Parlare di addominoplastica mininvasiva sembra un ossimoro, è una definizione che apparentemente si contraddice da sola. Ma come: l’addominoplastica non è quell’intervento che lascia una cicatrice enorme, doloroso, con un recupero lungo e complicato?
Naturalmente sì.
Ma noi oggi possiamo capovolgere completamente questo paradigma e parlare, compiutamente, di addominoplastica mininvasiva: ovvero di un intervento dedicato a pazienti che normalmente sarebbero candidate ad addominoplastica ma oggi possono essere trattate con solo tre piccole incisioni al di sobra del pube. Possiamo farlo perchè la tecnologia più avanzata ci viene incontro e grazie all’esperienza che abbiamo accumulato con la REPA, la chirurgia mininvasiva della diastasi dei retti, e la LESC, la lipoemulsione sottocutanea.
Le immagini parlano spesso più e meglio delle parole: ecco cosa noi intendiamo per addominoplastica mininvasiva:
Queste fotografie sono state scattate in sala operatoria, subito prima di iniziare l’intervento. Si tratta di una bella signora di 45 anni, che dopo due gravidanze si era ritrovata con questo addome. Oltre ad una diastasi di 7 cm, ed un’ernia ombelicale di 1 cm, la paziente presentava la situazione adipo-cutanea addominale gravemente compromessa, anche come texture della pelle, come ben visibile nelle fotografie preoperatorie.
La paziente è stata sottoposta a LESC e REPA nella stessa seduta operatoria, in un intervento durato due ore e 20 minuti.
Questa foto è stata scattata dalla paziente a 10 giorni dall’intervento. Abitando la paziente in un’altra regione, piuttosto lontano dalla mia sede, le avevo chiesto, dopo la rimozione del drenaggio, di mandarmi una fotografia dell’addome, per avere un’idea di come procedesse il postoperatorio. Già si cominciano ad intravedere i risultati dell’addominoplastica mininvasiva da noi realizzata, ed in particolare il notevole miglioramento a livello del pannicolo adipo-cutaneo dell’addome ed anche della texture cutanea. La paziente, all’epoca della foto, aveva da poco iniziato i massaggi linfodrenanti e non ancora la fisioterapia, pratiche che rientrano sempre nel postoperatorio delle nostre pazienti sottoposte a riparazione di diastasi dei retti. Le uniche ferite chirurgiche sono le tre piccole incisioni visibili a livello del pube.
Questo è il risultato a tre mesi dall’intervento di addominoplastica mininvasiva, risultato che possiamo considerare stabile. La trasformazione dell’addome è evidente, e probabilmente non merita di essere ulteriormente commentata; ma forse vale la pena di evidenziare i cambiamenti della texture cutanea (in particolare a livello della zona periombelicale) difficilissimi da ottenere con una addominplastica tradizionale.
La paziente ha ottenuto quello che voleva: affrontareuna stagione balneare senza doversi vergognare della sua pancia.
Il nostro obbiettivo era molto più ambizioso: intervenire profondamente a tutti i livelli del core addominale (muscolare, fasciale, adiposo, cutaneo) restituendo a tutti la propria funzionalità, oltre che l’aspetto estetico. Possiamo affermare di esserci riusciti, e bene.
Ah, anche questa è una foto fatta dalla paziente, e nessun filtro o “photoshoppatura” è stato usato per “addomesticarne” l’effetto finale. Siamo chirurghi seri.
Che conclusioni possiamo trarre sull’addominoplastica mininvasiva?
L’addominoplastica ha avuto un ruolo centrale, nei decenni passati, nel rimodellamento addominale; possiamo dire che l’ha fatta da padrone.
Negli ultimi dieci anni le cose sono profondamente cambiate. Da un lato l’introduzione di tecniche di chirurgia a minima invasività per il trattamento della diastasi dei retti (come la REPA, già oggi considerata in alcune linee guida – come quella della SociedadHispanoamericana de Hernia – il gold standard per questo tipo di patologia), dall’altro lo sviluppo della tecnologia di lipoemulsione ad ultrasuoni (la LESC) che tra i suoi “effetti collaterali” ha quello di promuovere la sintesi di fibre elastiche nell’epidermide (e quindi la sua capacità di rimodellarsi) hanno fatto sì che, in mani esperte, molte indicazioni alla classica addominoplastica venissero a cadere. Perchè la nostra paziente avrebbe dovuto affrontare un’incisione chirurgica di oltre 30 cm, con un postoperatorio pesante ed un recupero faticoso, se si possono ottenere questi risultati con tre piccole incisioni che, se messe in fila, misurerebbero meno di 3 cm?
Se desiderate altre informazioni non dovete fare altro che contattarmi con il seguente modulo o via WhatsAPP
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La diastasi dei retti, o diastasi addominale, rappresenta una vera patologia della parete addominale che influisce profondamente sia sulla sua funzione che sulla funzione dei muscoli della schiena e del pavimento pelvico.
Possiamo definirla anche una “patologia della maternità”, visto che si presenta in circa un terzo delle donne dopo il parto ed aumenta di frequenza nelle donne che hanno avuto più di una gravidanza od uno o più parti cesarei.
La prima, più evidente manifestazione della diastasi dei retti ha più un carattere estetico che patologico: l’addome tende a gonfiarsi, come se le pazienti fossero ancora incinta, e compare la tipica “pinna” o, meno frequentemente, una “spaccatura” (o “ab-crack”) della parete addominale.
La tipica “pinna” della diastasi dei retti
Ecco invece un esempio di “Ab-crack”.
Le altre manifestazioni della diastasi addominale sono ben più invalidanti, e compromettono gravemente la qualità della vita delle pazienti: lombalgia che non passa con l’assunzione di farmaci, comparsa di incontinenza urinaria da sforzo, difficoltà digestive, dolore addominale, instabilità del pavimento pelvico, fino, nei casi più gravi, alla comparsa di incontinenza fecale.
Anche gli uomini possono soffrire di diastasi dei retti, la quale si presenta in questi casi con la tipica “pinna”, gonfiore addominale e mal di schiena ed è più frequente nei pazienti in sovrappeso, con l’avanzare dell’età od in chi effettua attività fisico-sportive particolarmente intense.
L’unica soluzione definitiva per la diastasi addominale è la chirurgia: le tecniche fisioterapiche, infatti, possono contribuire a rinforzare il tono dei muscoli della parete addominale e sono di fondamentale importanza nel recupero postoperatorio, ma da sole non sono di alcuna utilità nella cura di questa patologia.
Prima dell’avvento della chirurgia mininvasiva, la tecnica chirurgica utilizzata per la cura della diastasi dei retti era l’addominoplastica; tuttavia, oggi l’addominoplastica deve essere riservata solo a casi selezionati – in particolare, ai pazienti in cui è necessario procedere all’asportazione di un grembiule adiposo o di pelle in eccesso – per diversi motivi:
– L’elevata percentuale di recidive: senza l’uso della rete, infatti, le recidive della diastasi possono raggiungere il 40%;
– Le complicanze postoperatorie: anche se non frequenti, la necrosi dell’ombelicoe del lembo cutaneo inferiore sono complicanze possibili e temibili.
Le tecniche chirurgiche laparo-edoscopiche hanno segnato una autentica rivoluzione nel trattamento della diastasi addominale dal momento che sono caratterizzate da una riparazione molto più stabile della parete grazie all’uso di ampie e leggerissime reti, un recupero molto più rapido, meno dolore postoperatorio e la ridottissima incidenza di complicanze, lasciando dei reliquati cicatriziali minimi.
Di queste tecniche la REPA (Riparazione Endoscopica Pre Aponeurotica) è la meno invasiva, la più efficace ed oggi la più usata al mondo per la riparazione della diastasi dei retti. Attraverso 3 piccoli incisioni subito sopra il pube e sotto la “linea del sole” i muscoli retti vengono riparati, ricollocandoli nella loro corretta posizione, e viene introdotta un’ampia rete ultraleggera che ricopre e rinforza tutta la parete dell’addome riducendo in maniera estremamente significativa (al di sotto del 2%) le recidive.
Il Dr. Salvatore Cuccomarino è stato il primo ad eseguire in Europa, nel 2017, la REPA, e detiene oggi, con oltre 250 pazienti operati, la più grande casistica mondiale di questa chirurgia, oltre ad aver contribuito con numerosi studi e pubblicazioni scientifiche al suo sviluppo.
Brillanti sono i risultati estetici della REPA: ecco alcuni esempi di quello che noi chiamiamo l’album delle meraviglie di questa straordinaria tecnica chirurgica. Sono fotografie fatte dalle stesse pazienti, niente Photoshop!
Le immagini ritraggono alcune pazienti che si sono fotografate prima e dopo l’intervento.
L’opinione dei pazienti è più importante della nostra: ecco cosa pensa di noi e della REPA chi ci ha conosciuto.
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La lipoemulsione sottocutanea(LESC) è una tecnologia innovativa ed affidabile che, tramite un’apparecchiatura ad ultrasuoni di ultima generazione con certificazione medicale, permette la rimozione dei pannicoli adiposi localizzati e della cellulite. Utilizza cannule smusse di 2 cm di diametro che vengono introdotte nel pannicolo adiposo ottenendo non solo lo scioglimento del grasso ma anche un effetto lifting della zona trattata.
Dopo aver praticato una piccola incisione di 2 mm vengono emessi ultrasuoni tramite la punta della cannula; il grasso, una volta emulsionato, viene aspirato tramite una micro-cannula.
A fine trattamento il foro di introduzione della cannula viene chiuso con dei cerottini, senza bisogno di punti di sutura; infine viene applicata una guaina compressiva per 7-10 giorni.
Numerosi sono i vantaggi della LESC rispetto alla liposuzione tradizionale: – grazie alla multifrequenza pulsata, il calore rilasciato permette alla pelle di aderire al nuovo volume riducendo la flaccidità – maggior precisione di trattamento con conseguente omogeneità tissutale – la particolare forma delle cannule evita il rischio di embolia gassosa
Gli interventi di lipoemulsione sottocutanea vengono effettuati in anestesia locale attraverso l’iniezione nel grasso sottocutaneo di un volume molto diluito di anestetico locale (lidocaina) e di vasocostrittore capillare (epinefrina) per amplificare l’effetto cavitazionale. Per migliorare il confort del paziente, ridurre stato d’ansia e dolore intra-procedurale l’anestesia locale può essere associata alla sedazione cosciente.
Le zone che possono essere trattate con la LESC sono: mento, braccia, fianchi, addome, glutei, ginocchia, caviglie, interno-esterno coscia. Noi però, come le nostre azienti sanno, siamo innamorati della multidisciplinarietà dei trattamenti, ed assoceremo la lipoemulsione sottocuanea, laddove lo riterremo necessario e le pazienti lo accettino, alla REPA nel trattamento della diastasi dei retti, quando vi siano da rimodellare delle zone di adiposità sottocutanea in maniera da dare un miglior risultato anche dal punto di vista cosmetico alle nostre paienti con diastasi addominale. La valutazione specifica per la LESC sarà realizzata in un momento successivo alla prima visita, e la lipoemulsione sottocutanea sarà effettuata prima dell’intervento per diastasi dei retti.
In questa maniera, il nostro gruppo si conferma leader in Italia nel rimodellamento minimemente invasivo dell’addome e nei trattamenti per il recupero funzionale della parete addominale per le pazienti con diastasi dei retti. Chirurgia dolce ed efficace, sempre!
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La REPA nasce come chirurgia funzionale, senza componente estetica; il suo obbiettivo primario è quello di curare i problemi di salute legati alla diastasi dei retti – lombalgia, incontinenza urinaria, gonfiore addominale, reflusso, stitichezza, dolori addominali eccetera.
Diranno i chirurghi plastici: per i risultati estetici c’è l’addominoplastica!
E invece no, amiche mie. Quando la selezione del paziente è corretta, i risultati “cosmetici” della REPA sono inarrivabili anche per la chirurgia estetica.
Come chi è venuto a visita da me ben sa, io molto raramente faccio fotografie ai pazienti: sono un chirurgo generale che si occupa di chirurgia della parete addominale, non sono ancora riuscito a farmi entrare in mente di fare fotografie della parete addominale come tipicamente fanno i chirurghi plastici. E poi – ripetiamolo – io lo dico sempre alle pazienti: la mia è una chirurgia funzionale, non estetica.
Tuttavia sono le stesse pazienti che si fotografano, e le loro fotografie sono molto più naturali e veritiere, non sottoposte a passaggi in Photoshop, di quelle fatte (e poi mostrate) dai chirurghi plastici.
Le foto che seguono mi sono state inviate da una paziente che ho operato 5 mesi fa circa., insieme col suo commento: “Direi ottimo risultato… Bravo!!!”
Spesso il tono di questi complimenti è più meravigliato che compiaciuto: non poche pazienti vengono da me solo perchè non sopportano più i fastidi causati dalla diastasi, e quindi osservare i risultati estetici dopo l’intervento è motivo di stupore anche per loro.
Niente può rendermi più felice di una paziente felice, e soprattutto niente può rendermi più felice della consapevolezza di aver offerto alle mie pazienti la migliore scelta terapeutica oggi disponibile per il trattamento minimamente invasivo della diastasi dei retti: la REPA, che, adesso possiamo dircelo tra noi, non è soltanto curativa ma ha anche una componente estetica straordinaria. E tra tutti gli interventi mininvasivi oggi proposti nel nostro Paese (alcuni anche pirateschi, ma questo sarà argomento di un prossimo articolo) è quello più validato dalla comunità chirurgica internazionale, più realizzato al mondo, con più pubblicazioni scientifiche su riviste chirurgiche ad alto impact factor (ed io sono orgoglioso di essere il chirurgo che più ne ha fatte al mondo).
Quello che è importante sottolineare, adesso è che l’addominoplastica per la riparazione della diastasi dei retti non ha più nessuna indicazione nè giustificazione nelle pazienti che non abbiano um grembiule adiposo da asportare. Se non v’è pelle in eccesso da rimuovere, che senso ha sottoporre una paziente ad un intervento così invasivo, doloroso, gravato di complicanze e soprattutto dai risultati incerti, visto che la letteratura medica riporta fino ad un 40% di recidive? Con la REPA le recidive sono meno del 3%.
Però ancora molte donne sono sottoposte ad addominoplastica senza che ne abbiano la necessità. Ciò accade perchè, ancora troppo spesso, il primo chirurgo che visita una diastasi – spesso su indicazione (sbagliata) di un ginecologo, di un Medico di famiglia o di amici poco informati – è il chirurgo plastico, e i chirurghi plastici non fanno chirurgia endoscopica, non utilizzano le reti per prevenire la recidiva, non fa parte del loro bagaglio formativo. Guardate la foto sotto: la paziente A sicuramente ha bisogno di un’addominoplastica – che è quanto io propongo a pazienti così, garantendo anche l’uso della rete per ridurre le recidive, come nella REPA; ma pensate davvero che lapaziente Bdovrebbe essere sottoposta ad un intervento così invasivo? Io sono certo che no.
Concludendo la REPA è una chirurgia funzionale che se ben indicata ha una componente estetica difficilmente battibile da altri tipi di intervento, specie dall’addominoplastica. E quindi la conseguenza naturale è che, per le sue conoscenze, per la sua formazione e la sua esperienza, e non ultimo per i risultati della REPA in termini di recidive, il chirurgo generale deve essere consultato da una paziente con diastasi dei retti. Ad ognuno il suo, no?
A due anni da quando ho introdotto la REPA in Italia, è giunto il momento di valutare cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale in termini di qualità della vita. Tipicamente, le pazienti che arrivano nel mio studio soffrono di lombalgia, incontinenza urinaria da stress, stipsi, sensazione di prolasso addominale; in circa il 95% dei casi hanno un’ernia ombelicale, talvolta anche altre ernie della linea alba, e comunque una qualità della vita pessima nonostante la loro giovane età. Spesso hanno letto molto sulla loro malattia, ma sono molto confuse: una delle loro preoccupazioni, quasi sempre inespressa, può riassumersi in una sola domanda: cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale? Se deciderò di compiere questo passo, non facile, e con tutte le difficoltà anche economiche che comporta, la mia qualità di vita ne migliorerà?
Questa è la prima domanda a cui io devo rispondere quando ho davanti una di loro. Ne vale la pena?
Oggi esistono vari test che sono in grado di quantificare i cambiamenti in termini di qualità di vita di un intervento chirurgico. Uno di questi è il CeQOL (Carolinas equation for Quality Of Life), lanciato nel 2012 ed in origine dedicato ai pazienti sottoposti ad intervento per ernia inguinale. Le domande che questo test prevede, tuttavia, si adattano bene ad ogni tipo di difetto della parete addominale. Per capire cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale nei pazienti sottoposti a REPA, abbiamo stilato un questionario basato sul CeQOL e l’abbiamo inviato a 120 pazienti, tutti di sesso femminile e con un follow-up variabile da 6 mesi a 2 anni. Ecco i risultati.
1. EPIDEMIOLOGIA
Chi sono le pazienti che si sottopongono alla REPA, l’ormai conosciutissimo intervento chirurgico endoscopico minimamente invasivo per la riparazione della diastasi dei retti?
Tipicamente, si tratta di giovani donne (l’età media è 42 anni), che hanno partorito in media due volte, essendo state sottoposte nella maggioranza dei casi a parto cesareo. In genere sono pazienti in ottime condizioni di salute, magre (il peso medio è di circa 55 kg, il BMI medio è di poco superiore a 21), sportive, con un’intensa vita sociale e familiare. La diastasi, di cui si sono accorte generalmente (ma non necessariamente) dopo il secondo parto, ha devastato la qualità della loro vita familiare e sociale; non si riconoscono più nel loro corpo, a volte ne hanno vergogna; in più del 70% dei casi soffrono di lombalgia, che hanno cercato di curare in tutti i modi senza risultato; in quasi il 38% dei casi di incontinenza urinaria da stress (ma anche a riposo), sintomo estremamente debilitante per loro, anche in rapporto alla giovane età. I disturbi digestivi, in cui predomina la stitichezza (non presente prima della gravidanza) sono presenti nel 53% dei casi. La dimensione media della diastasi, al momento della visita, è di 5 cm di larghezza; il 95,7% è portatrice di un’ernia ombelicale (di cui spesso, prima della visita, ignorava la presenza).
Capite bene quanto sia impegnativo, e debba essere affrontato con serietà, il compito di rispondere alla domanda che in fondo le ha portate da me: cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale?Avrò la possibilità di riprendere in mano la mia vita? Perchè di questo si tratta.
2. METODOLOGIA DELL’INDAGINE.
Abbiamo inviato una mail a 120 pazienti sottoposte a REPA e con un follow-up medio variabile tra 6 e 26 mesi. Di esse, hanno risposto in 83. La domanda chiave che abbiamo posto per valutare cosa cambia dopo l’intervento per diastasi addominale è stata: fatta uguale a 5 l’intensità di un sintomo x presente prima dell’intervento, come è cambiata (se è cambiata) dopo l’intervento?
I sintomi presi in considerazione sono stati:
Lombalgia
Incontinenza urinaria
Meteorismo
Stipsi
Sensazione di prolasso addominale
Difetti posturali (l’iperlordosi delle pazienti è frequentissima, e spesso esse tendono ad acquisire una postura inclinata verso avanti)
Sensazione di movimenti addominali (come i calcetti di un feto durante la gravidanza)
Ecco i risultati:
a) LOMBALGIA: il valore medio riportato dalle pazienti è stato 1
b) INCONTINENZA URINARIA: anche in questo caso è stato 1
c) METEORISMO (gonfiore addominale): 1
d) STITICHEZZA: 1
e) SENSAZIONE DI PROLASSO ADDOMINALE: 0
f) DIFETTI POSTURALI: 1
g) SENSAZIONE DI MOVIMENTI ADDOMINALI: 0
Abbiamo poi posto una domanda difficile e pericolosa, trattandosi di una valutazione setremamente soggettiva e sottoposta a mille variabili: DA 1 A 5, QUANTO LA SODDISFA IL RISULTATO “COSMETICO” DELL’INTERVENTO? La risposta media è stata 4.
Sono state poste anche molte altre domande, derivate direttamente dal CeQOL, sull’effetto dell’intervento nei normali atti della vita quotidiana (alzarsi dal letto, salire le scale, tossire, praticare sport…); i dati sono stati raccolti in un articolo in pubblicazione su una prestigiosa rivista scientifica, e quindi non possono essere al momento diffusi; posso però dire che sono estremamente soddisfacenti, e che sarà mia cura condividere l’articolo non appena verrà dato alle stampe.
CONCLUSIONI: COSA CAMBIA DOPO L’INTERVENTO PER DIASTASI ADDONINALE NELLA “QUALITY OF LIFE” DELLE PAZIENTI OPERATE?
Cambia molto, eccome. Sintomi presenti prima dell’intervento e considerati debilitanti dalle pazienti si riducono in maniera estremamente significativa o scompaiono del tutto dopo la chirurgia. Le pazienti si riappropriano della propria vita, e, con essa, della propria felicità: e tutto ciò con un intervento, la REPA, la cui minima invasività è certificata dal fatto che solo nel 4,3% dei casi le pazienti hanno dovuto assumere antidolorifici per più di una settimana (il tempo medio di mantenimento del drenaggio).
Che altro aggiungere? Non posso che dichiararmi estremamente soddisfatto del lavoro effettuato da me e dalla mia équipe fino ad oggi. Ma questo non può che essere carburante per la sfida successiva: diffondere il più possibile la tecnica, diffonderne i risultati, perchè sempre più pazienti possano esserne beneficiati.
In questo ho bisogno anche dell’aiuto di chi legge: aiutatemi, condividete il più possibile questi dati, condividete i miei articoli: chi è affetto da diastasi dei retti non potrà, in futuro, che ringraziarvi.
La diastasi addominale – o diastasi dei retti – è una patologia ancora poco conosciuta in Italia. In questo articolo troverete tutte le spiegazioni su cosa sia la diastasi dei retti, chi ne soffre, a quali altre malattie si associa e su che principi si basi la REPA, il nostro ormai conosciutissimo intervento endoscopico per il trattamento minimamente invasivo della diastasi addominale.
Nell’intervento classico per la riparazione della diastasi addominale, l’addominoplastica realizzata dai chirurghi plastici, la rete non viene quasi mai usata. Nella REPA, invece, il posizionamento di una rete è uno dei passi cruciali dell’intervento: questo ha consentito di ridurre le recidive della diastasi (riportate, in alcune casistiche di addominoplastica, al di sopra del 20%) a meno dell’1% per la REPA.
Pancia gonfia dopo l’intervento per diastasi addominale
Purtroppo, vi sono dei casi in cui, dopo l’intervento per diastasi dei retti, la pancia rimane gonfia. Perchè? Si è trattato di un errore del chirurgo? No: questo articolo ne spiega i motivi e le possibili soluzioni.
Il mal di schiena è uno dei più frequenti ed invalidanti sintomi della diastasi dei retti. Volete sapere perchè chi ha la diastasi addominale ha, spessissimo, mal di schiena? Leggete questo articolo.
Un’altra, grave condizione spesso associata alla diastasi dei retti è l’incontinenza urinaria. Ma perchè le donne (è un problema esclusivamente fenninile) con diastasi addominale ne soffrono? La spiegazione è nell’articolo che segue.
Come sanno bene le mie pazienti sottoposte a REPA, nel mio programma di trattamento della
diastasi dei retti la fisioterapia postoperatoria gioca un ruolo fondamentale (il 50% del successo, dico spesso a chi viene in studio). Insieme con la d.ssa Federica Crivellaro abbiamo sviluppato, PRIMI IN ITALIA ED EUROPA, un protocollo fisioterapico postoperatorio basato sulla ginnastica ipopressiva per ridare ai muscoli addominali il tono e la contrattilità adeguati.
Una delle tecniche chirurgiche mininvasive oggi più propagandate per il trattamento della diastasi dei retti è quella robotica. Nell’articolo che segue spiego perchè si tratti di una procedura non così minimamente invasiva ed adeguata per la chirurgia della diastasi addominale.
L’approccio robotico non è l’unica tecnica minimamente invasiva oggi indicata per la chirurgia della diastasi di retti: molte altre sono state proposte, quasi tutte basate sulla tecnica di Rives. Ma di che si tratta? Sono davvero tecniche mininvasive? E sono davvero efficaci?
Abbiamo finora parlato di tecniche chirurgiche e sintomi associati alla diastasi addominale: ma quali sono i risultati della REPA? Ce lo racconta uno studio multicentrico che, insieme con altri dieci Centri chirurgici sparsi per il mondo, abbiamo pubblicato nell’aprile 2019.
Il trattamento chirurgico della diastasi addominale è sempre stato patrimonio dei Chirurghi
plastici, che hanno visto come un intervento “a gamba tesa” l’arrivo del Dr. Cuccomarino, un Chirurgo generale specialista in chirurgia della parete addominale, e della sua REPA. In questo articolo spiego perchè, invece, la diastasi dei retti sia proprio pane per il Chirurgo generale, ancor più che per il Chirurgo plastico.
Per noi Chirurghi che in giro per il mondo realizziamo la REPA è molto chiaro il principio che il riavvicinamento dei muscoli retti allalinea media dell’addome deve avvenire con una sutura che non sia sotto tensione, pena l’aumento del rischio di recidiva della diastasi addominale. Ma se la diastasi dei retti è molto ampia è davvero difficile suturare i muscoli senza tensione. Per questo motivo, sulla scorta delle esperienze nella chirurgia dei grandi laparoceli, abbiamo introdotto, con risultati eccellenti, l’uso della tossina botulinica A preoperatoria nei pazienti con diastasi addominale.
REPA e qualità di vita: cosa cambia dopo l’intervento?
Le pazienti che giungono al mio studio, spesso dopo essere passate da altri due o tre Chirurghi ed aver ascoltato le più varie opinioni sulla diastasi e sulle maniere di operarla, sono, anche se informate, spesso molto confuse. Sanno solo una cosa: che la qualità della loro vita è gravemente compromessa dalla diastasi; lombalgia, meteorismo, incontinenza urinaria, il perdere il proprio aspetto normale sono tutte cose che hanno compromesso gravemente la loro esistenza. Per cui la prima domandda a cui sono chiamato a rispondere è: Dottore, cosa cambia dopo l’intervento? Vediamo cosa ne pensano le pazienti già operate: ecco i dati di una survey condotta su pazienti con follow-up postoperatorio da 6 a 26 mesi.
REPA: lo studio multicentrico pubblicato sulla Revista Hispanoamericana de Hernia
Volete sapere quanto sia efficace la REPA? Lo studio multicentrico che sara’ pubblicato sul numero di aprile della Revista Hispanoamericana de Hernia puo’ soddisfare la vostra curiosita’. In anteprima assoluta, potrete leggerlo qui; e’ in spagnolo, ed io riassumero’ per voi i risultati.
Ma, prima d tutto, cosa e’ uno studio multicentrico? Si chiamano studi multicentrici le ricerche condotte in piu’ centri contemporaneamente e seguando un piano organizzativo comune a tutti. Per la REPA, lo studio multicentrico ha visto coinvolti 10 centri tra Europa (tra cui il mio, che ha contribuito con una cinquantina di pazienti, avendo io la seconda piu’ numerosa casistica al mondo di REPA dopo l’inventore della tecnica…) ed America Latina. Ed ecco i risultati:
215 pazienti Eta’media: 40.7 ± 8.6 anni (24-74) Donne: 94% BMI (Body Mass Index, Indice di Massa Corporea): 27.4 ± 8.6( (21-39) Gravidanze2.3 (0-9) Dimensione della diastasi: > 2,5 cm Ernie associate: < 4 cm Incontinenza urinaria da sforzo: 32.3% Lombalgia: 50% Diametro della diastasi: < 59 mm = 81%; 60 – 79 mm = 13% ; > 80 mm 6% Tipi di ernia associata: ombelicale (70%), epigastrica (6.5%), ombelicale + epigastrica (9%), laparoceli (8%) Reti usate (polipropilene): leggera (o ultraleggera) = 82.4%; peso intermedio = 14.9%; pesante = 2.7% Temo chirurgico medio: 98 ± 40 min (48 – 255) Sieromi: 9.7% Ematomi: 1.4% Ricovero ospedaliero: 19 ± 8 ore (8-48) VAS alla dimissione: 5 Lombalgia: scompare nell’80% dei casi dopo 7-30 giorni Incontinenza urinaria da sforzo = scompare: 62 (89.8%), migliora significativamente = 3 (4.34%) Follow-up: 24 – 48 mesi
Vorrei focalizzare l’attenzione su alcuni risultati, davvero eccezionali: il basso numero di complicanze postoperatorie (sieromi in meno del 10% dei casi, ematomi in poco piu’ dell’1,4%, nessun’altra complicanza segnalata), il brevissimo ricovero ospedaliero – meno di 24 ore! Questo perche’ in molti Paesi fuori dall’Italia e’ possibile dimettere i pazienti operati in laparoscopia / endoscopia lo stesso giorno dell’intervento.
La VAS (Visual Analogic Score): e’ una delle metodiche che si utilizza in ambiente ospedaliero per valutare il dolore. Si chiede al paziente di quantificare il dolore che prova in una scala da 1 a 10 (o da 10 a 100, in alcuni Paesi). Nel nostro studio e’ stata 5.
Si e’ osservata una sola recidiva (0.46%).
Ma i risultati davvero significativi sono sul controllo dei sintomi associati alla diastasi: la lombalgia scompare nell’80% dei casi entro un mese dall’intervento, mentre l’incontinenza urinaria da sforzo scompare nell’89,8% dei casi e migliora significativamente nel 4,34%.
Quindi, per quanto riguarda la REPA, lo studio multicentrico su un campione molto ampio di pazienti, pubblicato su una rivista di rilevanza internazionale, dimostra che essa e’ oggi l’unica metodica mininvasiva per il trattamento della diastasi dei retti validata secondo le regole della comunita’ scientifica internazionale. Per questo, come sempre, invito tutti i pazienti a diffidare di chi vende fumo (spesso anche a caro prezzo): in Medicina, come in tutte le Scienze, sono i numeri che contano, e questi numeri dimostrano chiaramente la netta superiorita’ della REPA su qualsiasi altra metodica di trattamento minimamente invasivo della diastasi dei retti dell’addome e delle ernie ad esse associate.
https://i0.wp.com/diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2019/03/repa-lo-studio-multicentrico.jpg?fit=883%2C887&ssl=1887883Salvatore Cuccomarinohttps://diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2021/05/logo-300x155.pngSalvatore Cuccomarino2019-03-24 12:58:312021-11-25 22:04:18REPA: lo studio multicentrico dimostra la sua efficacia
L’associazione tra incontinenza urinaria e diastasi dei retti sarebbe stata impensabile fino a solo quindici anni fa: i fisioterapisti non avrebbero mai tenuto in considerazione i muscoli del pavimento pelvico nei loro trattamenti per il dolore lombare, ed avrebbero scoraggiato l’uso dei muscoli addominali nei pazienti con incontinenza urinaria. Oggi il paradigma è completamente cambiato – e questo, dobbiamo riconoscerlo, anche grazie al fatto che i Chirurghi Generali hanno cominciato a interessarsi di diastasi dei retti: i muscoli del pavimento pelvico sono considerati parte del complesso muscolare addominale, ed a loro è riconosciuta una duplice funzione: quella di contribuire da un lato a mantenere la stabilità del tronco, e dall’altro la continenza tanto urinaria che fecale.
E’ noto che la semplice riabilitazione del pavimento pelvico (ad esempio con gli esercizi di Kegel) non e’ sufficiente ad evitare a lungo termine l’incontinenza urinaria nelle donne dopo un parto vaginale; di contro, già nel 1984 Gordon e coll. avevano evidenziato che, aspecificamente, l’attività fisica può evitare la comparsa di incontinenza, mettendo pertanto in evidenza il ruolo di muscoli diversi da quelli del pavimento pelvico nel controllo della continenza.
Anatomia del pavimento pelvico
Come sempre, per capire le relazioni tra incontinenza urinaria e diastasi dei retti è indispensabile conoscere, almeno per grandi linee, l’anatomia, peraltro piuttosto complessa, del pavimento pelvico.
Il pavimento pelvico è una struttura imbutiforme costituita da muscoli che si inseriscono nella porzione inferiore delle pareti della pelvi, separando la cavità pelvica dal perineo. In esso vi sono due “fori” principali: lo iato urogenitale, anteriore, attraverso cui passano l’uretra e, nelle donne, la vagina; e, dietro di questo, lo iato rettale, attraversato dal canale anale. Tra i due iati è presente una struttura fibromuscolare particolarmente densa, chiamata corpo perineale, che funziona da zona di inserzione di vari muscoli, tra cui il muscolo elevatore dell’ano. Quest’ultimo è uno dei due muscoli che costituiscono il pavimento pelvico. In effetti, è più corretto dire che si tratta di un complesso costituito, su ogni lato, da tre muscoli: il primo è il muscolo puborettale, la cui funzione è quella di piegare in avanti il canale anale; alcune sue fibre, molto importanti, chiamate fibre prerettali, formano una specie di fionda che si affianca all’uretra nell’uomo ed all’uretra e alla vagina nella donna: queste fibre sono di importanza fondamentale nel preservare la continenza urinaria, specie sotto sforzo. Il secondo muscolo del pavimento pelvico è il pubococcigeo, che, nascendo dal pube, decorre affiancato al muscolo puborettale e si inserisce posteriormente sul coccige e sul legamento ano-coccigeo. Il terzo muscolo, più sottile, è l’iliococcigeo, che nasce dall’ileo (uno delle ossa che compongono il bacino), decorre affiancato al muscolo pubococcigeo e si inserisce sul coccige e sul legamento anococcigeo. Dei tre muscoli, l’iliococcigeo è il vero “elevatore” dell’ano: contraendosi solleva il pavimento pelvico ed il canale anale. Il muscolo coccigeo è il muscolo più piccolo e posteriore del pavimento pelvico, essendo situato dietro dell’elevatore dell’ano.
Pur avendo “anatomizzato” il pavimento pelvico, descrivendolo muscolo per muscolo, in realtà esso è piuttosto da considerare come un’unica unità funzionale muscoloscheletrica composta da muscoli e legamenti. La prima cosa da dire rispetto alla sua funzione riguarda il ruolo della familiarità nello sviluppo di una insufficienza del pavimento pelvico: ossia, per dirla in parole semplici, le donne con una madre che abbia sofferto di prolasso degli organi pelvici, hanno una probabilità statisticamente maggiore di svilupparlo a propria volta. Perché? Ci sono molti fattori identificati in letteratura, ed uno di questi è un errore nella sintesi di collagene di tipo III – esattamente come nella diastasi dei retti. E qui potremmo cominciare ad identificare un primo elemento di rapporto, a livello molecolare, tra incontinenza urinaria e diastasi dei retti. Ma andiamo avanti.
Incontinenza urinaria e diastasi dei retti: cosa sappiamo
Il ruolo del pavimento pelvico è quello di mantenere la continenza urinaria e fecale e sostenere gli organi addominali, che, per gravità, tendono a prolassare. Quindi, i muscoli del pavimento pelvico devono reagire rapidamente a qualsiasi variazione della pressione intraaddominale (che tende tanto a spingere verso il basso gli organi che a “spremere” sia la vescica che l’intestino, favorendo l’eliminazione dell’urina e delle feci), anzi: devono essere in grado di reagire primache la pressione intraaddominale vari. In effetti, i muscoli del pavimento pelvico costituiscono una fondamentale unità muscolare antigravitazionale dell’organismo: la loro continua attività in tal senso è stata ben dimostrata già da tempo. E’ noto, a proposito dei rapporti che intercorrono tra contrazione dei muscoli addominali e muscoli del pavimento pelvico, come la contrazione di quest’ultimo provochi una contrazione dei muscoli obliqui (soprattutto l’obliquo interno) e del muscolo trasverso dell’addome; e, in maniera del tutto speculare, che una contrazione degli stessi muscoli addominali causi una contrazione del pavimento pelvico.
E da qui nasce il pradigma secondo cui i muscoli del pavimento pelvico costituiscono parte del sistema muscolare che controlla la stabilità del tronco; è noto che alterazioni a carico di altri muscoli di tale sistema (come, ad esempio, i muscoli della parete addominale) possano influenzare il tono dei muscoli del pavimento pelvico: una riduzione di quest’ultimo, ad esempio, si ritrova nelle donne con lombalgia cronica, come conseguenza della ridotta attività del muscolo trasverso dell’addome in queste pazienti. H. M. Bush e Coll. a conclusione di un loro dettagliato studio sul rapporto tra lombalgia cronica ed incontinenza urinaria, scrivono che “…esiste una significativa associazione tra lombalgia cronica ed incontinenza urinaria da stress. E’ ragionevole concludere che è importante che tutti i muscoli del tronco, inclusi i muscoli del pavimento pelvico, agiscano in maniera coordinata sia per garantire il controllo della postura che per prevenire la comparsa di lombalgia ed incontinenza urinaria da stress”. Ad ulteriore conferma di ciò Sapsford e Coll., nel 2001, hanno dimostrato che una debolezza dei muscoli della parete addominale, causa di quel “bulging” addominale (ossia, di quel rigonfiamento dell’addome) – che si osserva sempre anche nelle pazienti con diastasi dei retti – provoca una riduzione dell’attività dei muscoli del pavimento pelvico e la comparsa di disfunzioni di quest’ultimo, che possono dare origine ad incontinenza urinaria (e, meno frequentemente, anche fecale). Questi Autori concludono che l’esercizio muscolare addominale contribuisce a curare tali condizioni. In effetti, una riduzione del tono dei muscoli della parete addominale, ed in particolare del muscolo trasverso dell’addome, si riflette quasi sempre in una riduzione del tono dei muscoli del pavimento pelvico, con la comparsa di sensazione di pesantezza vaginale e di urgenza ed incontinenza urinaria. Sempre Sapsford e Coll, nel 2012, hanno osservato come la contrazione dei muscoli della parete addominale (in particolare dei muscoli più profondi, l’obliquo esterno ed il trasverso) si associ ad un aumento della pressione dell’uretra, contribuendo al meccanismo della continenza urinaria.
Tirando le somme, cosa possiamo dire a questo punto del rapporto tra incontinenza urinaria e diastasi dei retti? Come è noto, con i meccanismi abbiamo già evidenziato in un precedente articolo, nelle pazienti con diastasi dei retti il tono dei muscoli della parete anterolaterale dell’addome, ed in particolare dei muscoli obliqui e del trasverso, è notevolmente ridotto. Poche righe fa abbiamo scritto che l’esercizio muscolare addominale può essere utile a far recuperare il tono perduto, ma ci riferivamo a pazienti sani, senza evidenza di diastasi: è esperienza comune di moltissime pazienti “diastasate” che con i comuni esercizi muscolari addominali la diastasi dei retti, ed i suoi sintomi, peggiorano – e quindi, in una sorta di circolo vizioso, peggiora anche il tono dei muscoli addominali. L’unico tipo di attività fisica che può aiutare a recuperare in parte il tono muscolare addominale è la ginnastica ipopressiva: tuttavia, tale recupero è parziale, se la diastasi non viene riparata chirurgicamente.
Ecco spiegato, in conclusione, il rapporto tra incontinenza urinaria e diastasi dei retti: dal momento che i muscoli dell’addome e del pavimento pelvico costituiscono una unità funzionale che controlla la postura, la respirazione ed i meccanismi di minzione e defecazione, la perdita del tono e del controllo dei muscoli della parete addominale, ed in particolare dell’obliquo esterno e del trasverso, dovuta alla diastasi provoca una riduzione del tono dei muscoli del pavimento pelvico: questo si traduce in una riduzione della pressione uretrale, con sensazione di urgenza urinaria e comparsa di incontinenza urinaria da stress. Per questo, l’incontinenza urinaria è così frequente nei pazienti con diastasi dei retti, e per questo la riparazione della diastasi, associata alla ginnastica ipopressiva come fisioterapia sia pre- che postoperatoria, è parte integrante del trattamento dell’incontinenza urinaria in tali pazienti.
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[schema type=”person” name=”Salvatore Cuccomarino” orgname=”Cuccomarino, MD” url=”https://diastasideiretti.it” description=”Il primo in Europa a realizzare la REPA, l’intervento minimamente invasivo per la diastasi dei retti” street=”via Amerigo Vespucci 61″ city=”Torino” state=”TO” country=”IT” email=”info@cuccomarinomd.com” phone=”0110438161″ ]
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Il mal di schiena è il più frequente ed invalidante disturbo che mi viene riferito dai pazienti durante una visita per diastasi dei retti.
Il racconto “normale” di queste pazienti (che, lo ricordo, nella gran parte sono giovani, molto sportive ed assolutamente “sane” prima delle gravidanze) è che, da dopo il parto, hanno cominciato a soffrire di mal di schiena, il quale è andato peggiorando col tempo fino a diventare, in alcuni casi, lancinante (una paziente mi raccontava che può apparire in qualsiasi ora del giorno e che spesso, in ufficio, deve sdraiarsi in terra e restare immobile per diversi minuti per farlo passare); che si sono già sottoposte a visite ortopediche e fisiatriche, e che il responso è sempre stato lo stesso: “nessun problema legato alla colonna vertebrale, dovrebbe invece curare la diastasi”.
Ma perchè un’alterazione nella geometria muscolare e nei vettori di contrazione della parete addominale dovrebbe causare il mal di schiena?
Il “perno fisiopatologico” della lombalgia nella diastasi dei retti è la fascia toracolombare.
Dal punto di vista puramente anatomico, la descrizione della fascia toracolombare è piuttosto complessa, ma possiamo riassumerla come segue.
La fascia toracolombare ricopre i muscoli più profondi della regione del dorsale del tronco, fissandosi medialmente sulle apofisi spinose delle vertebre. Nella regione lombare, che è quella di nostro interesse, la fascia toracolombare risulta costituita da tre lamine: posteriore, media e anteriore.
– La lamina posteriore è piuttosto spessa e si fissa ai processi spinosi delle vertebre lombari e sacrali ed al legamento sopraspinoso; da queste inserzioni si dirige lateralmente per ricoprire i muscoli erettori della colonna vertebrale;
– La lamina media si inserisce medialmente ai processi trasversi delle vertebre lombari, alla cresta iliaca ed al margine inferiore dell’ultima costa;
– La lamina anteriore ricopre la superficie anteriore del muscolo quadrato dei lombi, fissandosi medialmente ai processi trasversi delle vertebre lombari.
Le lamine posteriore e media si fondono tra loro sul bordo laterale dei muscoli erettori della colonna; a livello del bordo laterale del muscolo quadrato dei lombi, ad esse si unisce la lamina posteriore, e da tale fusione origina la aponeurosi posteriore del muscolo trasverso dell’addome.
Questa fredda descrizione anatomica risulterà più “digeribile” se si visualizza la fascia toracolombare nell’illustrazione qui a lato, tratta dalla superba “Anatomia del Gray”.
In pratica, nella parte immediatamente adiacente alla colonna vertebrale, la fascia toracolombare si divide in tre foglietti, che racchiudono due importanti muscoli (il quadrato dei lombi, facente parte della parete posteriore dell’addome; e l’erettore della colonna vertebrale, in realtà costituito da più gruppi di muscoli ma considerabile, ai fini pratici, come una unica unità funzionale, che è estremamente importante perchè la sua contrazione modifica le curve di lordosi e cifosi della colonna vertebrale). Questi tre foglietti si fondono lateralmente per andare a costituire una struttura fibrosa, rigida, su cui si inseriscono posteriormente i muscoli trasverso ed obliquo interno dell’addome. Ciò significa che la contrazione dei muscoli obliquo interno e trasverso dell’addome eserciterà una tensione sulla fascia toracolombare.
Una delle conseguenze immediate della diastasi dei retti è che i muscoli laterali della parete addominale (obliquo esterno ed interno e trasverso) perdono la capacità di contrarsi efficacemente. Tale incapacità si riflette in una riduzione della pressione all’interno dell’addome ed in una ridotta trazione della fascia toracolombare. Questo, con il passare del tempo, provoca un accorciamento del muscolo erettore della colonna vertebrale, e quindi un aumento della pressione sui dischi intervertebrali, causando la comparsa di mal di schiena.
Quindi, un adeguato mantenimento del tono muscolare della parete anterolaterale dell’addome contrasta la contrazione del muscolo erettore della colonna vertebrale, riducendo la pressione sui dischi intervertebali, causa della lombalgia cronica ed intrattabile dei pazienti con diastasi dei retti. In questo gioca un ruolo importante anche la pressione intraaddominale. Nei pazienti con diastasi dei retti, la pressione intraaddominale, a causa dell’inefficiente contrazione dei muscoli della parete anterolaterale dell’addome, è ridotta. La ricostruzione della linea alba attraverso la plicatura dei retti, che è alla base di ogni intervento di riparazione della diastasi addominale, ristabilisce i corretti vettori necessari ad una contrazione efficace dei muscoli della parete addominale – quindi ad un’adeguata tensione della fascia toracolombare e ad un altrettanto adeguato aumento della pressione intraaddominale.
Questo è stato recentemente dimostrato da un elegante studio di Metin Temel dell’Università di Hatai in Turchia. Nel suo lavoro, Temel ha dimostrato che la plicatura dei retti è in grado di ridurre in maniera significativa gli angoli della cifosi toracica e della lordosi lombare, e l’angolo lombosacrale, di pazienti con diastasi dei retti associata a lombalgia cronica. La riduzione di tali angoli, dimostrata con metodiche radiografiche, si è associata nel postoperatorio ad una spettacolare riduzione del mal di schiena in questi pazienti. Nella tabella seguente, tratta dal citato lavoro di Temel, sono rappresentati graficamente i valori della VAS riferita al mal di schiena pre- e postoperatorio: è evidente la netta riduzione del dolore dopo l’intervento di plicatura dei muscoli retti.
Tuttavia, la “semplice” ricostruzione chirurgica dei vettori muscolari della parete addominale non è da sola sufficiente a garantire nè la tensione della fascia toracolombare nè l’aumento della pressione intraaddominale. La nostra esperienza intraoperatoria dimostra che, nella maggioranza dei pazienti, l’elettrostimolazione diretta dei muscoli retti, che noi usiamo per “marcare” il perimetro della diastasi, molto spesso non evoca nessuna contrazione muscolare, nè prima, nè dopo la plicatura: è come se i muscoli avessero dimenticato come fare per contrarsi. Ciò si verifica anche se ad essere elettrostimolati sono i muscoli laterali dell’addome. È come se il sistema nervoso centrale non ricevesse più da questi muscoli i cosiddetti segnali propiocettivi , e quindi non riuscisse ad inviare gli impulsi necessari alla loro contrazione. Se quindi il nostro lavoro si limitasse all’intervento chirurgico, il risultato che ne otterremmo sarebbe insoddisfacente: non migliorerebbe il gonfiore addominale, la pressione intraaddominale non aumenterebbe, non si ridurrebbe il carico sui dischi intervertebrali, nè si realizzerebbero tutte quelle modifiche dei rapporti tra pavimento pelvico e muscolatura addominale (di cui parlerò in un altro articolo) in grado di agire sull’incontinenza urinaria.
Per questo motivo, abbiamo messo a punto, primi in Italia, un protocollo fisioterapico sia pre- che postoperatorio, che attraverso una serie di particolarissimi esercizi di ginnastica ipopressiva è in grado di “riattivare” le vie propiocettive tra muscoli addominali e cervello e quindi di restituire al cervello il “comando” sui muscoli addominali: ed è proprio la fisioterapia, incastonata in un contesto di vettori muscolari corretti ricostruiti dalla chirurgia, che dà conto degli straordinari risultati, anche da un punto di vista estetico, della REPA, la nostra tecnica chirurgica minimamente invasiva per la riparazione della diastasi dei muscoli retti dell’addome.
DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE: IL NOSTRO PROTOCOLLO DI GINNASTICA IPOPRESSIVA CON I VIDEO DELLA NOSTRA FISIOTERAPISTA, LA D.SSA FEDERICA CRIVELLARO
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Cio’ significa, in poche parole, che la comunita’ scientifica internazionale nelle sue piu’ alte espressioni ha riconosciuto alla REPA il ruolo che ormai da diversi anni ricopre nella chirurgia della diastasi dei retti; e ne ha apprezzato le sue caratteristiche di “gentilezza” dovute alla minima invasivita’ ed al rapido recupero postoperatorio dei pazienti che vi si sottopongono.
E’ inutile dire che per noi “sodali” di Derlin, appartenenti come lui all’esclusivissimo “Grupo Iberoamericano de Hernia” e che sentiamo un po’ la REPA come “figlia nostra”, la notizia e’ stata occasione di gioia e di gran festa; si tratta di un giusto riconoscimento all’intelligenza ed al lavoro del Dr. Juarez Muas, che pazientemente ha insegnato a noi, suoi compagni di viaggio, come realizzare la riparazione mininvasiva dela diastasi dei retti nella maniera piu’ corretta possibile. E’ chiaro che ognuno di noi poi magari ci ha aggiunto del suo (il sottoscritto, per esempio, ha introdotto la metodica di identificazione e marcatura del perimetro della diastasi, e l’uso dei blocchi nervosi periferici per il controllo del dolore postoperatorio): ma queste “appendici” nulla hanno tolto all’eleganza innata della REPA, e sono state comunque sempre sottoposte al giudizio ed all’approvazione da parte di Derlin e degli altri Chirurghi del GIH.
Diastasi dei retti e REPA: considerazioni personali
Come considerazione personale, vorrei aggiungere che spero che questo prestigiosissimo riconoscimento internazionale metta fine a tutte le polemiche e le critiche (quasi esclusivamente da parte di altri Chirurghi italiani, che evidentemente di questa tecnica non hanno la piu’ pallida idea…) rispetto all’uso ed alla posizione della rete nella chirurgia della diastasi dei retti; critiche a volte
Io e il Dr. Derlin Juares Muas, ideatore della tecnica REPA, al congresso della Societa’ Italiana di Chirurgia dello scorso anno
cosi’ accanite ed espresse con tanta supponenza, da far intuire, alla fine, l’invidia che le sottende.
Bravissimo Derlin! Il prossimo passo e’ adesso la pubblicazione dello studio multicentrico con centinaia di casi analizzati uno ad uno (di cui moltissimi operati dallo scrivente, che vanta la seconda piu’ numerosa casistica di REPA del mondo, subito dopo lo stesso Maestro Juarez Muas). Hasta la victoria siempre, querido amigo!
https://i0.wp.com/diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2018/09/diastasi-dei-retti-e-repa-su-surgical-endoscopy.jpg?fit=1633%2C618&ssl=16181633Salvatore Cuccomarinohttps://diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2021/05/logo-300x155.pngSalvatore Cuccomarino2018-09-24 18:56:302018-09-24 18:56:30Diastasi dei retti: la REPA su Surgical Endoscopy
https://diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2021/05/logo-300x155.png00Salvatore Cuccomarinohttps://diastasideiretti.it/wp-content/uploads/2021/05/logo-300x155.pngSalvatore Cuccomarino2019-04-20 19:24:452021-12-09 12:24:35Prenota una visita a Torino
REPA: la nuova chirurgia “gentile” per la diastasi dei muscoli retti
La parola “diastasi” deriva dal greco (diàstasis, “separazione”), ed in medicina indica tutte quelle condizioni in cui due strutture normalmente affiancate si separano. La diastasi dei muscoli retti dell’addome consiste quindi in una separazione dei muscoli retti addominali – due lunghi muscoli localizzati nella parete anteriore dell’addome ed estesi tra lo sterno e le coste, superiormente, ed il pube, inferiormente.
In condizioni normali i muscoli retti sono uniti tra loro mediante uno spesso cordoncino fibroso, chiamato linea alba. In determinate condizioni, però, questa si assottiglia ed appiattisce (a volte diventa sottile come un foglio di carta…), allargandosi: ciò determina una separazione dei muscoli (tecnicamente si parla di un aumento della IRD, Inter Recti Distance, distanza interrettale): e, se questa separazione è maggiore di 2,5 cm, si ha la diastasi dei muscoli retti addominali.
Al di sotto dei 2,5 cm la distanza interrettale viene considerata fisiologica; ciò perchè esistono differenze di genere (al di sotto dell’ombelico, ad esempio, è maggiore negli uomini rispetto alle donne nullipare, ossia che non hanno avuto figli); aumenta con le gravidanze, e dipende anche dalla sede anatomica (è in genere maggiore al di sopra dell’ombelico). Esistono poi dei fattori di rischio, ossia condizioni che possono provocare un aumento della IRD; tra di esse l’età, il numero di gravidanze, il parto cesareo ed il sovrappeso. Secondo uno studio recente, la diastasi dei retti interessa il 60% delle donne alla 21° settimana di gravidanza, e persiste nel 31,2% delle donne ad un anno dal parto. Si tratta quindi di un problema comune, che può influire profondamente sul benessere delle donne che ne soffrono.
I SINTOMI DELLA DIASTASI DEI MUSCOLI RETTI
Con il procedere della gravidanza, la forma dell’addome materno cambia profondamente, a causa dell’aumento delle dimensioni e del peso dell’utero e del feto. I muscoli dell’addome, e tra essi soprattutto i muscoli retti, si allungano e si si spostano lateralmente: questo provoca una alterazione dei vettori di contrazione dei muscoli, cioè delle linee lungo le quali i muscoli si contraggono. In circa un terzo delle donne ad un anno dal parto queste modifiche rimangono permanenti: ciò provoca una profonda e definitiva compromissione delle capacità di flessione del tronco e di contrazione armonica dei muscoli della parete addominale (il cosiddetto “torchio addominale”). Questo ha delle conseguenze negative tanto sulla capacità di mantenere eretto il tronco (essendo la postura eretta un risultato della contrazione armonica dei muscoli dorsali e dei muscoli addominali) – e il primo effetto è la comparsa di iperlordosi e dolore dorso-lombare – quanto sulle performances del pavimento pelvico, il che può condurre alla comparsa di incontinenza urinaria da stress, incontinenza fecale (meno frequentemente) e prolasso di organi pelvici come l’utero o la vescica. Oltre a ciò, anche l’aspetto dell’addome si modifica profondamente: la sua porzione sottoombelicale rimane prominente e tende a gonfiarsi nel corso della giornata, tanto che molte pazienti, al momento della visita, mi raccontano di svegliarsi “piatte” la mattina e di arrivare al pomeriggio così gonfie da sembrare al quinto mese di gravidanza.
I disturbi digestivi legati al “prolasso” degli organi addominali sono frequenti: si va dal semplice meteorismo, alla sensazione di pesantezza postprandiale, alla stipsi, al dolore addominale. La sensibilità ai traumi della parete dell’addome aumenta enormemente; e molte pazienti notano dei “movimenti” sotto pelle, che paragonano ai “calcetti” dati dai feti durante la gravidanza e che invece sono espressione dei normali movimenti dell’intestino (non visibili quando la parete dell’addome è normale).
LA DIAGNOSI
Il primo passo nella diagnosi della diastasi dei muscoli retti è l’autovalutazione; esistono diversi tutorials in rete che mostrano come valutare il proprio addome per capire se si sia o meno portatori di questa patologia.
Il ruolo nella diagnosi del Chirurgo specializzato nei trattamenti delle malattie della parete addominale è fondamentale, perchè è l’unico Professionista in grado di misurare con buona precisione il diametro della diastasi e valutare la presenza di eventuali ernie associate. Infatti, nella quasi totalità delle pazienti con diastasi dei retti addominali postgravidica è presente un’ernia ombelicale, cosa di grande importanza nella corretta pianificazione della strategia chirurgica; e non raramente ad essa si associano altre ernie della linea media, come l’ernia epigastrica.
L’ecografia della parete addominale è uno degli esami più frequentemente richiesti per la diagnosi; tuttavia la sua utilità, nella mia esperienza, è limitata, e non per una sola ragione: si tratta di un esame strettamente operatore-dipendente (ossia è attendibile solo se l’esperienza in diagnostica dei difetti della parete addominale del radiologo che la realizza è adeguata), non è standardizzato (spesso non vengono descritti i diametri della diastasi dei retti addominali o la presenza di ernie) e quasi sempre sottostima le reali dimensioni del problema. Ciò diventa evidente al momento dell’intervento, quando ci si accorge che le lunghezze e i diametri riportati dalle ecografie spesso non sono reali.
Sicuramente molto più precisa ed utile nella diagnostica delle patologie della parete addominale è la TAC dinamica, ossia una TAC, eseguita senza mezzo di contrasto, durante la quale il paziente viene invitato ad eseguire delle manovre (come la manovra di Valsalva) che evidenziano in maniera chiara ed esatta, indipendentemente dall’esperienza dell’operatore che la realizza, tanto la diastasi dei muscoli retti che le eventuali ernie, consentendo di misurarne i diametri, i volumi eccetera.
Tuttavia l’esame determinante, e nella grande maggioranza dei casi più che sufficiente, per la diagnosi di una diastasi dei retti addominali è l’esame clinico; se eseguito da un chirurgo esperto, permette di valutare con accuratezza tanto l’estensione che la larghezza nei vari punti della diastasi, nonchè la presenza di ernie eventualmente associate, consentendo di programmare in maniera corretta la chirurgia.
Nella mia pratica, io non chiedo mai un esame strumentale pre-visita, anche se spesso le pazienti arrivano in studio avendo già effettuato un’ecografia; e solo se alla fine dell’ispezione clinica non sono convinto, chiedo una TAC dinamica della parete addominale.
LA REPA, CHIRURGIA ENDOSCOPICA MININVASIVA DELLA DIASTASI DEI MUSCOLI RETTI
L’intervento tradizionale, e fino a poco tempo fa l’unico effettuato in Italia, per il trattamento della diastasi dei muscoli retti addominali è l’addominoplastica. Procedura storicamente patrimonio dei Chirurghi plastici / estetici, prevede un ampio taglio (da fianco a fianco, potremmo dire usando una terminologia poco scientifica…), la disinserzione della cute e del tessuto sottocutaneo dall’ombelico e lo stiramento verso il pube della pelle e del tessuto adiposo che essa sottende. Durante l’intervento, i due muscoli retti vengono cuciti tra loro sulla linea media (la cosiddetta “plicatura” dei muscoli retti). In alcuni casi e da alcuni chirurghi, se si è in presenza di una marcata prominenza della porzione sottoombelicale dell’addome, viene realizzata una “plicatura verticale o in accorciamento” dei muscoli obliqui, nel tetativo di “appiattire” la parete addominale. Quest’ultima procedura è piuttosto dolorosa e presenta, data l’elevata tensione a cui i muscoli sono sottoposti, un’elevata percentuale di recidive.
L’addominoplastica è utile nelle donne con “grembiule adiposo”, ossia con la porzione inferiore dell’addome che pende verso il monte di Venere per un eccesso di pelle e di tessuto adiposo; oppure negli obesi sottoposti a procedure di chirurgia bariatrica, al termine del periodo di dimagrimento. Questo perchè l’addominoplastica prevede l’esecuzione di una dermolipectomia, cioè l’asportazione della pelle in eccesso e del sottostante tessuto adiposo, che consente di correggere l’inestetismo causato appunto dal “grembiule adiposo”. Dalle pazienti magre, in buona forma fisica e senza “grembiule adiposo”, tuttavia l’addominoplastica è poco gradita, a causa dei suoi esiti cicatriziali molto ampi, della lunga convalescenza e dei rischi relativi al lembo dermoepidermico (tra cui la necrosi della cute e dell’ombelico).
Il Dr. Cuccomarino ed il Dr. Derlin Juares Muas, ideatore della tecnica R.E.P.A.
Da alcuni anni è disponibile un nuovo intervento minimamente invasivo per il trattamento della diastasi dei muscoli retti: la riparazione endoscopica pre-aponeurotica (REPA), tecnica messa a punto dal Dr. Derlin Juares Muas, noto chirurgo della parete addominale argentino. In questo intervento, attraverso tre piccole incisioni (due da 10 mm circa ed una da 5 mm circa) al di sopra del pube (nelle donne che hanno partorito per parto cesareo, usualmente queste incisioni cadono sulla cicatrice già esistente), con tecniche ben note ai chirurghi che si occupano di chirurgia laparoscopica avanzata si suturano le fasce dei muscoli retti addominali, ricostruendo la linea alba e riparando la diastasi, e si stabilizza e rinforza tale riparazione mediante il posizionamento di una rete ultraleggera – la qual cosa riduce sensibilmente il rischio di recidiva. Questo intervento, dai risultati davvero eccellenti, è molto popolare nei Paesi Iberoamericani (Spagna e Paesi dell’America Latina), e sta cominciando a diffondersi in molti Paesi europei. Io ho imparato questo intervento dallo stesso Dr. Juarez Muas, mio amico personale, e l’ho realizzato per la prima volta in Europa nel 2017.
È opportuno ricordare che chirurgia endoscopica e chirurgia laparoscopica non sono la stessa cosa. Nella chirurgia laparoscopica della parete addominale – a meno di padroneggiare tecniche molto avanzate di separazione dei componenti, oggi patrimonio di pochi chirurghi al mondo – quello che normalmente si fa è posizionare una rete per riparare un difetto della parete. Non si esegue, quindi, nessuna plicatura della fascia dei retti, rispetto ai quali il punto di vista del chirurgo e gli strumenti con cui lavora si collocano posteriormente.
Con la tecnica di riparazione endoscopica della diastasi dei muscoli retti dell’addome (REPA), invece, si realizza la plicatura per via anteriore, esattamente come nell’addominoplastica tradizionale, ma senza la cicatrice dell’addominoplastica. Possiamo dire che la chirurgia endoscopica è, come la chirurgia laparoscopica, minimamente invasiva; ma gli spazi in cui ci simuove, e quindi i gesti tecnici che si possono realizzare, sono molto diversi.
Una alternativa alla chirurgia laparoscopica della diastasi dei retti addominali (che come abbiamo detto è una “non-chirurgia”, in quanto non ripara la diastasi stessa) è la chirurgia robotica. Con il robot è possibile accedere, in maniera meno sicura rispetto alla REPA, alla superficie posteriore dei muscoli retti dell’addome ed in tal modo suturarli prima di collocare la rete. Tuttavia, si tratta di una riparazione “insufficiente” per motivi anatomici: la fascia posteriore dei muscoli retti dell’addome, infatti, è incompleta, essendo assente nel terzo inferiore della parete addominale; una separazione dei muscoli a questo livello, quindi – peraltro presente nella grande maggioranza delle pazienti – non può essere riparata con il robot. Un altro svantaggio non secondario della chirurgia robotica è il suo alto costo. Ancora, nella chirurgia robotica le incisioni chirurgiche vengono realizzate sul fianco della paziente e non al di sopra del pube, divenendo quindi molto più evidenti. Infine, dal momento che con gli strumenti robotici si entra all’interno della cavità addominale, è sempre presente, anche se contenuto, il rischio di lesione degli organi intracavitari (intestino, stomaco, fegato ecc.), rischio assente nella chirurgia endoscopica.
L’uso della rete nella chirurgia endoscopica della diastasi dei muscoli retti è parte fondamentale e non rinunciabile della tecnica. Tutti i chirurghi che si occupano di chirurgia della parete addominale sanno che qualsiasi riparazione di un suo difetto, fosse anche una piccola ernia ombelicale, senza l’uso di una protesi ha buone probabilità di fallire: le percentuali di recidive aumentano fino a valori oggi non più accettabili, ed in effetti esistono in Letteratura lavori che riportano incidenze a due cifre di recidiva della diastasi dopo addominoplastica (i chirurghi plastici non amano l’uso delle reti). La rete ha una fondamentale funzione di “impalcatura”, e favorisce la formazione del tessuto fibroso che stabilizza la sutura della fascia dei retti. È proprio questo tessuto fibroso che rende solida la riparazione: la sola sutura, col tempo, sarebbe destinata ad essere riassorbita o a frammentarsi.
Riguardo le complicanze postoperatoriedella tecnica REPA, la principale consiste nella formazione di sieromi od ematomi, che può essere minimizzata lasciando in sede un drenaggio per alcuni giorni e con l’applicazione di compressione e ghiaccio sull’addome; e, quando si verifichi, nella maggioranza dei casi può essere facilmente risolta con tecniche conservative senza dover reintervenire. La percentuale di recidive, proprio grazie all’uso della rete, è molto minore rispetto all’addominoplastica tradizionale, attestandosi al di sotto del 4% (ahimè, lo 0% ed il 100% in Medicina non esistono).
L’intervento prevede in genere una notte di ricovero in ospedale. I pazienti dovranno portare da subito e per un mese una fascia addominale, e per lo stesso tempo dovranno evitare di fare sforzi od attività sportiva.
In seguito dovranno eseguire, sotto la guida di un fisioterapista specificamente formato, dei cicli di drenaggio linfatico della parete addominale e, soprattutto, di ginnastica ipopressiva, conclusi i quali potrà tornare alle sue normali attività sia quotidiane che sportive. La fisioterapia è parte centrale del mio approccio multidisciplinare al trattamento della diastasi dei retti dei muscoli retti – io spesso dico alle pazienti che alla chirurgia è dovuto solo il 50% del merito del successo del trattamento, perchè l’altro 50% si deve alla fisioterapia – ed è mirata a “reinsegnare” ai muscoli a contrarsi correttamente ed al paziente ad assumere la postura corretta, che l’alterazione dei vettori di contrazione muscolare di cui ho parlato all’inizio gli ha fatto, con il tempo, perdere. In molte pazienti, al momento dell’intervento, io constato che, soprattutto nella parte inferiore dell’addome, i muscoli hanno perso completamente la loro capacità di contrarsi: ciò dà conto della “prominenza” della parte inferiore dell’addome di cui prima si è detto, e che può essere risolta stabilmente solo con un adeguato recupero muscolare, e non con quelle pratiche chirurgiche di accorciamento dei muscoli obliqui di cui ho già detto.
Diastasi dei muscoli retti e REPA: il video
Dr. Salvatore Cuccomarino
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