L’articolo che segue è la traduzione, integrata ed in alcuni punti semplificata, dell’editoriale da me scritto su invito della Sociedad Hispanoamericana de Hernia sulla sua rivista.
Fino a tempi molto recenti, la diastasi dei retti è stata considerata un difetto principalmente, se non esclusivamente, estetico, e lasciata all’attenzione dei chirurghi plastici; i quali l’hanno riparata ricorrendo a tecniche, come l’addominoplastica, che, al di là della notevole invasività, non sempre trovano corretta indicazione nei pazienti con diastasi. Se, infatti, l’indicazione ad un
intervento di addominoplastica è senza dubbio corretta in una paziente come quella della fig. 1, in cui è evidente l’addome pendulo che giustifica la dermolipectomia (ovvero l’asportazione della pelle in eccesso), cosa si può dire nel caso della paziente in fig. 2, che non ha né un grembiule adiposo né altre adiposità localizzate tali da giustificare un intervento di chirurgia plastica?
Eppure entrambe le pazienti, al di là del personale disagio psicologico derivante dalla difficoltà ad accettare il proprio aspetto, arrivano all’osservazione del chirurgo lamentando una serie di sintomi (dal mal di schiena al gonfiore
addominale, dal rallentamento dei processi digestivi all’incontinenza urinaria da sforzo, dalla stitichezza ai dolori addominali all’incapacità di compiere alcuni movimenti del tronco…) che compromettono gravemente la qualità della loro vita: e ciò diventa un problema, anche sociale, tanto più importante in quanto si tratta, generalmente, di pazienti giovani, lavorativamente molto attive, sportive, con importanti responsabilità familiari ed una intensa vita sociale. I disturbi che queste pazienti lamentano possono essere, in parte o in tutto, conseguenti alla diastasi dei retti, con meccanismi fisiopatologici che di seguito esamineremo. Ma il punto più importante del problema è che, nella grande maggioranza dei casi, le pazienti come quella della fig. 2 non accettano l’intervento di addominoplastica, a causa della sua invasività e degli importanti esiti cicatriziali, preferendo mantenere i propri sintomi che, col tempo, saranno inevitabilmente destinati a peggiorare.
Nell’ultimo decennio, con l’affermarsi della chirurgia della parete addominale come superspecialità della chirurgia generale, l’interesse dei chirurghi di parete si è focalizzato anche sulla diastasi dei retti; e, grazie al bagaglio tecnico e culturale da sempre patrimonio della chirurgia generale, che comprende la conoscenza, l’utilizzo e lo sviluppo di protesi, tecniche ed apparecchiature che consentono un approccio minimamente invasivo alla patologia di parete, la comunità chirurgica ha cominciato a chiedersi se potessero esistere delle opzioni tecniche meno invasive di un’addominoplastica per il trattamento della diastasi: opzioni tecniche, in definitiva, che potessero essere accettate anche dalla paziente della fig. 2, aiutandola a risolvere i suoi problemi.
Ben presto sono arrivate le risposte a questa domanda; e bisogna ammettere che il mondo chirurgico iberoamericano ha avuto in questo un ruolo da protagonista, con le tecniche di Bellido (attualmente in realtà’ poco usata), Bezama e Juarez Muas. In particolare, quest’ultima – la REPA, Riparazione Endoscopica Pre-Aponeurotica – ha avuto una rapida diffusione grazie alla costituzione di reti sociali sul web esclusivamente dedicate alla chirurgia della parete addominale, e può essere oggi considerata come la più standardizzata, razionale, efficace ed usata tecnica mininvasiva per la riparazione della diastasi dei retti.
FISIOPATOLOGIA DELLA PARETE ADDOMINALE NELLA DIASTASI DEI RETTI
Per molti anni, la parete addominale è stata considerata una sorta di “scatola” la cui principale, forse unica funzione, era quella di contenere strutture nobili; il ruolo dei muscoli addominali in processi quali la respirazione è stato considerato secondario, e le relazioni tra parete antero-laterale dell’addome, muscoli della colonna vertebrale e pavimento pelvico sono state decisamente sottovalutate (prova ne sia che la maggior parte delle pubblicazioni sull’argomento sono opera di fisioterapisti e non di medici).
In realtà, la parete addominale è una “scatola magica” che ha precise ed importanti funzioni nella respirazione, nel sostegno e nella protezione dei visceri addominali, nel mantenimento della di una corretta postura, della continenza tanto urinaria che fecale, nella gravidanza e nel parto. Questo complesso insieme di funzioni è strettamente legato alla sua struttura: la parete addominale e’ il segmento dell’organismo con il più elevato rapporto muscolo:osso (ovvero, è costituita prevalentemente da muscoli, la componente ossea è minima) ed è formata da unità muscolari con caratteristiche davvero peculiari ed uniche: ad esempio, i muscoli retti sono gli unici muscoli poligastrici del nostro corpo. Cosa vuol dire? Un muscolo poligastrico è un muscolo costituito da più unità funzionali, dette ventri muscolari, ognuna di esse in grado di contrarsi in maniera autonoma e indipendente dalle altre. Ogni muscolo retto è formato da 4 o 5 ventri ognuno con innervazione motoria propria, che possono contrarsi sincronicamente – cioè contemporaneamente: il che fa sì che possano partecipare a processi come l’espirazione forzata, la tosse, la defecazione e la flessione del tronco – oppure diacronicamente, cioè in sequenza uno dopo l’altro: e questo è uno dei principali meccanismi alla base delle contrazioni che si realizzano durante il parto. E, ad esempio, riguardo quest’ultimo aspetto, una vota di più la struttura è funzione: nel loro terzo inferiore i muscoli retti mancano del foglietto posteriore della loro guaina, il che conferisce alla parte inferiore della parete addominale una maggiore elasticità, fondamentale per lo sviluppo dell’utero gravidico.
La diastasi dei retti non è un difetto della parete addominale come l’ernia o il laparocele, e questo è importante sottolinearlo – anche se le tecniche di chirurgia endoscopica come la Riparazione Endoscopica Pre-Aponeurotica di Juarez Muas ci hanno consentito di “scoprire” che essa, in oltre il 90% dei casi, si associa ad un’ernia ombelicale; può essere correttamente definita come una insufficienza della linea alba, che risulta estremamente assottigliata e slargata, il che causa una protrusione (una sorta di prolasso) dei visceri addominali. Non raramente la linea alba è tanto assottigliata che le pazienti riferiscono di vedere, sulla loro parete addominale, dei movimenti che ricordano loro i movimenti ed i calcetti del feto durante la gestazione. Parlo di pazienti al femminile perché la diastasi dei retti è una condizione estremamente frequente nelle donne che hanno partorito: è presente in circa 1/3 di esse, ed ha, tra i suoi fattori di rischio, la multiparità (ossia il numero di gravidanze), il parto cesareo e l’aver allevato bambini; altri fattori di rischio importanti, stavolta uniformemente distribuiti tra i due sessi, sono l’aumento di peso e la pratica di attività sportive che implichino un intenso utilizzo dei muscoli addominali. La diagnosi è quasi sempre clinica (cioe’ viene fatta visitando il paziente), e le metodiche di imaging radiologico, e in particolar modo l’ecografia, sono relativamente di scarso aiuto. E’ importante ricordare che la diastasi dei retti è per l’organismo un importante meccanismo di adattamento alla crescita dell’utero gravidico: ma quando persiste ad un anno dal parto, non avrà più possibilità di migliorare (e sarà, anzi, aggravata da qualsiasi cosa aumenti la pressione all’interno dell’addome). Negli ultimi anni, sono comparsi studi che associano la comparsa di diastasi a un difetto congenito nella sintesi di collagene di tipo I e di tipo III, ma questo dato è ancora in attesa di una più solida evidenza scientifica.
La sintomatologia lamentata dalle pazienti con diastasi dei retti comprende una lombalgia senza altre apparenti cause cliniche (70,2%), per la quale si può osservare una correlazione negativa tra la distanza interrettale e la funzione dei muscoli addominali, espressa empiricamente come riduzione della capacità di flettere il tronco (ossia, quanto più ampia è la diastasi, tanto minore è la capacità dei pazienti di compiere movimenti di flessione del tronco); i disturbi correlabili al “prolasso addominale” (93,6%), tra cui il gonfiore addominale, la digestione faticosa, il dolore addominale e l’aumentata sensibilità ai traumi della parete addominale; e l’incontinenza urinaria (44,42%), principalmente, ma non esclusivamente, da stress.
C’è allora da chiedersi quali relazioni esistano tra diastasi dei retti e, per esempio, lombalgia od incontinenza urinaria. Una volta di più, scopriremo che la struttura è funzione, e che ad una alterazione della struttura può corrispondere un’alterazione, più o meno pronunciata, della funzione.
Una delle principali e più precoci conseguenze della diastasi dei retti è che nei muscoli laterali
della parete addominale, in particolare l’obliquo interno e, ancor di più, il trasverso, si riduce la capacità di realizzare contrazioni efficaci. Ciò si riflette in una riduzione della pressione intraaddominale e della trazione effettuata sulla fascia toracolombare. La fascia toracolombare (o lombodorsale) è costituita da fibre connettivali longitudinali e trasversali a cui si inserisce, da una parte, la fascia del muscolo trasverso (ed, indirettamente, quella del muscolo obliquo interno), e che si collega, dall’altra, agli angoli costali e la cresta iliaca, lateralmente, ed al rachide dorsolombare (attraverso i muscoli quadrato dei lombi e sacrospinale) ed al sacro medialmente. In pratica, attraverso la fascia dorsolombare si realizza un complesso e delicato meccanismo di contrappesi tra muscoli della parete anterolaterale dell’addome e
muscoli paravertebrali che regola gli angoli di cifosi toracica e lordosi lombare della colonna vertebrale, ossia le curvature fisiologiche della colonna vertebrale, consentendo di mantenere una corretta postura quando si sta in piedi. La rottura di questo meccanismo determinata dalla diastasi dei retti – non dimentichiamo che le aponeurosi dell’obliquo interno e del trasverso contribuiscono alla formazione della guaina dei retti, e che per questo la diastasi provoca una diminuzione dell’efficienza della loro contrazione – causa un aumento degli angoli di cifosi toracica e lordosi lombare, provocando la comparsa di mal di schiena dovuto ad un aumento della pressione sui dischi intervertebrali, in particolare nella regione lombare. La plicatura dei retti ricostruisce la corretta geometria vettoriale dei muscoli addominali, ristabilendo le condizioni necessarie al ripristino di una corretta pressione intraaddominale e del corretto valore degli angoli prima ricordati.
Tuttavia, il problema è più complesso. La “semplice” ricostruzione dei vettori muscolari della parete addominale non è da sola sufficiente a garantire né la tensione della fascia toracodorsale né l’aumento della pressione intraaddominale. Quando io opero una diastasi dei retti con la tecnica di Juarez Muas, utilizzo un semplice stratagemma per marcare il perimetro effettivo della diastasi: somministro ai muscoli retti delle piccole scariche elettriche. Incredibilmente, ciò spesso non si traduce con la contrazione del muscolo, né prima né dopo la plicatura: è come se i retti avessero dimenticato come fare per contrarsi. Questo è particolarmente vero nella porzione sottoombelicale della diastasi (quasi sempre presente, checché ne dicano gli studi di imaging preoperatorio) ed è il motivo per il quale spesso le pazienti sottoposte a plicatura dei retti continuano a presentare un discreto gonfiore addominale. Il motivo di ciò l’abbiamo compreso indirettamente osservando gli effetti della fisioterapia che i nostri pazienti eseguono regolarmente ad un mese dell’intervento.
Tale fisioterapia comprende una serie di esercizi posturali ed ipopressivi che il mio team, col tempo, ha raggruppato in un vero e proprio protocollo, oggi usato anche nel preoperatorio con lo scopo di “preparare” i muscoli addominali all’intervento (e che, in realtà, io ho iniziato ad utilizzare anche in pazienti con difetti della parete addominale diversi dalla diastasi, come nei grandi laparoceli). La fisioterapia, basata sulla ginnastica ipopressiva ideata dal Dr. Marcel Caufriez, comprende un insieme di esercizi che consente l’integrazione e la memorizzazione di messaggi propiocettivi associati ad una determinata postura. Il concetto è piuttosto complesso, ma, in pratica, è come se dai muscoli della parete addominale nei pazienti con diastasi dei retti non partissero più segnali propiocettivi (la sensibilità propriocettiva è quella che informa, in ogni istante, il cervello della posizione che i nostri muscoli hanno nello spazio) verso il cervello: il quale, di conseguenza,
non sarebbe, almeno in parte, più in grado di regolarne correttamente il tono e la contrazione. Da ciò deriva il gonfiore addominale persistente dopo l’intervento prima dell’inizio della fisioterapia, e per il quale le pazienti tornano a visita certe di avere una recidiva precoce della diastasi. Questo è il motivo per cui è assolutamente indispensabile spiegare bene alle pazienti che il trattamento della diastasi dei retti è un percorso multidisciplinare di cui la chirurgia rappresenta il 50% – il primo, propedeutico 50%, ma in definitiva solo il 50%.
Lo stesso vale per l’incontinenza urinaria. Molto di quello che sappiamo sull’argomento lo dobbiamo ai lavori H. M. Bush e Coll. e di R. R. Sapsford e Coll. Già nel 2001 Sapsford aveva osservato che una riduzione del tono muscolare della parete anterolaterale dell’addome si associa ad una riduzione dell’attività dei muscoli del pavimento pelvico, correlata ad incontinenza urinaria. Questi dati sono stati confermati nel 2014 da Bush che ha osservato come nelle donne con lombalgia cronica dovuta a ridotta attività del muscolo trasverso dell’addome si osservi una riduzione del tono dei muscoli del pavimento pelvico, concludendo che esiste una significativa associazione tra lombalgia cronica ed incontinenza urinaria da stress, e che è ragionevole pensare che tutti i muscoli del tronco – muscoli addominali, muscoli della colonna vertebrale e muscoli del pavimento pelvico – agiscano in maniera integrata nel mantenimento tanto di una corretta postura che di una corretta continenza.
CONCLUSIONI
Quale conclusione possiamo trarre da quanto osservato finora? Credo che sia una, ed una sola: la diastasi dei retti, nella maggioranza dei casi, non è (solo) un difetto estetico e quindi non deve essere gestita chirurgicamente (solo) come se fosse un difetto estetico. Ed è per questo che noi chirurghi di parete addominale dovremmo iniziare a guardare questa condizione con occhi diversi, ed a tenerla in conto come una patologia che merita la nostra
considerazione. La platea di pazienti è molto ampia, ed i disturbi che si
associano alla diastasi sono sufficientemente gravi da peggiorare considerevolmente la loro qualità di vita. Le tecniche chirurgiche mininvasive – che per la parete addominale sono patrimonio unico dei chirurghi generali – ed in particolar modo la R.E.P.A. di Derlin Juarez Muas, associate ad un corretto percorso fisioterapico pre- e postoperatorio, ci consentono oggi di offrire un intervento realmente poco invasivo e particolarmente gradito a pazienti, come quella delle fig. 5, 6, 7 ed 8, che io ho operato qualche fa, di aspetto simile a quello della paziente della fig. 2 e che, come questa, non accettano l’addominoplastica per la sua invasività e per il lungo e difficile percorso postoperatorio.
Certo, le tecniche mininvasive sono ancora giovani e necessitano di verifiche a lungo termine: ma la REPA, ad esempio, replica la plicatura dei retti da sempre eseguita per la diastasi dei retti, associando l’uso di una rete ultraleggera macroporosa che, ancor più che garantire un miglior
contenimento della parete addominale, funziona da
impalcatura per indurre la proliferazione fibroblastica, la deposizione di collagene ed in definitiva la formazione di una grande “cicatrice” che garantisce la stabilità della riparazione molto più di quanto non possa fare la semplice plicatura. Quest’ultimo aspetto, in particolare, viene mal accettato dai chirurghi plastici, mentre fa parte da sempre dell’armamentario di risorse quotidianamente utilizzato dai chirurghi della parete addominale: ed è proprio questo differente “punto di vista” che può rendere vincente la strategia chirurgica di un chirurgo di parete nel trattamento della diastasi dei retti. In un recente incontro organizzato dall’Associazione Diastasi Donna a Roma, un noto Docente di una università di Roma, rinomato chirurgo plastico della Capitale, ha criticato l’uso della rete dicendo che lui mai lascerebbe un corpo estraneo nell’organismo di una paziente con diastasi dei retti. Poco prima aveva detto che lui, per la plicatura dei retti utilizza dei punti di prolene (lo stesso materiale non riassorbibile di cui è costituita la rete che io uso) perché non si fida di usare dei punti riassorbibili. Io gli ho fatto notare che la rete che io applico nella REPA è così leggera (19 g/m2) che la quantità di corpo estraneo che rimane nei pazienti meno di mezzo grammo) è inferiore a quella dei punti di sutura da lui usati per plicare i retti. Non ha saputo rispondere a questa obiezione. Questo marca la grande differenza tra chirurghi generali e chirurghi plastici: benché questi siano abituati ad utilizzare protesi (ben più invasive, si pensi alle protesi mammarie) spesso non hanno la minima cognizione su cosa sia una rete per la chirurgia della parete addominale. Per finire, l’efficacia della REPA, unico tra gli interventi mininvasivi proposti per la cura della diastasi dei retti (degli altri abbiamo parlato in questo articolo) è stata recentemente dimostrata da uno studio multicentrico condotto su 215 pazienti da 10 differenti team chirurgici in tutto il mondo (tra cui il mio). I pazienti sono stati seguiti per un tempo che varia da 2 a 4 anni dopo l’intervento; la lombalgia è scomparsa nell’80% dei casi entro 30 giorni dall’intervento, e l’incontinenza urinaria nell’89,8% nel corso del follow up. Le complicanze postoperatorie sono state estremamente limitate: 9,7% di sieromi, 1,4% di ematomi. Le recidive sono state lo 0,46%! Nessuna altra tecnica mininvasiva, né robotica, né laparoscopica, può vantare tali evidenze scientifiche.
In conclusione, la REPA è un intervento che si fonda su una profonda
conoscenza della fisiopatologia della parete addominale, sicuro, standardizzato, e con risultati postoperatori eccellenti, sia in termini funzionali che cosmetici (pur non essendo un intervento estetico). Sarebbe un vero peccato se le pazienti con costituzione simile a quella delle figure 2 e 5-8 si sottoponessero a incisioni mutilanti, con possibili gravi complicanze postoperatorie, come la necrosi dell’ombelico e del lembo dermoepidermico (fig. 9) ed ad un doloroso e lungo postoperatorio, come quello dell’addominoplastica, quando la REPA è in grado di trattare i loro disturbi con solo tre piccoli fori ( e tanta abilità chirurgica).
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[schema type=”person” name=”Dr. Salvatore Cuccomarino” url=”https://www.facebook.com/CuccomarinoMD/” description=”Il primo team chirurgico in Italia ad eseguire la riparazione della diastasi dei retti per via endoscopica con tecnica REPA” street=”via amerigo Vespucci 61″ city=”Torino” state=”TO” country=”IT” email=”info@cuccomarinomd.com” phone=”0115802100″ ]
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