurghi chiamiamo questo tempo operatorio “ricostruzione della linea media”): la rete stabilizza e rinforza questa sutura, sia attraverso le proprie caratteristiche capacità meccaniche, sia, soprattutto, inducendo la formazione della “cicatrice dura e resistente” di cui abbiamo appena parlato.
Diastasi dei retti addominali: che rete usare?
Le reti, però, non sono tutte uguali.
Una premessa necessaria è che in questo intervento si usano le reti di polipropilene, un materiale plastico inerte e resistente alle infezioni scoperto da uno scienziato italiano, Giulio Natta, che per questo vinse il premio Nobel per la Chimica nel 1963. La stragrande maggioranza delle reti oggi usate nella chirurgia di parete sono costituite di, o hanno come base il, polipropilene.
Tuttavia, non esiste una solo tipo di rete di polipropilene. Queste reti si distinguono tra loro per il peso e per la tessitura (ovvero per come sono intrecciati tra di loro, tridimensionalmente, i filamenti di polipropilene).
In base al peso, esistono reti ultraleggere (meno di 35 g/m2), leggere (tra 35 e 70 g/m2), standard (tra 70 e 140 g/m2) e pesanti (oltre i 140 g/m2). Un brillante articolo su questa classificazione, scritto dal compianto Andrea Coda (uno dei più importanti chirurghi di parete italiani, scomparso prematuramente qualche anno fa), può essere letto qui. Questa distinzione non è puramente accademica: infatti il peso della rete è uno dei fattori determinanti nell’origine del dolore postoperatorio, della sensazione di corpo estraneo e nella rigidità dell’area in cui la la protesi viene collocata. Una review molto importante su questo genere di problemi, riferita nello specifico alla riparazione dell’ernia inguinale ma applicabile anche a tutti gli altri casi di chirurgia protesica della parete addominale, è stata pubblicata nel 2012 sul British Journal of Surgery, una delle più importanti riviste di chirurgia del mondo. In questo articolo, viene chiaramente evidenziato che le reti leggere ed utraleggere causano una molto minore rigidità, meno dolore e una ridottissima sensazione di corpo estraneo rispetto alle reti standard e pesanti.
Il “confort” di una rete è quindi tanto maggiore quanto minore è il suo peso. Questo argomento diventa tanto più importante quando si considera che la maggioranza delle pazienti che si sottopongono ad intervento chirurgico per una diastasi dei retti addominali sono giovani, in ottima forma fisica e sportive – e quindi dovranno convivere a lungo con la rete, e questa auspicabilmente dovrà essere compliante con il loro stile di vita. Pertanto, le reti più adatte in questi casi sono le reti ultraleggere.
Oggi sono disponibili reti ultraleggere del peso di 20 g/m2, il che consente, una volta ritagliata la protesi, di lasciare meno di 0,5 g di “corpo estraneo” impiantato nei pazienti.
Diastasi dei retti addominali e protesi: concludendo…
La conclusione di tutto questo discorso è ovvia: in considerazione delle caratteristiche, prima ricordate, delle pazienti che si sottopongono ad intervento chirurgico per diastasi dei retti addominali, e dello stile di vita dinamico che in genere conducono, le reti migliori per questa chirurgia sono le reti ultraleggere: massimo confort, minima rigidità, minima o nulla sensazione di corpo estraneo.
https://i0.wp.com/diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2017/08/diastasi-dei-retti-addominali-e-reti.jpg?fit=595%2C400&ssl=1400595Salvatore Cuccomarinohttps://diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2021/05/logo-300x155.pngSalvatore Cuccomarino2017-08-20 21:55:422021-11-25 22:11:31L’uso della rete nella diastasi dei retti addominali
La diastasi addominale consiste in una separazione dei muscoli retti addominali, i due muscoli lunghi centrali dell’addome. Molto frequentemente dovuta alla gravidanza, colpisce in maniera irreversibile circa un terzo delle donne che hanno partorito; nell’uomo, la diastasi addominale può comparire in relazione, ad esempio, all’aumento di peso od agli sforzi fisici intensi.
Solo un problema estetico?
Normalmente, i muscoli retti dell’addome sono uniti tra loro da un sottile e resistente cordone fibroso, la linea alba; nella diastasi addominale questo cordone si assottiglia e indebolisce, ed i muscoli retti si separano, spostandosi, soprattutto nella loro zona centrale, verso i lati della parete addominale. La diastasi addominale, o diastasi dei retti si osserva spessissimo dopo la gravidanza, specie (ma non solo) nelle giovani donne magre, sportive e con parete addominale molto tonica; non si tratta di una vera e propria ernia, ma si definisce correttamente come una insufficienza della linea alba, la quale causa un indebolimento della parete addominale che col tempo tende ad aggravarsi ed a provocare la comparsa di sintomi come il mal di schiena e l’incontinenza urinaria (oltre a diventare decisamente antiestetica). Anche nell’uomo, la diastasi dei retti può essere presente e provocare disturbi che interferiscono profondamente con le attività quotidiane. La diastasi addominale nell’uomo compare più frequentemente in caso di addomi sottoposti a notevoli stimolazioni muscolari (ad esempio negli sportivi) o nei pazienti sovrappeso od obesi, e può causare lombalgia e difficoltà respiratorie e digestive. Ancora oggi i Chirurghi Generali sottovalutano la diastasi dei retti, e la relegano nel campo dei difetti estetici; questo punto di vista, tuttavia, è semplicistico e tiene poco conto dell’importanza dei vettori muscolari addominali nell’esecuzione, per esempio, dei movimenti respiratori, nel mantenimento di una corretta posizione eretta e nel garantire una corretta funzione dei muscoli del pavimento pelvico. Per questo, la diastasi addominale deve essere considerata alla stregua di una vera e propria malattia della parete addominale, meritando la giusta considerazione e un corretto approccio correttivo chirurgico.
Diastasi dei retti: intervento in laparoscopia (o meglio, in endoscopia)
Ancora oggi, nel nostro Paese, la grande maggioranza dei Chirurghi che operano la diastasi dei muscoli retti lo fanno attraverso grandi incisioni sulla parete addominale (l’incisione orizzontale da
Questa paziente ha una corretta indicazione all’addominoplastica, per la presenza di un addome pendulo e di pelle in eccesso
fianco a fianco dell’addominoplastica realizzata dai Chirurghi Plastici; l’incisione verticale dallo sterno al pube dei Chirurghi Generali; e non raramente, entrambe le incisioni insieme), che risultano molto dolorose, di lenta guarigione e con risultati non raramente orribili dal punto di vista cosmetico. L’addominoplastica in particolare mantiene le sue indicazioni nelle pazienti con grembiule adiposo che cerchino, oltre alla correzione dei problemi funzionali, anche un miglioramento cosmetico della propria parete addominale: ma nei casi in cui non vi siano addomi penduli o pelle in eccesso, l’addominoplastica oggi è
Questa paziente, invece, non ha nessuna indicazione all’addominoplastica: niente pelle in eccesso, niente addome pendulo.
un intervento inutilmente rischioso e veramente troppo invasivo per poter essere giustificato (oltre a presentare un altissimo rischio di recidiva della diastasi e di complicanze, come ci racconta la Letteratura medica internazionale) come trattamento della diastasi addominale. Oggi, tuttavia, sono disponibili tecniche minimamente invasive: la diastasi dei retti addominali può essere trattata con un intervento in laparoscopia, o meglio in endoscopia, grazie al quale, con tre piccoli fori subito sopra il pube, si riesce a ricostruire il difetto tra i muscoli retti, collocando infine una rete leggerissima a rinforzo della parete, esattamente come avviene nella chirurgia
L’invasivita’ della addominoplastica e la sua complicanza piu’ temibile: la necrosi della cute addominale
delle ernie.
Diastasi addominale nell’uomo
La REPA è particolarmente efficace per il trattamento della diastasi addominale nell’uomo: i pazienti di sesso maschile gradiscono molto la sua minima invasivià, il decorso postoperatorio più “gentile” e la più rapida ripresa delle proprie abituali attività.
Siamo stati i primi in Europa, e siamo gli unici in Italia, ad eseguire la REPA, l’intervento endoscopico mininvasivo per la correzione della diastasi dei retti; e siamo orgogliosi di poter dire di avere oggi la più ampia casistica pubblicata al mondo per questo tipo di chirurgia.
Che differenza c’e’ tra l’intervento in laparoscopia per la diastasi addominale e l’intervento in endoscopia? Gli strumenti utilizzati sono gli stessi, ma mentre con l’intervento in laparoscopia (o con il robot chirurgico) si entra nella cavità addominale, con l’intervento in endoscopia si resta fuori di essa, sulla superficie dei muscoli retti: il rischio di complicanze postoperatorie, come ad esempio la lesione di visceri addominali, è in questo modo molto ridotto. Inoltre, con l’intervento in laparoscopia o robotico per la diastasi dei retti non si riesce, per motivi anatomici, a plicare (ossia a cucire) per intero la fascia dei muscoli retti dell’addome, mentre con l’intervento in endoscopia sì. L’intervento endoscopico per la diastasi dei retti – la REPA – è davvero minimamente invasivo, il ricovero del paziente è di una sola notte ed il decorso postoperatorio è particolarmente lieve e senza grandi disturbi per i pazienti. Ma la nostra attenzione al trattamento della diastasi dei retti non termina con l’intervento chirurgico: siamo stati i primi in Italia ad introdurre un programma terapeutico multidisciplinare, che prevede un percorso di riabilitazione fisioterapeutica dei muscoli della parete addominale, dell’omeostasi posturale e della funzione del pavimento pelvico attraverso uno straordinario protocollo di ginnastica ipopressiva.
Per saperne di più sulla diastasi dei retti e sull’intervento in laparoscopia sia nell’uomo che nella donna, lasciate un messaggio nella casella vocale0110438161 , scriveteciutilizzando il modulo che segue oppureprenotate una visita.
REPA: la nuova chirurgia “gentile” per la diastasi dei muscoli retti
La parola “diastasi” deriva dal greco (diàstasis, “separazione”), ed in medicina indica tutte quelle condizioni in cui due strutture normalmente affiancate si separano. La diastasi dei muscoli retti dell’addome consiste quindi in una separazione dei muscoli retti addominali – due lunghi muscoli localizzati nella parete anteriore dell’addome ed estesi tra lo sterno e le coste, superiormente, ed il pube, inferiormente.
In condizioni normali i muscoli retti sono uniti tra loro mediante uno spesso cordoncino fibroso, chiamato linea alba. In determinate condizioni, però, questa si assottiglia ed appiattisce (a volte diventa sottile come un foglio di carta…), allargandosi: ciò determina una separazione dei muscoli (tecnicamente si parla di un aumento della IRD, Inter Recti Distance, distanza interrettale): e, se questa separazione è maggiore di 2,5 cm, si ha la diastasi dei muscoli retti addominali.
Al di sotto dei 2,5 cm la distanza interrettale viene considerata fisiologica; ciò perchè esistono differenze di genere (al di sotto dell’ombelico, ad esempio, è maggiore negli uomini rispetto alle donne nullipare, ossia che non hanno avuto figli); aumenta con le gravidanze, e dipende anche dalla sede anatomica (è in genere maggiore al di sopra dell’ombelico). Esistono poi dei fattori di rischio, ossia condizioni che possono provocare un aumento della IRD; tra di esse l’età, il numero di gravidanze, il parto cesareo ed il sovrappeso. Secondo uno studio recente, la diastasi dei retti interessa il 60% delle donne alla 21° settimana di gravidanza, e persiste nel 31,2% delle donne ad un anno dal parto. Si tratta quindi di un problema comune, che può influire profondamente sul benessere delle donne che ne soffrono.
I SINTOMI DELLA DIASTASI DEI MUSCOLI RETTI
Con il procedere della gravidanza, la forma dell’addome materno cambia profondamente, a causa dell’aumento delle dimensioni e del peso dell’utero e del feto. I muscoli dell’addome, e tra essi soprattutto i muscoli retti, si allungano e si si spostano lateralmente: questo provoca una alterazione dei vettori di contrazione dei muscoli, cioè delle linee lungo le quali i muscoli si contraggono. In circa un terzo delle donne ad un anno dal parto queste modifiche rimangono permanenti: ciò provoca una profonda e definitiva compromissione delle capacità di flessione del tronco e di contrazione armonica dei muscoli della parete addominale (il cosiddetto “torchio addominale”). Questo ha delle conseguenze negative tanto sulla capacità di mantenere eretto il tronco (essendo la postura eretta un risultato della contrazione armonica dei muscoli dorsali e dei muscoli addominali) – e il primo effetto è la comparsa di iperlordosi e dolore dorso-lombare – quanto sulle performances del pavimento pelvico, il che può condurre alla comparsa di incontinenza urinaria da stress, incontinenza fecale (meno frequentemente) e prolasso di organi pelvici come l’utero o la vescica. Oltre a ciò, anche l’aspetto dell’addome si modifica profondamente: la sua porzione sottoombelicale rimane prominente e tende a gonfiarsi nel corso della giornata, tanto che molte pazienti, al momento della visita, mi raccontano di svegliarsi “piatte” la mattina e di arrivare al pomeriggio così gonfie da sembrare al quinto mese di gravidanza.
I disturbi digestivi legati al “prolasso” degli organi addominali sono frequenti: si va dal semplice meteorismo, alla sensazione di pesantezza postprandiale, alla stipsi, al dolore addominale. La sensibilità ai traumi della parete dell’addome aumenta enormemente; e molte pazienti notano dei “movimenti” sotto pelle, che paragonano ai “calcetti” dati dai feti durante la gravidanza e che invece sono espressione dei normali movimenti dell’intestino (non visibili quando la parete dell’addome è normale).
LA DIAGNOSI
Il primo passo nella diagnosi della diastasi dei muscoli retti è l’autovalutazione; esistono diversi tutorials in rete che mostrano come valutare il proprio addome per capire se si sia o meno portatori di questa patologia.
Il ruolo nella diagnosi del Chirurgo specializzato nei trattamenti delle malattie della parete addominale è fondamentale, perchè è l’unico Professionista in grado di misurare con buona precisione il diametro della diastasi e valutare la presenza di eventuali ernie associate. Infatti, nella quasi totalità delle pazienti con diastasi dei retti addominali postgravidica è presente un’ernia ombelicale, cosa di grande importanza nella corretta pianificazione della strategia chirurgica; e non raramente ad essa si associano altre ernie della linea media, come l’ernia epigastrica.
L’ecografia della parete addominale è uno degli esami più frequentemente richiesti per la diagnosi; tuttavia la sua utilità, nella mia esperienza, è limitata, e non per una sola ragione: si tratta di un esame strettamente operatore-dipendente (ossia è attendibile solo se l’esperienza in diagnostica dei difetti della parete addominale del radiologo che la realizza è adeguata), non è standardizzato (spesso non vengono descritti i diametri della diastasi dei retti addominali o la presenza di ernie) e quasi sempre sottostima le reali dimensioni del problema. Ciò diventa evidente al momento dell’intervento, quando ci si accorge che le lunghezze e i diametri riportati dalle ecografie spesso non sono reali.
Sicuramente molto più precisa ed utile nella diagnostica delle patologie della parete addominale è la TAC dinamica, ossia una TAC, eseguita senza mezzo di contrasto, durante la quale il paziente viene invitato ad eseguire delle manovre (come la manovra di Valsalva) che evidenziano in maniera chiara ed esatta, indipendentemente dall’esperienza dell’operatore che la realizza, tanto la diastasi dei muscoli retti che le eventuali ernie, consentendo di misurarne i diametri, i volumi eccetera.
Tuttavia l’esame determinante, e nella grande maggioranza dei casi più che sufficiente, per la diagnosi di una diastasi dei retti addominali è l’esame clinico; se eseguito da un chirurgo esperto, permette di valutare con accuratezza tanto l’estensione che la larghezza nei vari punti della diastasi, nonchè la presenza di ernie eventualmente associate, consentendo di programmare in maniera corretta la chirurgia.
Nella mia pratica, io non chiedo mai un esame strumentale pre-visita, anche se spesso le pazienti arrivano in studio avendo già effettuato un’ecografia; e solo se alla fine dell’ispezione clinica non sono convinto, chiedo una TAC dinamica della parete addominale.
LA REPA, CHIRURGIA ENDOSCOPICA MININVASIVA DELLA DIASTASI DEI MUSCOLI RETTI
L’intervento tradizionale, e fino a poco tempo fa l’unico effettuato in Italia, per il trattamento della diastasi dei muscoli retti addominali è l’addominoplastica. Procedura storicamente patrimonio dei Chirurghi plastici / estetici, prevede un ampio taglio (da fianco a fianco, potremmo dire usando una terminologia poco scientifica…), la disinserzione della cute e del tessuto sottocutaneo dall’ombelico e lo stiramento verso il pube della pelle e del tessuto adiposo che essa sottende. Durante l’intervento, i due muscoli retti vengono cuciti tra loro sulla linea media (la cosiddetta “plicatura” dei muscoli retti). In alcuni casi e da alcuni chirurghi, se si è in presenza di una marcata prominenza della porzione sottoombelicale dell’addome, viene realizzata una “plicatura verticale o in accorciamento” dei muscoli obliqui, nel tetativo di “appiattire” la parete addominale. Quest’ultima procedura è piuttosto dolorosa e presenta, data l’elevata tensione a cui i muscoli sono sottoposti, un’elevata percentuale di recidive.
L’addominoplastica è utile nelle donne con “grembiule adiposo”, ossia con la porzione inferiore dell’addome che pende verso il monte di Venere per un eccesso di pelle e di tessuto adiposo; oppure negli obesi sottoposti a procedure di chirurgia bariatrica, al termine del periodo di dimagrimento. Questo perchè l’addominoplastica prevede l’esecuzione di una dermolipectomia, cioè l’asportazione della pelle in eccesso e del sottostante tessuto adiposo, che consente di correggere l’inestetismo causato appunto dal “grembiule adiposo”. Dalle pazienti magre, in buona forma fisica e senza “grembiule adiposo”, tuttavia l’addominoplastica è poco gradita, a causa dei suoi esiti cicatriziali molto ampi, della lunga convalescenza e dei rischi relativi al lembo dermoepidermico (tra cui la necrosi della cute e dell’ombelico).
Il Dr. Cuccomarino ed il Dr. Derlin Juares Muas, ideatore della tecnica R.E.P.A.
Da alcuni anni è disponibile un nuovo intervento minimamente invasivo per il trattamento della diastasi dei muscoli retti: la riparazione endoscopica pre-aponeurotica (REPA), tecnica messa a punto dal Dr. Derlin Juares Muas, noto chirurgo della parete addominale argentino. In questo intervento, attraverso tre piccole incisioni (due da 10 mm circa ed una da 5 mm circa) al di sopra del pube (nelle donne che hanno partorito per parto cesareo, usualmente queste incisioni cadono sulla cicatrice già esistente), con tecniche ben note ai chirurghi che si occupano di chirurgia laparoscopica avanzata si suturano le fasce dei muscoli retti addominali, ricostruendo la linea alba e riparando la diastasi, e si stabilizza e rinforza tale riparazione mediante il posizionamento di una rete ultraleggera – la qual cosa riduce sensibilmente il rischio di recidiva. Questo intervento, dai risultati davvero eccellenti, è molto popolare nei Paesi Iberoamericani (Spagna e Paesi dell’America Latina), e sta cominciando a diffondersi in molti Paesi europei. Io ho imparato questo intervento dallo stesso Dr. Juarez Muas, mio amico personale, e l’ho realizzato per la prima volta in Europa nel 2017.
È opportuno ricordare che chirurgia endoscopica e chirurgia laparoscopica non sono la stessa cosa. Nella chirurgia laparoscopica della parete addominale – a meno di padroneggiare tecniche molto avanzate di separazione dei componenti, oggi patrimonio di pochi chirurghi al mondo – quello che normalmente si fa è posizionare una rete per riparare un difetto della parete. Non si esegue, quindi, nessuna plicatura della fascia dei retti, rispetto ai quali il punto di vista del chirurgo e gli strumenti con cui lavora si collocano posteriormente.
Con la tecnica di riparazione endoscopica della diastasi dei muscoli retti dell’addome (REPA), invece, si realizza la plicatura per via anteriore, esattamente come nell’addominoplastica tradizionale, ma senza la cicatrice dell’addominoplastica. Possiamo dire che la chirurgia endoscopica è, come la chirurgia laparoscopica, minimamente invasiva; ma gli spazi in cui ci simuove, e quindi i gesti tecnici che si possono realizzare, sono molto diversi.
Una alternativa alla chirurgia laparoscopica della diastasi dei retti addominali (che come abbiamo detto è una “non-chirurgia”, in quanto non ripara la diastasi stessa) è la chirurgia robotica. Con il robot è possibile accedere, in maniera meno sicura rispetto alla REPA, alla superficie posteriore dei muscoli retti dell’addome ed in tal modo suturarli prima di collocare la rete. Tuttavia, si tratta di una riparazione “insufficiente” per motivi anatomici: la fascia posteriore dei muscoli retti dell’addome, infatti, è incompleta, essendo assente nel terzo inferiore della parete addominale; una separazione dei muscoli a questo livello, quindi – peraltro presente nella grande maggioranza delle pazienti – non può essere riparata con il robot. Un altro svantaggio non secondario della chirurgia robotica è il suo alto costo. Ancora, nella chirurgia robotica le incisioni chirurgiche vengono realizzate sul fianco della paziente e non al di sopra del pube, divenendo quindi molto più evidenti. Infine, dal momento che con gli strumenti robotici si entra all’interno della cavità addominale, è sempre presente, anche se contenuto, il rischio di lesione degli organi intracavitari (intestino, stomaco, fegato ecc.), rischio assente nella chirurgia endoscopica.
L’uso della rete nella chirurgia endoscopica della diastasi dei muscoli retti è parte fondamentale e non rinunciabile della tecnica. Tutti i chirurghi che si occupano di chirurgia della parete addominale sanno che qualsiasi riparazione di un suo difetto, fosse anche una piccola ernia ombelicale, senza l’uso di una protesi ha buone probabilità di fallire: le percentuali di recidive aumentano fino a valori oggi non più accettabili, ed in effetti esistono in Letteratura lavori che riportano incidenze a due cifre di recidiva della diastasi dopo addominoplastica (i chirurghi plastici non amano l’uso delle reti). La rete ha una fondamentale funzione di “impalcatura”, e favorisce la formazione del tessuto fibroso che stabilizza la sutura della fascia dei retti. È proprio questo tessuto fibroso che rende solida la riparazione: la sola sutura, col tempo, sarebbe destinata ad essere riassorbita o a frammentarsi.
Riguardo le complicanze postoperatoriedella tecnica REPA, la principale consiste nella formazione di sieromi od ematomi, che può essere minimizzata lasciando in sede un drenaggio per alcuni giorni e con l’applicazione di compressione e ghiaccio sull’addome; e, quando si verifichi, nella maggioranza dei casi può essere facilmente risolta con tecniche conservative senza dover reintervenire. La percentuale di recidive, proprio grazie all’uso della rete, è molto minore rispetto all’addominoplastica tradizionale, attestandosi al di sotto del 4% (ahimè, lo 0% ed il 100% in Medicina non esistono).
L’intervento prevede in genere una notte di ricovero in ospedale. I pazienti dovranno portare da subito e per un mese una fascia addominale, e per lo stesso tempo dovranno evitare di fare sforzi od attività sportiva.
In seguito dovranno eseguire, sotto la guida di un fisioterapista specificamente formato, dei cicli di drenaggio linfatico della parete addominale e, soprattutto, di ginnastica ipopressiva, conclusi i quali potrà tornare alle sue normali attività sia quotidiane che sportive. La fisioterapia è parte centrale del mio approccio multidisciplinare al trattamento della diastasi dei retti dei muscoli retti – io spesso dico alle pazienti che alla chirurgia è dovuto solo il 50% del merito del successo del trattamento, perchè l’altro 50% si deve alla fisioterapia – ed è mirata a “reinsegnare” ai muscoli a contrarsi correttamente ed al paziente ad assumere la postura corretta, che l’alterazione dei vettori di contrazione muscolare di cui ho parlato all’inizio gli ha fatto, con il tempo, perdere. In molte pazienti, al momento dell’intervento, io constato che, soprattutto nella parte inferiore dell’addome, i muscoli hanno perso completamente la loro capacità di contrarsi: ciò dà conto della “prominenza” della parte inferiore dell’addome di cui prima si è detto, e che può essere risolta stabilmente solo con un adeguato recupero muscolare, e non con quelle pratiche chirurgiche di accorciamento dei muscoli obliqui di cui ho già detto.
Diastasi dei muscoli retti e REPA: il video
Dr. Salvatore Cuccomarino
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